“29 settembre”

Tantissimi di noi, tutti i 29 settembre, sono inevitabilmente portati a ricordare la famosa canzone composta nel 1966 da Lucio Battisti e Mogol e portata al successo dall’Equipe 84 in un singolo uscito nel marzo del 1967.

“29 settembre” fece scalpore sia per il testo molto innovativo sia per gli effetti sonori “psichedelici” impiegati dall’Equipe 84 (la canzone fu soprannominata «il Sergeant Pepper’s italiano» per l’influsso radicale che ebbe sul panorama musicale).

Il testo affrontava un tema scottante, quello dell’adulterio, argomento quasi tabù nel periodo pre-sessantottino; a quei tempi nella musica leggera prevalevano canzoni idilliache, che descrivevano amori fortemente idealizzati. C’era, sì, l’allusione a qualche tradimento, ma la conclusione inevitabile era la richiesta di perdono (“Perdono” di Caterina Caselli) o l’umiliazione del pentimento (“In ginocchio da te” e “Non son degno di te” di Gianni Morandi). Qui colpisce invece lo stato d’animo finale del protagonista, che – pur avendo passato l’intera giornata del 29 settembre con un’altra donna – l’indomani torna fra le braccia della sua ragazza come se niente fosse accaduto, rallegrandosi anzi del fatto che lei ignori tutto (“tu non sai perché”).

Si tratta in realtà, per tutta la prima parte, di un lungo flashback: la mattina del 30 settembre il protagonista (chiamiamolo Lucio) rivive la giornata precedente. Uno speaker alla radio ricorda per due volte inequivocabilmente la data: “Giornale radio. Ieri, 29 settembre… In tal modo, nella ricorrenza del 29 settembre…”.

Il giorno prima, il fatidico 29 settembre, Lucio sedeva in un caffè, assorto nei suoi pensieri; ma da questi pensieri era assente (momentaneamente?) la sua ragazza: “Seduto in quel caffè / io non pensavo a te”.

Lo sguardo del ragazzo era assente, distratto: “Guardavo il mondo che / girava intorno a me”. Per me qui c’è una chiara allusione ironica subliminale a una canzone di Jimmy Fontana del 1965, “Il mondo” (il cui testo era di Gianni Meccia); anche lì il protagonista era distratto e svagato e dimenticava momentaneamente la sua amata: “No / stanotte amore non ho più pensato a te, / ho aperto gli occhi per guardare intorno a me / e intorno a me / girava il mondo come sempre”; ma lì a distrarre Jimmy non era lo sguardo seduttivo di una ragazza sconosciuta, bensì il fascino leopardiano dell’universo, il pensiero agli “amori appena nati” e a quelli “già finiti”, alla “gioia” e al “dolore” della gente come lui; e per Jimmy era dolce naufragare in quel mare: “nel tuo silenzio io mi perdo / e sono niente accanto a te”.

In “29 settembre” invece non c’è nessun colle Tabor, nessuna contemplazione mistico-filosofica-esistenziale dell’universo. No, qui c’è una ragazza che si trova al bar nello stesso momento, che guarda Lucio e sorride: “Poi d’improvviso lei sorrise”.

Mi vengono in mente i versi di Alda Merini: “Il tuo sorriso sarà / luce per il tuo cammino / faro per naviganti sperduti”; a un sorriso così non si resiste (imparino da qui tutte quelle persone che non ridono mai, che non sanno illuminare il mondo e la vita con un sorriso).

Inebriato da quel sorriso, senza rendersi conto di quello che sta succedendo (“ancora prima di capire”), Lucio si trova “sottobraccio a lei, / stretto come se non ci fosse che lei”.

Un turbine passionale travolge il protagonista, che ha occhi solo per la sua nuova occasionale compagna: “Vedevo solo lei / e non pensavo a te”. Il mondo è tutto loro: privi, evidentemente, di qualsiasi impegno lavorativo o familiare, dimentichi (lui sicuramente) degli altri legami affettivi, i due si tuffano nel vortice della città: “E tutta la città / correva incontro a noi”.

La giornata vola, scendono le tenebre e i due compagni occasionali sono sempre insieme (“Il buio ci trovò vicini”); la serata vola via fra un ristorante e una balera (le discoteche non esistevano ancora): “Un ristorante e poi / di corsa a ballar sottobraccio a lei”.

Su quello che avvenne dopo, Lucio glissa affidandosi a una sorta di euforica scoppiettante anafora: “Stretto verso casa, abbracciato a lei, / quasi come se non ci fosse che lei / quasi come se non ci fosse che lei / quasi come se non ci fosse che lei / come se non ci fosse che lei”.

Passata è la tempesta, è il 30 settembre, il flashback si è concluso, la radio annuncia le notizie del mattino.

Lucio si sveglia un po’ intontito e confuso; come scrive Manzoni, al risveglio “la mente, appena risentita, ricorre all’idee abituali della vita tranquilla antecedente; ma il pensiero del nuovo stato di cose le si affaccia subito sgarbatamente; e il dispiacere ne è più vivo in quel paragone istantaneo”.

