“Pirsonalmente di pirsona”: l’anima di Catarella

Agli ordini del commissario Montalbano, nel commissariato di Vigàta, opera un gruppo composto da personaggi con caratteristiche peculiari ma animati da un autentico spirito di squadra; fra questi spiccano tre figure di particolare rilevanza: il vicecommissario Mimì Augello (con la sua passione per le belle donne), l’ispettore Giuseppe Fazio (dominato dal “complesso dell’anagrafe”) e l’agente Agatino Catarella. Quest’ultimo, come scrive Simona Demontis, “più che un personaggio è una macchietta, inserita dall’autore al preciso scopo di divertire con forme di comicità involontaria” (I colori della letteratura – Un’indagine sul caso Camilleri, Rizzoli, Milano 2001, pp. 34-35).

Angelo Russo nel ruolo di Catarella

Il personaggio di Catarella ha una genesi ben precisa, che Camilleri rivelò nel corso di una conversazione presso l’ANFP (Associazione Nazionale Funzionari di Polizia) il 2 dicembre 2005: «Catarella nasce perché mi sono ricordato di un attendente di mio padre, che si chiamava don Paolino Castelli. Allora, nell’immediato dopoguerra, usciva la rivista Mercurio. […] Un giorno che lui doveva andare per conto di mio padre ad Agrigento, gli dissi: “Don Paolino, per favore, m’accattassi Mercurio, la rivista”, e lui mi portò una boccetta di mercurio liquido» (cfr. “MicroMega” 1999-2018, 20/7/19, p. 161).

La particolarissima parlata del buffo agente, consistente in un miscuglio maccheronico di velleitario italiano burocratico, italiano popolare e dialetto, fu ulteriormente ispirata, sempre a detta dell’autore, dal “parlare dei pupari” e dal confronto con il Ciclope di Pirandello, dove Ulisse parlava “come Totò” (“Scusassi, ci potissi indicare una piccola fonti d’acqua onde noi assetati potessimo dissetarci?”).

L’esordio di Catarella avviene nel secondo romanzo della serie di Montalbano, cioè Il cane di terracotta (1996), presentando subito un buffo “qui pro quo”:

Questo Catarella non era sinceramente cosa. Lento a capire, lento ad agire, era stato pigliato nella polizia certamente perché lontano parente dell’ex onnipotente onorevole Cusumano… Le cose con Catarella s’imbrogliavano di più se gli saltava il firticchio, cosa che gli capitava spesso, di mettersi a parlare in quello che lui chiamava taliàno. Un giorno gli si era appresentato con la faccia di circostanzia.

“Dottori, lei putacaso mi saprebbi fare la nominata di un medico di quelli che sono specialisti?”.

“Specialista di cosa, Catarè?”

“Di malattia venerea”.

Montalbano aveva spalancato la bocca per lo stupore.

“Tu?! Una malattia venerea? E quando te la pigliasti?”

“Io m’arricordo che questa malattia mi venne quando ero ancora nico, non avevo manco sei o sette anni”.

“Ma che mi vai contando, Catarè? Sei sicuro si tratta di una malattia venerea?” (“Il cane di terracotta”, pp. 25-26).

Da quel momento, Montalbano tenta di adeguare la sua lingua a quella del centralinista, convinto che sia l’unico modo per poter avere con lui un dialogo:

”Pronti, dottori? Dottori, è lei stesso di pirsona al tilefono?

“Io stesso di pirsona mia sono, Catarè. Parla tranquillo”.

Catarella, al commissariato, l’avevano messo a rispondere alle telefonate nell’errata convinzione che lì potesse fare meno danno che altrove. Montalbano, dopo alcune solenni incazzature, aveva capito che l’unico modo per poter avere con lui un dialogo entro limiti tollerabili di delirio era di adottare il suo stesso linguaggio.

(“La voce del violino”, pp. 9-10).

Della famiglia di Catarella non si sa nulla: lui stesso però dichiara espressamente di essere “figlio unico e màscolo di mè patre e mè matre” (Un diario del ‘43, da Un mese con Montalbano).

Il lessico adoperato dall’agente è di una comicità surreale; quando il commissario fa il compleanno, Catarella lo accoglie “commosso e col vrazzo stinnuto” e con un’improbabile sequela di superlativi:

«Tanta e tantissima aguranza di tutto cori di lunga vitissima e salutissima e filicissima, dottori!» (Una voce di notte, p. 21).

Tipica di Catarella è la ridondanza nell’uso dei pronomi: «Dottori, io affiducia solo in lui di lui ho» (“Il quarto segreto”, p. 128), «Dottori, tutto assuppato è il vistito suo di lei!» (id., p. 151), «“Hanno arritrovato la machina della signora Pagnozzi e del di lui di lei marito, il commendatore”» (“Stiamo parlando di miliardi”, p. 211).

Non meno clamorose sono le deformazioni lessicali dell’agente: Boccadasse diventa “Bonchidassa”, il mandato di perquisizione si trasforma in “mannato di piricquisizione”, una banale influenza equivale a “’mprudenza”, il cellulare per lui è un “ciallulare” e il bunker un “banker”, i CD-Rom sono ribattezzati “giddirommi”.

