“Le Palermitane”, un mimo urbano dei giorni nostri – Atto unico

Il breve atto unico “Le Palermitane”, rappresentato al Liceo Umberto I di Palermo il 21 marzo 2019, era nato da una costola del libro “Sicilitalia – Scontro/incontro fra lingua, identità e culture” di Vito Lo Scrudato, Mario Pintacuda e Bernardo Puleio, pubblicato nel 2018 da Pietro Vittorietti. Ne costituiva dunque, come si dice oggi, uno “spin-off”, in cui avevo riversato un ampio repertorio di espressioni di “italiano regionale della Sicilia”.

Le protagoniste del “mimo urbano” (da inguaribile grecista, avevo in mente “Le Siracusane” di Teocrito) sono delle signore palermitane che “vorrebbero” parlare in italiano. Il dialetto puro, incontaminato, “antico”, oggi non è più la forma prevalente di espressione del popolo palermitano: è stato invece sostituito da questo ibrido italo-siculo che sempre più sta assumendo le caratteristiche di “lingua alternativa”, addirittura in parte sdoganata e ratificata dall’Accademia della Crusca (che di recente ha accolto l’uso transitivo di verbi come “uscire” o “scendere”: “esci il cane”, “scendi la spesa”, ecc.).

Le Palermitane del nostro breve atto unico si incontrano in una caotica strada della città, parlano e sproloquiano di bambini, di cibo, di pratiche di invalidità, di “autobùs” che non passano, in un fuoco pirotecnico lessicale di espressioni idiomatiche italosicule. Sono interrotte, temporaneamente, da un grottesco incidente fra due automobiliste dai nervi molto tesi, che si assalgono “a male parole” dopo essersi scontrate ad uno dei mille incroci stradali di Palermo. Infine, mentre Giove Pluvio manda giù improvvisamente uno “sdilluvio di quello giusto”, si ha un aprosdòketon conclusivo (che non anticipiamo).

Un breve, semplice spaccato della vita quotidiana di questa nostra caotica, invivibile, bellissima città. Ma anche un modo di vedere, anche qui, la Sicilia attraverso gli occhi delle “fimmine” che la abitano.

Lo spettacolo è stato recitato in forma oratoriale, con tanto di leggìo; mancava sia il tempo sia la possibilità di fare di meglio… insomma avevamo “addubbato”: ma era andata bene lo stesso.

MP

21 marzo 2019

Mario Pintacuda

LE PALERMITANE

Mimo urbano “a tipo” Teocrito, in italiano regionale della Sicilia

Personaggi e interpreti (alunni della IV D del Liceo classico “Umberto I” di Palermo, a.s. 2018/2019):

CARMELINA – FRANCESCA SCOZZARI

BENEDETTA – LALLA DI MONTE

ROSALIA – FEDERICA DI VITA

I AUTOMOBILISTA – IVANA DI SALVO

II AUTOMOBILISTA – PAOLA GAGLIARDO BRIUCCIA

AMICA DELLA I AUTOMOBILISTA – ROBERTA ROMANO

BAMBINI – TOTI MARIA GERACI E VINCENZO FILANGERI

CORO DI ALTRI PALERMITANI – altri alunni/e di IV D

Effetti sonori a cura di Massimiliano Meli

In una strada di Palermo – Clacson e rumore di traffico – La signora Carmelina, con bambino, incontra due altre signore conoscenti (Benedetta e Rosalia, quest’ultima con un ragazzino)

CARMELINA – (al bambino che fa i capricci) Salvuccio, se non la smetti te le dò buone! Guarda che abbuschi! Una fraccata di legnate ti dò!

BENEDETTA – Ma che, signora, il bambino ha la grevianza? Mi pare che vuole attaccare turilla.

CARMELINA – Ca chi! Stamattina me l’ha fatta negli occhi! Mio figlio, forte che comincia, chi lo ferma più? Non ci può niente. Questo bambino mi fa smuovere i nervi.

ROSALIA (con bambino grandicello accanto) – Lo capisco, pure mio figlio è una pìspisa; gli occhi gli corrono dappertutto.

CARMELINA – (osservando il ragazzino di Rosalia) Miii, signora, suo figlio sta spicando, è fatto grande! A chi somiglia?

ROSALIA (orgogliosa) – Questo bambino somiglia alla nostra partita! Il cuore viene a vederlo!

CARMELINA (al suo bambino che ritorna ad agitarsi) Salvuccio, stai manzo! Ca sempre tosto sei? Se ti stai buono ti compro il gelato!

BENEDETTA (cambiando discorso) – Mi dica, signora Carmelina, suo figlio grande si sistemò?

