L’attacco di Putin

Il 10 maggio 1940 Hitler diede inizio alla “campagna di Francia” violando la neutralità di Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, invadendo questi Paesi e aggirando così la Linea Maginot; colse così impreparati gli Alleati. Il 10 giugno l’Italia purtroppo seguì la Germania in questa guerra sciagurata e il 25 giugno la Francia dovette arrendersi ai Tedeschi.

L’attacco nazista alla Francia nel 1940

Analogamente, l’offensiva contro l’Ucraina scatenata stanotte da Putin è partita dalla Bielorussia, Paese solo apparentemente indipendente, ma nel quale almeno 30.000 soldati russi scorrazzavano da tempo, con quella che gli esperti militari definiscono «la più grande concentrazione di truppe russe in un territorio estero» dai tempi della prima guerra fredda.

La lunga premeditazione dell’attacco all’Ucraina è dimostrata proprio dal piano tattico militare, che – come si sta vedendo in queste ore – prevede non di “arrivare” alla capitale Kiev, ma di “partire” da Kiev: l’aeroporto è sotto attacco e già ieri sera era avvenuto un primo attacco informatico alle infrastrutture governative di Kiev. La guerra oggi è anche informatica: la dipendenza pressoché totale del mondo odierno dalla tecnologia informatica rende questo terreno particolarmente propizio per un micidiale attacco globale.

L’attacco russo in corso

Non sappiamo quali saranno gli sviluppi di una situazione molto preoccupante: l’Ucraina ha il secondo esercito in Europa dopo la Turchia e sicuramente il conflitto nascente costerà molte vittime innocenti.

Ieri intanto l’ambasciata italiana e la Farnesina per tutto il giorno hanno inviato ai nostri connazionali nel Paese messaggi Sms ed email, rammentando a tutti «l’urgenza di lasciare l’Ucraina con i mezzi commerciali disponibili» (sarebbe bello sapere quali essi siano, considerando gli attacchi agli aeroporti).

Vivono in Italia moltissimi immigrati dall’Ucraina, in particolare badanti; una signora proveniente da lì ha assistito mia madre negli ultimi anni della sua vita e sempre mi citava la forte presenza russa nel suo Paese (alle elementari, ai tempi dell’URSS, era imposto lo studio della lingua russa), una presenza “invadente” a tutti i livelli (e non solo a livello letterale come in queste ore).

Per associazione di idee, mi viene in mente in questo momento un mio viaggio a Praga, vent’anni fa.

Durante una gita ai castelli di Boemia, mentre il pullman si spostava da una località all’altra e mentre quasi tutti i compagni di viaggio cedevano all’abbiocco del dopopranzo, io mi misi a parlare con la nostra guida, una signora che aveva più o meno la mia età; e lei mi ricordava l’invasione sovietica a Praga nell’agosto del 1968.

Ricordava i carri armati russi che entravano, con alla guida degli spauriti ragazzi biondissimi; e mi diceva che lei e le sue amiche erano andate in minigonna sotto quei minacciosi tank e avevano invano chiesto a quei ragazzi, poco più grandi di loro, di tornarsene da dove erano venuti: loro sorridevano, ma eseguivano gli ordini.

Praga 1968

La primavera di Praga affondò in quei giorni; e invano pochi mesi dopo Jan Palach in piazza San Venceslao, al centro della capitale ceca, si appiccò il fuoco con un accendino, per urlare al mondo intero la resistenza anti-sovietica.

Ma l’Occidente ha sempre altri pensieri: già nel 1956, quando i sovietici invasero Budapest il 4 novembre, il presidente ungherese lanciò un vano appello che fu captato dalle radio occidentali: «Qui parla il Primo ministro Imre Nagy. Oggi all’alba le truppe sovietiche hanno aggredito la nostra capitale con l’evidente intento di rovesciare il governo legale e democratico d’Ungheria. Le nostre truppe sono impegnate nei combattimenti. Il governo è al suo posto. Comunico questo fatto al nostro paese e al mondo intero». Finì giustiziato pochi mesi dopo: l’Occidente guardava allora alla crisi di Suez, c’è sempre altro (fortunatamente?) a cui pensare.

Imre Nagy (1896-1958)

La storia si ripete, ma si ripete sempre con qualche variazione su un tema anche troppo ascoltato.

Attendiamo gli eventi, ascoltiamo le notizie, vagliamo le fonti d’informazione, ognuna tesa a dare la propria versione dei fatti.

Per i russi il governo ucraino è “neonazista” e Putin ha esortato le forze di Kiev a consegnare le armi e “andare a casa”, assicurando che i piani di Mosca non includono l’occupazione dell’Ucraina ma la smilitarizzazione del Paese con una operazione speciale (strano parlare di “smilitarizzazione” quando si organizza un così massiccio attacco militare). Nel contempo il presidente russo ha lanciato un cupo avvertimento: «Chiunque tenti di crearci ostacoli e interferire in Ucraina sappia che la Russia risponderà con delle conseguenze mai viste prima. Siamo preparati a tutto. Spero di essere ascoltato».

La crisi è appena all’inizio, gli scenari sono imprevedibili (o prevedibili, come l’attacco russo preannunciato fin da ieri sera dagli americani), le borse mondiali cominciano a tracollare, le sanzioni economiche inizieranno reciprocamente.

Una recente stima dell’ISPI indica che l’Italia sarebbe uno dei paesi europei più vulnerabili in caso di interruzione delle forniture di gas naturale dalla Russia; di questo va ringraziato in particolare il Movimento degli Zainetti, che nella sua fase sovranista ha delegato sempre più ai russi le nostre forniture di gas. Ma forse restare con meno gas potrebbe paradossalmente essere “la meno spesa” di fronte al timore di un’escalation incontrollabile.

E purtroppo l’uomo del nostro tempo, come scrive il poeta, è ancora e sempre “quello della pietra e della fionda”.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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