Irredimibile è anche la sintassi di Catarella, con condizionali di nuovo conio (“io lo saprebbi”), costruzioni inedite (“sto per arrivando”) o sbalestrate (“andarono indovi che hanno ammazzato a uno”).

Per di più, l’agente storpia sistematicamente i nomi delle persone: il giornalista Sozio Melato diventa “Ponzio Pilato”, il signor Borsellino viene storpiato in “Porcellino”, il dottor Lattes perde la “s” finale, il preside Burgio si trasforma nel “presitte Purcio”, ecc. Le rare volte che ci azzecca, combina ugualmente pasticci: «“Dottori? C’è al tilefono uno che dici d’essire la luna. E io, cridenno che sghirzava, ci arrispunnii che ero lu suli. S’incazzò. Pazzo, mi pare”. “Passamelo” “Dottor Montalbano? Buongiorno. Sono l’avvocato Luna”».

Eppure, Catarella ha i suoi momenti di gloria:

– nella raccolta Gli arancini di Montalbano, nel racconto Catarella risolve un caso, il buffo agente rivela un’inopinata abilità nel risolvere un’indagine inerente il ritrovamento di una giovane donna scomparsa;

– nel racconto Il quarto segreto (tratto da La paura di Montalbano) affianca Montalbano in un’indagine e condivide con lui (restandone turbato e commosso) alcune informazioni riservate;

– nel romanzo Il giro di boa, è proprio Catarella a dare un’interpretazione dei fatti che poi si rivelerà reale: «Dottori, ma non è possibili che il morto addivintò vivendi e appresso morse nuovamenti addivintando natante?» (Il giro di boa, p. 133).

Catarella, in modo quasi paradossale, ha competenze tecnologiche notevoli, soprattutto nel campo informatico; ovviamente, in questa surreale competenza dell’agente, è lecito scorgere un messaggio ironico subliminale dell’autore: “la tecnologia, e l’informatica in particolare, non stanno dal lato del pensiero creativo o della logica dell’indagine; stanno semmai dal lato della stupidità, addirittura dell’animalità” (G. Marrone, Storia di Montalbano, ed. Museo Pasqualino, Palermo 2018, p. 139).

Quando il commissario, che ha spesso bisogno delle competenze tecniche dell’agente, lo invita a dargli una mano e a non parlare della cosa con nessuno, la reazione dell’agente è commovente e comica al tempo stesso:

Per l’emozione a Catarella spuntaro di colpo dù lacrime. Isò la mano dritta, la chiuì e lassanno fora dal pugno, belli stinnicchiati, l’indice e il medio, se li portò alle labrra e li vasò supra al dorso, po’ li rigirò e li vasò nella parti ‘nterna. “Fino a che morte non ci separi”. Era un giuramento sullenni. […] Aviva le gamme rigide, le vrazza aperte e tese tipo Frankenstein e gli viniva difficili assà di moviri i passi. (“La rete di protezione”, pp. 20-21).

In effetti Catarella è sempre commosso e lusingato quando Montalbano gli assegna qualche incarico di fiducia:

Catarella, che aviva accaputo che s’attrattava di un incarrico pirsonali, accomenzò ad aggadrinacciarisi come gli capitava ogni volta che Montalbano addimannava il so aiuto: gamme rigite come quelle di un pupo, vrazza stinnicchiate verso il vascio e tinute leggermenti allargate, dita delle mano raprute di picca, squasi fussiro zampi palmati, occhio sbarracato, facci russa come a un pipironi, denti sirrati” (Il metodo Catalanotti, p. 238).

L’affetto di Catarella per il suo capo è infinito; nel racconto Il quarto segreto si commuove quando il commissario dice di averlo sognato:

”Maria, dottori! Ah, dottori dottori, che cosa bella ca mi sta dicenno! Vossia la notti s’insogna a mia!” Montalbano s’impacciò.

“Be’, non esageriamo… non è che mi capita tutte le notti”

“Però stanotti m’insognò! E chisto viene a significari che vossia ogni tanto mi appenza macari che quanno non sugno di sirvizio!”

Montalbano capì che Catarella stava mettendosi a chiàngiri, sopraffatto dall’emozione (“La paura di Montalbano”, p. 121).

L’animo di Catarella viene definito da Montalbano in modo quasi “pascoliano” o “pirandelliano”:

«Catarella è un picciliddro, un bambino dentro al corpo di un omo. E perciò ragiona con la testa di uno che non ha manco sette anni… Con ciò voglio dire che Catarella ha la fantasia, le alzate d’ingegno, le invenzioni di un picciliddro. Ed essendo picciliddro, queste sue cose le dice, senza ritegno. E spisso c’inzerta. Perché la realtà, vista con l’occhi nostri, è una cosa, mentre vista da un picciliddro è un’altra» (Il giro di boa, p. 193).