CARMELINA – Ma quando mai, mio figlio non è cosa da tavolino, non ne vuole manco a brodo di lavorare… Suo padre ci fece l’opera, ma lui niente, mentre parlava suo padre lo lasciò in tredici e se ne andò…

BENEDETTA – Mah… i figli sempre difficili sono di tutto! Mia figlia all’epoca ha fatto la fuitina, dispiacere mi pigliai, mi deve credere… però poi io e mio marito sempre l’abbiamo garantita!

CARMELINA – Ma ora sua figlia dove sta?

BENEDETTA – (contenta) Muro con muro stiamo, meno male! Prima stava dove perse le scarpe il Signore e io ne pigliai una malattia, non sapevo dove dividermi prima. Poi però si pigliò la casa popolare accanto a me, il Signore ce lo paga al sindaco!

CARMELINA – (al bambino) Che hai, Salvuccio, gli occhi a pampinella? Il sonno t’è calato? Svegliati, che ancora devi mangiare! E che luffa che hai!

ROSALIA – Ma il bambino per mangiare, mangia?

CARMELINA – Sèèèèèèèèèè, però ci devo stare di sopra! E poi è difficile di mangiare: (elenca) la pasta non tanto ci tira, le cose dolci ci sdegnano, solo a ora di carne si lascia andare, sasizza, stigghiola, crasto… Qualche volta ha spinno di melenzane. Però poi ci venno gli incollorioni di stomaco, l’altro ieri si rovesciò tutto e mi venne il lanzo a pulire. Ora però sta bene: mah, quando si contano è niente… Teniamoci forte!

ROSALIA – Mi, invece i miei figli hanno sempre spinno di pasta col forno e poi la domenica ci piace bere, di vino ne prendo un tre bottiglie… poi vogliono fatto il bollito, ma la carne la sua morte è arrostita! Devo calare un chilo di pasta, loro si lamentano, mi chiedono “Ancora vogliono cuocere gli spaghetti?”, ma poi mangiano a tinchitè e si sentono appanzati e si lamentano… Mio marito mai è contento: se ci piace il sugo, massimo massimo mi dice: “Non è strambo”. Ci feci i cardi e ci parsero amarostici. Sempre pane si mancia, oggi il pane tutto se n’è andato!

CARMELINA – I mariti difficile è accordarli, ave ragione! Ma lei, signora, buona ci va a cucinare; e poi non ha quella bella stanza grande di cucina? Quanto ave che ce l’ha?

ROSALIA – Questa cucina noi l’abbiamo dall’inizio sposati, me la recalò mio suocero. Noi sposammo vent’anni fa oramai. Però sta casa me l’hanno picchiata tanto che sempre guai abbiamo avuto!

BENEDETTA – A proposito, come sta sua madre, signora Rosalia? Mi dissero che non tanto si sentiva buona.

ROSALIA – Ha avuto giramento di testa, allora ci facemmo cavare il sangue e ci risultò lo zucchero. Ora è pure accarpata, ha avuto la nfluenza attaccata allo stomaco, pure l’intòssico ci venne. Il dottore mi insegnò un medicinale ma ancora mia madre mischina sta male. Oggi aggiornò col mal di testa che niente ci potè. E poi ave tre mesi che combatte con un braccio! E sua suocera come sta, signora Benedetta?

BENEDETTA – Non lo sa? Muriu, mischina, ha fatto una volata! Non si ci crede! Ancora non mi trapanò che è morta. Il corrivo m’è rimasto…

ROSALIA – Ah, dispiacere mi sto pigliando. Condoglianze! Mia madre pure l’anno scorso se l’è vista pietre pietre… Si allavancò dalle scale e ha dato il ginocchio. Però niente si è rotta. Mah! Quando si contano è niente. Ora mia madre si sente paradiso, mi deve credere. Teniamoci forte!

CARMELINA – Le carni si arricciano a sentire ste cose… Io a mia cognata ieri ci feci la nottata, ha comprato un bambino e ancora sta male… (cambiando discorso) Ah signora, come finì con la questione dei documenti dell’invalidità di sua madre?

BENEDETTA – Sé, ci dettero l’invalidità per cose di testa. Aspetto i soldi, ma a come ragionano se ne parla fra qualche sei mesi… L’ho saputo tramite che mio zio Totò è impiegato là. Noi a mio zio Totò l’abbiamo come persona di fiducia. Prima non lo volevo disturbare, ma abbiamo fatto malavita per non parlare. Mio zio Totò quattro fili se li mancia; questa cosa a colpo ce la fece, le cose giuste bisogna dire.

CARMELINA – Buono fece, signora; ma c’è dovuta andare lei personalmente?

BENEDETTA – Sé, perché dissero che ci deve andare la propria persona. La mattina mi passò a girare uffici uffici. Come entrai, un impiegato mi disse: “Signora non si preoccupi, oggi ce ne sono discreti, non troppa folla”. Ma io non poteva aspettare, allora ce lo dissi e lui mi disse: “Senta, onde evitare di aspettare inutile, veda un pochettino di girarsi, parlasse col capufficio”. E insomma io andai da mio zio e lui mi scrisse un pitazzo tanto e subito entrai. A tappo me lo fece!

ROSALIA – Dice vero? Domani ci vado e mi informo pure per mio patre se ci attocca. Ci posso dire a suo zio che sono persona sua? Disfizziata sono di quante camurrie che ci sono. L’altra volta alla posta un inchiappo mi combinarono. Mah! Non c’è più dove arrivare!

CARMELINA – Sti politici a mala figura la stanno portando! (nota che il bambino ha un foruncolo) Aspè, Salvuccio, ora ti scripento! (lo “scripenta” provocandone il pianto) Miiiiiiii, tutto sminnato sei?! Comunque, ora ce ne andiamo, che aspettiamo l’autobùs.

INTERMEZZO

(rumore di frenata – due automobilisti si scontrano a un incrocio – scendono furiosi dalle macchine)

AUTOMOBILISTA N. 1 – Allàtati, vastasa!

AUTOMOBILISTA N. 2 – Lei ha venuto tutta sparata!

AUTOMOBILISTA N. 1 – Che sente dire, ah?

AUTOMOBILISTA N. 2 – Ma cu mi rappresenta lei? Non mi stonasse la testa!

AUTOMOBILISTA N. 1 – Per cretina la prendo e per cretina la lascio. Lei ci colpa!

AUTOMOBILISTA N. 2 – Stasse attenta che me ne esco al naturale!

AMICA DELL’AUTOMOBILISTA N. 1 (dalla macchina) – Non ci dare conto a questa vastasa!

AUTOMOBILISTA N. 2 – Ora ci vuole… viene a dire che ho ragione, allora!

AUTOMOBILISTA N. 1 (all’ amica) Non ci voglio dare sazio. A senso suo pure ragione ha! (all’altra automobilista) Non c’è più dove arrivare! Ringraziasse ca sono confessata di fresco!

AUTOMOBILISTA N. 2 – Che si crede, ca trovò il muro basso? (improvvisamente conciliante) Facciamo così e ce ne usciamo dalla malattia: ci do cinquanta euro e siamo pace.

AUTOMOBILISTA N. 1 – Ma che fa, babbia? La macchina dal lattoniere devo portare!

AUTOMOBILISTA N. 2 – Bello spicchio ca è lei! A senso mio, volevo fare bene!

AUTOMOBILISTA N. 1 – Mi voglio sciacquare la bocca! Per un cornuto, un cornuto e mezzo!

AUTOMOBILISTA N. 2 – Ca chisto modo e maniera è? (si allontanano questionando)

CARMELINA – Miiiiiiiiiii, il Viva Maria stava succedendo. (guarda l’orologio) Ca questo autobus mai si arricampa? Ave un’ora che aspetto la ventotto!

BENEDETTA – Se, signora, uora c’è rivoluzione di autobùs, ora pure il biglietto cambiarono.

CARMELINA – Io biglietto non ne faccio, per ora le spese mi corrono! Pertanto, anche se mi scoprono ci fazzo parlare all’autista da mio marito come arriviamo allo Zen.

ROSALIA – Sé, buono fa. Anche mio marito l’altro giorno ci acchianò u controllore e lui biglietto non ne aveva e allora mio marito lo taliò storto e ci disse: “C’è cosa?”. E chiddo se ne andò. Se ne andassero da chi se la passa buona!

CARMELINA – Buono ci andò suo marito. Ma che fa sto autobùs?

BENEDETTA – Io la fermata dell’autobùs ce l’ho sotto casa, scendo e trovo l’autobùs, e chi lo può fare?

CARMELINA – È che non passano, a Palermo c’è il coàs! E poi da qui a casa mia si ci impiega qualche quaranta minuti! Certo, la strada c’è! (arriva il bus strombazzando) Ah, sta arrivando, come vuole Dio, la saluto signora! (trascina il bambino) Camina, Salvuccio! Che sei muscio! Intamato mi pari! (Tuono) Mi, pure si sta mettendo a piovere, sta piovendo giusto! Comunque ho il cappuccio e pure che piove non mi colo tutta. Me ne vado, con permesso!

ROSALIA (salutando) Liberamente! Non si scantasse, ca l’estate sta venendo, chiamala che viene!

(l’autobus si allontana – passa un corteo di gilet rosanero in sciopero, con uno striscione: VOGLIAMO ESSERE EUROPA, NO PROFONDO SUD).

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

2 commenti

  1. Il professore Pintacuda ha tante straordinarie qualità: conoscenze di lingue alte e colte, come anche grande dimestichezza con la lingua del Popolo e col dialetto. Sorregge questa straordinaria pièce, che ricordo con grande piacere, una verve ironica non indifferente.

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