La metamorfosi di Ifigenia

Uno scoliaste alle Rane di Aristofane (v. 67) riferisce che, dopo la morte di Euripide (407-406 a.C.), suo figlio Euripide il Giovane fece rappresentare (forse nel 405 a.C.) tre tragedie del padre: l’Ifigenia in Aulide (Ἰφιγένεια ἡ ἐν Αὐλίδι), l’Alcmeone a Corinto e le Baccanti (Βάκχαι); i drammi erano stati composti dal poeta durante il suo soggiorno in Macedonia, alla corte di Archelao. La trilogia postuma ottenne la vittoria.

La trama dell’Ifigenia in Aulide è assai lineare: Euripide rinuncia qui alla tipologia dei “drammi d’intrigo” e torna ad una notevole semplicità drammatica.

La flotta dei Greci che deve partire per Troia è bloccata ad Aulide in Beozia da venti avversi. L’unico modo per riprendere la navigazione è, secondo l’indovino Calcante, il sacrificio di Ifigenia, la figlia di Agamennone. In un dialogo con un vecchio servo, Agamennone afferma di aver scritto una lettera ingannevole alla moglie Clitemestra, chiedendole di portare Ifigenia ad Aulide con il pretesto di darla in sposa ad Achille. Ifigenia giunge dunque ad Aulide con la madre Clitemestra e il piccolo fratello Oreste. Ben presto, scoperto l’inganno, Clitemestra si scaglia contro il marito, mentre Ifigenia disperata prega il padre di risparmiarla. Achille, sentendosi coinvolto, vorrebbe salvare la ragazza, ma l’esercito acheo glielo impedisce. A questo punto Ifigenia, con un clamoroso cambiamento psicologico, accetta di immolarsi per il bene della sua patria. Ma, proprio nel momento in cui la fanciulla sta per essere sacrificata, la dea Artemide la sostituisce con una cerva. Finalmente, placatisi i venti, la spedizione può avere inizio.

Come si vede, nel dramma, a distanza di pochi versi (una decina di minuti sulla scena), la giovane protagonista pronuncia due discorsi opposti: nel IV episodio chiede disperatamente al padre di non ucciderla; nel V episodio invece, in preda a una straordinaria esaltazione, chiede di morire per la Grecia.

La prima rhesis (vv. 1212-1252) viene pronunciata nel momento in cui Ifigenia ha appreso l’intenzione di suo padre Agamennone di sacrificarla, per consentire così la partenza dell’esercito greco per Troia.

Lucia Lavia (Ifigenia) e Sebastiano Lo Monaco (Agamennone) nella rappresentazione dell’Ifigenia in Aulide a Siracusa nel 2015; la regia era di Federico Tiezzi

 La giovane, disperata, tenendo accanto a sé il fratellino Oreste, supplica il padre di non ucciderla; fa appello ai dolci ricordi dell’infanzia, quando il genitore e la figlia si ripromettevano un avvenire felice, e protesta di non aver nulla da spartire con le nozze di Elena e Paride:

Non mi uccidere prima del tempo, non mi costringere a visitare le plaghe sotterranee: è dolce guardare la luce del sole. Per prima ti chiamai padre e me per prima tu chiamasti figlia; per prima, accoccolandomi sulle tue ginocchia, a te io diedi e da te ricevetti tenere carezze. […] Che c’entro io con gli amori di Elena e Alessandro? Com’è possibile che sia venuto per la mia rovina? Guardami, dammi un bacio perché dopo la morte mi resti almeno questo segno di te, se non ti lascerai convincere dalle mie parole. Fratellino, tu sei troppo piccolo per soccorrere i tuoi e tuttavia su, piangi insieme a me, supplica il babbo di non lasciar morire la sorella tua. Io credo che una certa percezione del dolore insorga anche in un bimbo. Ecco, lui ti supplica in silenzio8, padre mio. Risparmia la mia vita, abbi pietà! Sì, ti tocchiamo il mento, noi due, le tue creature, lui pulcino ancora, io già cresciuta. Con una sola frase renderò vana ogni altra considerazione: per gli esseri umani la luce del sole è il piacere più bello. Sotto la terra è il nulla. Pazzo chi si augura di morire! Vivere male è meglio che morire bene” (vv. 1218-1252; trad. Franco Ferrari).

Nella parte conclusiva, la disperata esclamazione della fanciulla ribalta la concezione espressa, ad es., da Aiace nell’omonimo dramma sofocleo: “Chi è nato nobile deve o gloriosamente vivere o gloriosamente morire” (vv. 479-480, trad. Pattoni).

Quanto alla primogenitura di Ifigenia, si ricordino i celebri versi di Lucrezio: “Nec miserae prodesse in tali tempore quibat / quod patrio princeps donarat nomine regem” (“Né poteva giovare all’infelice / in tale circostanza / l’avere donato al re per prima / il nome di padre”, De rerum natura I 93-94, trad. Carbonetto).

Nel V episodio avviene però una svolta radicale.

Achille, che si era opposto al sacrificio di Ifigenia, riferisce che tutto l’esercito lo ha contestato; l’eroe ha rischiato la lapidazione, ma garantisce ancora il suo aiuto. A questo punto, con un sorprendente cambiamento, Ifigenia proclama di voler morire, rendendo possibile la partenza della flotta e la distruzione di Troia; solo così si metterà fine all’arroganza dei barbari e si vendicherà il ratto di Elena.

Ecco le sue parole:

Ho deciso di morire e desidero andare incontro nobilmente a questa fine allontanando da me ogni ombra di viltà. Coraggio, madre mia, considera insieme a me quanto ho ragione. Ora tutta l’Ellade immensa volge gli occhi a me e da me dipende la partenza della flotta e la rovina dei Frigi e che mai più i barbari possano rapire dall’Ellade felice le donne a venire, una volta che abbiano pagato caro l’oltraggio di Elena, che fu rapita da Paride. Tutto ciò io salverò con la mia morte, e sarà benedetta la mia gloria (κλέος) di liberatrice dell’Ellade. Ecco perché non devo essere troppo attaccata alla vita. Tu mi hai partorito per il bene di tutti gli Elleni, non di me soltanto” (vv. 1375-1386).

La ragazza offre se stessa alla Grecia:

Io offro il mio corpo all’Ellade. Sacrificatelo! Espugnate Troia! Questo sacrificio è un ricordo di me che vivrà nel tempo: ecco i miei figli, le mie nozze, la mia fama. È giusto, madre mia, che gli Elleni dominino sui barbari, non i barbari sugli Elleni: quelli sono schiavi, questi sono uomini liberi” (vv. 1397-1400).

Il tema del sacrificio volontario di una giovane vita per una causa importante era già comparso varie volte in Euripide; basti ricordare Alcesti nella tragedia omonima, Macaria negli Eraclidi, Evadne nelle Supplici, Polissena nell’Ecuba e Meneceo nelle Fenicie. Qui però il motivo è centrale e non episodico; inoltre gli altri personaggi sceglievano di morire fin dall’inizio, in modo libero e spontaneo, mentre Ifigenia all’inizio si è opposta decisamente al sacrificio.

Per questo brusco cambiamento il personaggio di Ifigenia apparve contraddittorio già ad Aristotele:  “esempio di carattere incoerente è Ifigenia in Aulide: colei che supplica non assomiglia affatto a ciò che essa è successivamente” (Poetica 1454a 1-3, trad. Ferrari).

In realtà la metamorfosi della fanciulla può essere ritenuta ammissibile nell’ottica, tipicamente greca, del predominio maschile; come infatti scrive ottimamente Eva Cantarella, Ifigenia “debole, rispettosa delle gerarchie familiari e convinta dalle parole paterne e dalla generale esaltazione dei valori patriottici sbandierati (anche da suo padre) ormai solo a copertura del desiderio di potere, è vittima di un autoconvincimento che la porta a condividere, veri o falsi che siano, i valori patriarcali. È una donna che, come tante, non ha la forza di resistere a una cultura che la inchioda a uno stereotipo di genere di cui è al tempo stesso vittima e complice. In questa chiave, Ifigenia sembra diventare l’archetipo di tante donne morte per volere del potere maschile e in obbedienza a una supposta volontà divina”.

In tale prospettiva, risulta particolarmente (ed esageratamente) maschilista una perentoria dichiarazione di Ifigenia: “Un solo uomo merita di vedere la luce del sole più che migliaia di donne” (v. 1394).

A questo movente “culturale” occorre però, a mio parere, aggiungerne un altro, e cioè l’instabilità umorale ed il desiderio di protagonismo dei giovanissimi, per i quali possono essere “fisiologici” anche i cambiamenti psicologici radicali. Ifigenia infatti proclama espressamente il suo desiderio di gloria (in greco κλέος, come avrebbe detto un eroe omerico): “sarà benedetta la mia gloria di liberatrice dell’Ellade” (vv. 1383-1384). Con la sua scelta estrema Ifigenia decide di essere non più una donna fra tante, ma la donna che ha salvato la Grecia e le ha permesso di predominare sui barbari.

Può sembrare strano che Euripide, che tante volte si era espresso apertamente (ad es. nelle Troiane e nell’Elena) contro la guerra, difenda ora per bocca di una fanciulla esaltata l’imperialismo ed il razzismo xenofobo. Ma queste parole sono pronunciate da una ragazza in preda ad un grave turbamento psichico, per cui non è detto che da esse si debba ricavare la convinzione reale dell’autore; è vero anzi, forse, proprio il contrario: anche Ifigenia, come tanti altri, è vittima della “follia della guerra” ed accecata da un’esaltazione ideologicamente assurda ed improponibile, ma purtroppo molto verosimile (e molti recenti tristi episodi di cronaca internazionale lo confermano).

Va ricordato, infine, che discorsi “opposti” del genere facevano parte dei “discorsi duplici” (δισσοὶ λόγοι) tanto cari ai sofisti del tempo di Euripide, capaci – grazie alla loro nascente arte retorica – di sostenere indifferentemente prima una tesi e poi il suo esatto contrario.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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