Infatti Lucio constata: “Mi son svegliato e… / e sto pensando a te. / Ricordo solo che… / che ieri non eri con me”; belle quelle parole ripetute (“e”, “che”, cui ho aggiunto dei puntini), con quella faticosa ricostruzione mentale dell’accaduto, con la fine della solenne sbornia amorosa del giorno prima: “Il sole ha cancellato tutto”.

Allora il ragazzo si alza di scatto (“di colpo volo giù dal letto”) e per prima cosa telefona alla sua ragazza (“E corro lì al telefono”); ora parla a valanga con lei, che il giorno prima chissà dov’era, chissà che ha fatto (che si sia concessa anche lei qualche divagazione?), chissà che ha pensato. Il ragazzo la sommerge di coccole, ride e si compiace (o si rassicura) del fatto che lei non sappia il motivo di quella torrenziale telefonata: “Parlo, rido e tu, / tu non sai perché / T’amo, t’amo e tu, / tu non sai perché”, ripetuto come un tormentone liberatorio fino alla fine.

L’Equipe 84 era all’epoca uno dei complessi musicali più acclamati, sicché Battisti per garantire il successo del brano rinunciò a interpretarlo delegandolo al gruppo di Maurizio Vandelli. La registrazione della canzone avvenne negli studi Ricordi di Milano, con un registratore ultratecnologico per i tempi, a otto piste.

Proprio durante la registrazione nacque l’idea originalissima e vincente di inserire nella canzone la voce fuori campo di uno speaker radiofonico (quella dell’annunciatore della Sede RAI di Milano Gino Capponi) che, mentre legge le notizie del giornale radio, scandisce la fatidica data; di questa splendida idea si sono presi il merito in tre: Maurizio Vandelli (che ha buone possibilità di avere ragione), Mogol e il direttore di produzione della Ricordi Paolo Ruggeri.

Il 45 giri raggiunse il numero uno della hit parade italiana nel maggio del 1967 e vi rimase per 5 settimane; il brano dell’Equipe 84 fu poi proclamato “Disco giallo” nell’ascoltatissima trasmissione radiofonica “Bandiera gialla” di Gianni Boncompagni e Renzo Arbore.

Trascrivo qui la classifica della Hit Parade del 12 maggio 1967, che come si vede conteneva altre canzoni famose: 1) “29 settembre” (Equipe 84); 2) “Winchester cathedral” (New Vaudeville Band); 3) “A chi” (Fausto Leali); 4) “Un mondo d’amore” (Gianni Morandi); 5) “L’immensità” (Johnny Dorelli); 6) “Stasera mi butto” (Rocky Roberts); 7) “Sono bugiarda” (Caterina Caselli); 8) “Cuore matto” (Little Tony).

All’inizio del 1969 Lucio Battisti, che ormai iniziava ad affermarsi anche come cantante, decise di riproporre la canzone dandone un’interpretazione più “classica”, meno sperimentale e assolutamente non psichedelica. Eliminò la voce dell’annunciatore del giornale radio, ritenuto non più necessario (dal momento che la storia narrata era ormai nota al pubblico); volle anche una strumentazione più tradizionale, con una chitarra 12 corde suonata per gran parte in arpeggio, i violini e il flauto (e senza la batteria).

L’interpretazione di Battisti era molto sentita (in particolare negli ultimi due versi, nei quali il protagonista è al telefono, il canto sfocia in una sorta di riso forzato e rende potentemente evidente lo stato d’animo); ma, nonostante ciò, a mio parere resta insuperata e insuperabile l’interpretazione dell’Equipe 84, che su noi ragazzi di allora ebbe un impatto impressionante, per l’arrangiamento modernissimo, il ritmo vorticoso, il controcanto di sottofondo della “band”.

P.S.: Secondo alcuni la canzone potrebbe anche alludere a un sogno e non alla narrazione di un tradimento davvero accaduto; ma, per far contenti gli psicanalisti, si potrebbe dire che, se quel sogno c’è stato, il nostro Lucio certe cose, almeno a livello di subconscio, le ha pensate… Comunque l’ipotesi onirica fu sconfessata dallo stesso Mogol, che – anche per riportare la canzone su binari meno trasgressivi – dichiarò: “L’intenzione era quello di dare un esempio di ciò ti prende per una persona una sera e poi rendersi conto del confronto per il bene profondo di anni e queste cose non possono essere messe a confronto, perché uno è un lampo e l’altro è la luce“. Mogol aggiunse che il riferimento al 29 settembre era del tutto casuale; ma la data del 29 settembre, coincidente con il compleanno della sua prima moglie, Serenella, ha fatto malignare su una natura autobiografica del testo, come una sorta di subliminale confessione.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

1 commento

  1. Interesse e del tutto nuova questa analisi testuale della bellissima canzone di Battisti , io ho sempre conosciuto ed amato la versione cantata da lui . Naturalmente , dal momento che le tue sono sempre pillole di storia e cultura in tutti i sensi , mi cercherò su Spotify la versione cantata da Equipe 84 . Sul fatto che Mogol si sia accreditato la genialata dello speaker fuoricampo , anch’io ho i miei dubbi . Ultimamente è diventato un po’ mitomane .

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