Ben note sono altre comicissime caratteristiche di Catarella: è ossequioso e ubbidiente coi superiori, fino alla piaggeria (il questore è pomposamente definito “il signori e Quistori” e le minacciose telefonate di costui sconvolgono e terrorizzano il povero agente); entra sempre a precipizio nella stanza del commissario, spalancandone la porta con un fragore assordante.

Su quest’ultimo punto, un esempio valga per tutti:

La porta dell’ufficio venne aperta con violenza, ma invece di andare a sbattere contro il muro, andò a colpire una pila di carte da firmare che Fazio aveva posato a terra e rimbalzò con la stessa ‘ntifica violenza tentando di richiudersi. Ma la porta non ce la fece, perché nel tragitto trovò un ostacolo: la faccia di Catarella. Il quale emise una specie d’acutissimo nitrito cummigliandosi il volto con le mano. “Mariiiiiia! Il naso mi scugnò!”. Che era, un commissariato quello? Quello era un laboratorio di gag cinematografiche che Charlot o Ridolini avrebbero invidiato. Montalbano aspettò con santa pacienza che Catarella si tamponasse il naso scugnato col fazzoletto.

(Il quarto segreto, in La paura di Montalbano, pp. 161-162).

A volte il commissario non resiste alla tentazione di prendersi gioco del povero agente:

”Pronto?”

“Ah dottori dottori!” fece la voce saziata e ansimante di Catarella “Vossia di pirsona pirsonalmente è?”

“No”

“Allora chi è col quale sto per parlando?”

“Sono Arturo, fratello gemello del commissario”.

Perché aveva principiato a fare lo stronzo con quel povirazzo? Forse per sfogare tanticchia di umore malo?

“Davero?” disse Catarella ammaravigliato. “Mi scusasse, signori gimello Arturo, ma se il dottori è come qualmenti in casa, ci lo dici che ho bisogno di parlàricci?”

(L’odore della notte, pp. 12-13).

Alcuni dialoghi fra Montalbano e Catarella sono veri capolavori di teatralità:

Erano le tre del mattino.

“Pronto?”

“Pronti?”

“Catarè!”

“Dottori!”

“Che fu?”

“Spararono”

“A chi?”

“A uno”

“Morì?”

“Morse”.

Splendido dialogo di stampo alfieriano.

(Ferito a morte, in La paura di Montalbano, pag. 24).

Concludo con un ultimo riferimento, che può maggiormente evidenziare l’umanità e la bontà di Catarella.

Nel racconto Il quarto segreto, contenuto nella raccolta intitolata La paura di Montalbano, il commissario deve risolvere un caso apparentemente di routine: la morte di un muratore albanese, di nome Pashko Puka, caduto da un’impalcatura in un cantiere. In realtà la morte di Puka si rivela un omicidio, progettato e voluto da un mafioso, ai danni di un infiltrato delle forze dell’ordine.

Non senza difficoltà, Montalbano riesce gradualmente a individuare il bandolo della matassa; e Catarella diventa coprotagonista della vicenda, accompagnando il suo commissario in una pericolosa missione nel cantiere che è stato teatro dell’omicidio.

Inizialmente, malgrado la cornice drammatica, la scena presenta momenti esilaranti grazie alla figura comica di Catarella: l’agente è “commozionato” dall’onore di dividere con Montalbano ben tre segreti e sta per soffocare quando accetta una sigaretta per non contraddire il suo capo (pur non essendo un fumatore). Ma alla fine del racconto, il brav’uomo – devastato dalla vista di un delinquente ucciso dal commissario – si rannicchia su Montalbano e piange come un bambino: «Matre santa! Matre santa, chi cosa tirribili è vidiri ammazzari un omo!».

Subito dopo, un’ulteriore riflessione, riferita a Montalbano con la tecnica del discorso indiretto libero, esprime un più alto sgomento: «A vederlo ammazzare era stato terribile, per Catarella. E ad ammazzarlo, invece, quale terribile livello si raggiungeva?» (p. 229).

L’affetto sincero per Catarella emerge anche nel momento estremo per Montalbano, allorché Camilleri ne organizza l’“autocancellazione” alla fine dell’ultimo romanzo della serie, Riccardino (pubblicato postumo nel 2020). Il commissario infatti, prima di “svanire”, rivolge un ultimo pensiero alle persone che ama di più:

 “Pinsò a Livia, a Fazio, a Mimì Augello, a Catarella e gli venni un groppo. Allura si pirmittì il lusso di una lagrima. (Riccardino, p. 272).

P.S.: Nella fortunata serie televisiva, Catarella è stato interpretato dall’ormai notissimo attore ragusano Angelo Russo; e si può dire che, se Luca Zingaretti è per tutti il commissario Montalbano (nonostante nei romanzi Camilleri descriva il suo personaggio con caratteristiche fisiche ben diverse), Russo è ormai ineluttabilmente e perennemente identificabile con Catarella, del quale riproduce in modo perfetto la gestualità, il linguaggio e la psicologia, con effetti esilaranti ma al tempo stesso con un realismo vivido ed efficacissimo. 

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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