“Cinq francs le beau muguet”

Trentanove anni fa, martedì 1° maggio 1984, Silvana e io, sposini freschi freschi, eravamo a Parigi in viaggio di nozze. Stavamo in un albergo in Rue Boissy d’Anglas, vicino rue du Faubourg Saint-Honoré, a pochi passi da rue Royale e Place de La Concorde.

Siccome siamo stati sempre abbastanza mattinieri, dopo la colazione siamo subito usciti. C’era un sole splendido, anche se la temperatura era fresca per i nostri gusti meridionali.

Andammo a vedere anzitutto il Centro Pompidou, che era stato inaugurato sette anni prima su progetto di Renzo Piano. Il suo aspetto avveniristico ci contrariò un po’: infatti era lontano dal normale aspetto di un museo, perché la costruzione era stata concepita come una macchina gigante, dove la struttura portante, le scale mobili principali e gran parte dei condotti per gli impianti erano situati sulla superficie esterna, per dare la massima flessibilità agli spazi interni. Insomma, un pugno in un occhio: ma allora ero meno abituato a queste audacie architettoniche, che invece ora guardo con occhio diverso e tollerante.

Comunque sia, era una Parigi diversa, lontana, sconcertante rispetto ai canoni un po’ precostituiti che inevitabilmente accompagnano i visitatori.

Ma a pochi passi di distanza, mentre ci dirigevamo verso la Senna e attorno a noi l’atmosfera cambiava colore, sapore, odore, epoca, ci trovammo di fronte dei bambini che vendevano per la strada i rami di mughetto, cantando “Cinq francs le beau muguet” su sei note discendenti: mi-re-si-si-si-si.

Ne comprai subito uno alla mia neoconsorte; ma non sapevo nulla di questa usanza, molto sentita dai Francesi; infatti in Francia il 1° maggio è principalmente la festa del lavoro e dei lavoratori, ma è anche la festa del mughetto.

Il mughetto, pianta erbacea delle Liliacee, ha dei fiori bianchi penduli, dal profumo intenso, dai quali si estrae un’essenza usata in profumeria. Il suo nome scientifico è “Convallaria” e deriva dal latino “convallis” cioè “avvallamento”; cresce infatti spontaneo nelle piccole valli, nei boschi o sulle colline; quanto all’appellativo “mughetto”, deriva dal francese “moguete” (“profumo di muschio”).

La festa del mughetto nacque con lo scopo di celebrare la primavera: un tempo, infatti, a quelle latitudini, era proprio all’inizio di maggio che iniziavano a sbocciare i fiori; in particolare il mughetto era associato al “ritorno alla felicità” ed era considerato un portafortuna.

Secondo una leggenda cristiana, San Leonardo dovette combattere contro il demonio con sembianze di diavolo e lo sconfisse dopo un aspro combattimento in cui perse molto sangue, che però sul terreno si trasformò nei bianchi campanellini del mughetto. Ma già i pagani celebravano l’arrivo della primavera offrendo tre rami di mughetto agli amici ed alle donne.

Le origini della festa del mughetto risalgono a quanto pare al 1561, allorché re Carlo IX, avendo ricevuto un mazzolino di mughetto come portafortuna, decise di offrirne uno ad ogni dama di corte. Quanto alla libera vendita dei mughetti sulle strade, è fatta risalire a un amico di Robespierre, Claude-François de Payan.

A quanto pare, la festa del mughetto divenne anche simbolo degli incontri amorosi, una sorta di bis di San Valentino: infatti venivano organizzati dei “balli del mughetto” in cui i giovani innamorati potevano incontrarsi liberamente senza essere “sorvegliati” dai loro genitori: in quella occasione liberatoria le ragazze si vestivano di bianco e i ragazzi portavano un mazzettino di mughetto all’occhiello.

All’inizio del ‘900 i padroni delle sartorie parigine offrirono un mazzetto di questo fiore alle proprie operaie; e da allora (ma forse già qualche anno prima) la festa del mughetto fu associata a quella del Lavoro.

Speriamo che anche dalle nostre parti, pur senza mughetti, si possa tornare a guardare con animo positivo al futuro; e speriamo che le speranze si realizzino soprattutto nel campo del lavoro, dove l’emergenza sociale-economica incombe.

In occasione del 1° Maggio, infatti, oltre che augurarsi una politica illuminata a favore di tutti i lavoratori, bisognerebbe anche operare per rendere “lavoratore” chi non lo è, chi è senza una stabile occupazione e vive in condizioni di disagio e disperazione.

PS: Una curiosità conclusiva su quel lontano 1° maggio 1984. Forniti di mughetto, visitammo la Rive Gauche (da un “bouquiniste” comprai a prezzo di favore una rara edizione delle Lettere di Plinio il Giovane); mangiammo poi in un ristorante greco (insalata, souvlàkia, vino resinato), salimmo sulla Tour Eiffel, attraversammo i giardini del Trocadéro, percorremmo i Campi Elisi e mangiammo la sera in Rue Royale al “Paris Madeleine”. Qui, confidando nella tolleranza della mia mogliettina, io osai mangiare la “soupe à l’oignon”, la gustosa zuppa di cipolle francese, bevendoci su una bottiglia di Muscadet.

Concludemmo la giornata soddisfatti, un po’ “allitrati” e con zaffate (mie) di cipolla che costituivano il contrappasso per il delizioso e profumato mughetto acquistato la mattina.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *