Un anno di Covid / I parte

Inizio a raccogliere qui parte dei numerosi post da me pubblicati su Facebook durante questo “annus horribilis”. In questi scritti rivive la drammatica storia dell’epidemia di coronavirus.

Mi è sembrato il caso di riproporre quelli che mi sembrano più significativi, soprattutto come documentazione “storica” o almeno “cronachistica” di una vicenda che ci ha coinvolto (e continua a coinvolgerci) tutti indistintamente.

Qui nel blog riproporrò quattro articoli per volta; inizio quindi dai primissimi, risalenti alla fine di febbraio e ai primi di marzo del 2020.

Alla fine di febbraio 2020, inaspettato e micidiale, il coronavirus arrivò in Italia e cominciò a mietere vittime e a cambiare radicalmente le nostre abitudini.

Io ero entrato su Facebook da pochi giorni. Il 23 febbraio, in concomitanza con l’annullamento di un viaggio a Milano che avevamo da tempo programmato per il Carnevale (con tanto di visita al Cenacolo già pagata), pubblicai su FB un breve post segnalando l’arrivo del virus, con un’ironia scaramantica che in realtà oggi evidenzia chiaramente quanto imprevedibili fossero i successivi sviluppi e il tragico scenario futuro.

Ecco quel primo post:

1) 23.02.20 – PRIMI IN EUROPA!

Finalmente l’Italia è prima in Europa, infliggendo distacchi abissali a Germania, Francia, Regno Unito, ecc. Ora speriamo di essere i primi in Europa a uscirne…

[NB: Quel giorno, come si vede dall’immagine inserita prima, i contagi erano stati 62 in Italia, 16 in Germania, 12 in Francia, 35 negli Stati Uniti, 28 in Iran, 10 in Israele; la Cina contava già 76.291 contagiati dichiarati. Cifre che non lasciavano minimamente immaginare come la pandemia si sarebbe diffusa rapidamente in tutto il mondo]

Pochi giorni dopo, il 25 febbraio, pubblicai su FB un secondo post sul Covid, segnalando i due problemi che immediatamente si erano prospettati: anzitutto le mascherine, diventate improvvisamente tanto preziose quanto introvabili (e costosissime); poi l’inadeguatezza di molte strutture sanitarie, falcidiate dai tagli scriteriati degli anni precedenti.

Eccone alcuni passi:

2) 25.02.20 CARNEVALE SMASCHERATO

Il colmo di questo travagliatissimo Carnevale? È un carnevale senza maschere e soprattutto senza mascherine. Esaurite ovunque, vendute a peso d’oro da speculatori e sciacalli. C’è da meravigliarsi che qualche venditore abusivo non le fornisca (taroccate) ai semafori a 50 euro l’una…

[…] Ci viene detto, in questi giorni, di non intasare (in caso di sintomi preoccupanti) i Pronto Soccorso; del resto i P.S. sono già intasati, ingestibili e impresentabili in condizioni normali (nonostante l’eroica e bistrattata dedizione del personale medico).

Ma si dovrebbe ricordare, in questi difficili giorni, che la politica (tutta) negli ultimi anni ha saccheggiato il Servizio Sanitario nazionale (che era struttura funzionale e invidiata da molti altri Paesi) per coprire buchi di bilancio, per finanziare sussidi individuali, per riversare fondi su altre voci di spesa o, semplicemente, per tappare falle.

L’anno scorso il quarto rapporto della Fondazione Gimbe (ente no-profit di ricerca in campo sanitario) calcolava che dal 2010 al 2019 sono stati sottratti circa 37 miliardi di euro alla sanità pubblica italiana.

Ora ci invitano a lavarci bene le mani, dopo che le mani – per anni – se le sono pilatescamente lavate molti che ricoprivano cariche fondamentali; sono rimasti indifferenti o complici di fronte ai radicali tagli alla sanità pubblica, alle decurtazioni di risorse e posti di lavoro. Io non sono un medico. Chi di voi lo è, dica la sua. Ma sicuramente molti dei problemi di oggi nascono anche da qui.

Per ora, se possiamo, camminiamo mascherati (LARVATUS PRODEO, potremmo dire cartesianamente). Ma c’è qualcun altro che dovrebbe mascherarsi per la vergogna e non farsi più vedere in faccia…

Il 26 febbraio 2020, fortemente colpito dalla vicenda dei turisti bergamaschi che erano risultati positivi al Covid durante un viaggio a Palermo e per questo isolati nel loro albergo, pensai di scrivere un post inviando un ideale “abbraccio” a questi sfortunati visitatori (che allora qualcuno vide biecamente come “untori”, colpevoli di portare il virus in Sicilia).

Il post ebbe tale successo che fu anche pubblicato su “Repubblica/Edizione Palermo” (allego la foto); eccone alcuni stralci.

3) 26.02.20 ABBRACCIO AGLI UNTORI

Immaginate di essere una tranquilla signora in pensione, non dico anziana perché ha la mia età, sposata, che vive in un grazioso paese del bergamasco, Gandino, 5697 anime in tutto, a 552 metri di altitudine. Un paese antico, con una ricca e interessante storia, con una splendida Basilica di S. Maria Assunta risalente al 1180, e tante altre chiese, torri e palazzi, con le numerose dimore delle antiche famiglie laniere che dal XV al XVIII secolo resero questo paesino celebre in tutta Europa, con suggestivi percorsi naturalistici a pochi chilometri di distanza.

Ora immaginate questa coppia, serena e desiderosa ancora di vivere le gioie della vita, mentre programma un viaggetto da fare in occasione del Carnevale. Dove andare? Non a Venezia, a Viareggio, non a Cento (Ferrara) o a Fano. No. Decidono di andare a Palermo e preferiscono farlo in un tour di gruppo, organizzato, come spesso amano fare le persone non anziane ma che hanno questa età.

[…] La decisione è presa. Valigie fatte, desiderio legittimo di rilassarsi per qualche giorno, in gradevole compagnia, in una bella città già immersa in una precoce primavera.

Arrivano con il volo diretto da Orio al Serio venerdì 21 febbraio. Del coronavirus non si preoccupano perché nessuno se ne preoccupa; solo nel pomeriggio di quel giorno se ne comincia a parlare per i casi che dilagano in Lombardia. Nessun controllo preventivo, quindi, prima della partenza; e nessun controllo all’arrivo all’aeroporto asindetico “Falcone Borsellino”, niente termo-scanner, niente misure preventive. Un bus li attende e li porta a Palermo: mezzora (e gli è pure andata bene, considerando le incognite della pseudo-autostrada che collega l’aeroporto al centro) per arrivare nel comodo hotel prenotato.

La nostra signora non sta benissimo, purtroppo; raffreddata, mal di testa… Beccarsi l’influenza quando si parte è proprio una scocciatura! Ma lei è forte, giustamente minimizza, non vuole rinunciare al programma, lo fa anche per il marito, che ovviamente si preoccupa un po’ per lei.

E cominciano a uscire (perché, voi, quando viaggiate, che fate? State in albergo a guardare i desolanti quadretti che decorano le stanze degli hotel?).

Ristoranti, luoghi pubblici, locali. Palermo ha oggi un’ampia zona pedonale, ha monumenti meravigliosi che testimoniano la sua lunga storia e le tante civiltà di cui è figlia, ha gente accogliente (così dicono), ottima cucina. Il gruppo bergamasco gira, ride, si diverte; magari qualcuno del gruppo comincia a vedere con occhio diverso una realtà che prima conosceva attraverso gli sceneggiati televisivi e gli stereotipi abituali.

Poi, la signora lunedì si sente peggio, non ce la fa più a continuare il tour, ha una febbriciattola fastidiosa e un’insistente tosse. Alle 14,30 la coppia si sottopone a un controllo al Policlinico di Palermo. E lei risulta positiva al coronavirus. Il marito dapprima è negativo, ma alla ripetizione del test appare positivo anche lui. I campioni sono inviati allo Spallanzani di Roma per l’esito definitivo.

Palermo piomba nel panico da coronavirus. La signora è ricoverata e collabora con le autorità, racconta (come può farlo una persona che viene da altri luoghi, che conosce fino a un certo punto il territorio) dove è stata, cosa ha fatto; collabora, aiuta a capire.

Intanto, si scatena sui cosiddetti social il panico, la rabbia, la xenofobia (termine per lo meno inedito fino a poco tempo fa in questa città). Su Palermo Today qualche anima pia scrive: “Ma non se ne potevano stare a casa loro?”. Bravo! Ognuno a casa sua. Infatti la Sicilia vive d’aria, è autosufficiente, non ha bisogno di turisti. E del resto, quest’anima pia non ha mai fatto un viaggio, evidentemente, anche perché dove dovrebbe andare se già i Caraibi e le Seychelles, e ora anche le Mauritius, le abbiamo qui da noi?

La signora sta meglio, fortunatamente. È isolata, “in discrete condizioni”, all’Ospedale Cervello, aiutata dal personale sanitario della struttura, competente e preparato. Il marito e gli altri turisti bergamaschi sono in quarantena, chiusi nelle loro stanze in albergo.

Attorno a loro, il vuoto e il panico. Una città sconvolta, con assalti ai supermercati (come ai tempi della guerra contro l’Iraq, quando poi rimasero nei frigoriferi inutili provviste per mesi), scuole chiuse ma cinema e teatri aperti, aeroporto controllato ma stazioni ferroviarie e bus all’insegna del “liberi tutti”, caccia vana (ne abbiamo già parlato) alle inutili mascherine, diffidenza (già genetica) elevata all’ennesima potenza.

Questa è la situazione, anzi la “zita”, come si dice qui.

Non so quanti palermitani abbiano pensato in questo momento a mandare un messaggio di solidarietà, un conforto, un saluto ai bergamaschi che avevano deciso di venire a Palermo, per ringraziarli comunque di essere venuti. Si sono trovati, non per colpa loro, in una situazione paradossale e jellata. E poi, la colpa di chi è? Del paziente uno due o zero? Dell’amico del cognato del vicino che veniva dalla zona rossa? Di un cinese che ha sternutito a meno di due metri di distanza? Non si sa.

Ma io, a questi untori, un abbraccio di solidarietà e di affetto mi sento di mandarlo, non so a nome di quante persone, ma sicuramente di cuore. Speriamo che un giorno possano tornare tutti qui, in circostanze migliori, e che non portino con sé, quando torneranno (speriamo presto) nelle loro case, soltanto il ricordo di una città chiusa, diffidente e intollerante; perché Palermo, quando vuole, non è così.

Il 3 marzo 2020, mentre i dati dell’epidemia si facevano sempre più allarmanti, io ero colpito (come tanti fra noi) dalla nuova regola che prescriveva di stare “a un metro di distanza” l’uno dall’altro. E postai su FB alcuni versi su questa nuova situazione: vi compariva anche un primo accenno alle “videoconferenze” (ancora non definite DAD) che iniziavano purtroppo a sostituire la scuola in presenza.

Ripropongo questa poesiola, nella quale noto già alcuni termini destinati a diventare, nei mesi successivi, molto ricorrenti: droplet, sanificazione (prima si diceva “disinfestazione”), assembramenti, tamponi faringei… Inoltre mi pare riproponibile una riflessione che qui facevo sul deterioramento dei rapporti umani nella società odierna (“chiusi tutti ed arroccati, / come monadi scontrose”).

Del tutto illusoria si rivelò, invece, la mia speranza che “questa situazione strana” potesse passare presto; purtroppo erano ancora inimmaginabili i sempre più tragici sviluppi della pandemia.

4) 03.03.20 AD UN METRO DI DISTANZA

Quanto è strana questa Italia / che sta a un metro di distanza, / che abolisce baci e abbracci / e non stringe più la mano! / Quest’Italia degli “outlet” / che ora bada al “droplet”, / evitando – se le riesce – / le insidiose goccioline / che emettiamo starnutendo / o tossendo, anche parlando, / beh insomma, sì, vivendo.

Col governo giallorosso / che diffonde i suoi colori / sulla mappa nazionale, / con le zone gialle e rosse / anche se tendenti al verde, / coi tamponi faringei / e i turisti in quarantena. / Con le scuole chiuse a lungo / o riaperte con cautela, / previa sanificazione / delle aule e dei locali; / con le videoconferenze / viste a casa dagli alunni,

con i prof allontanati, / (finalmente) edulcorati. / Con i bar e i ristoranti / che riaprono a singhiozzo, / col servizio che è espletato / solo per chi si va a sedere; / senza niente più al bancone, / manco un tè o un cappuccino. / Ed i luoghi di cultura / con “fruizion contingentata”, / evitando “assembramenti”. / Ed i luoghi di ritrovo / con modalità ridotte / (salvo, è ovvio, certi eventi, / tipo Elettra Lamborghini / che qui al Forum di Palermo / sta coi fans, ben cinquecento, / tutti stretti ad abbracciarla / per la gioia di toccarla…). / E nei cinema deserti / i pochissimi biglietti / son venduti a posti alterni. / I musei (già poco amati) / son di fatto abbandonati: / a Parigi han chiuso il Louvre / e respira la Gioconda / senza più la ressa intorno.

Nelle chiese non si prega, / non si dà neanche la pace / (ma la pace chi ce l’ha, / con ‘ste belle novità?).

Certo, in fondo, a ben pensarci, / ce lo siam proprio voluto / sempre più in questi anni. / Isolati, diffidenti, /

a distanza tutto e tutti, / arrabbiati, incattiviti, / specie con chi è un po’ “diverso”, / o con chi (folle mania)

non vuol stare a casa sua. / E con i rapporti umani / delegati ai cellulari, / senza più guardarsi in faccia, / senza dirsi due parole, / senza stare ad ascoltarsi, / senza neanche frequentarsi. / Chiusi tutti ed arroccati, / come monadi scontrose.

Forse, presto passerà / questa situazione strana: / sono giorni decisivi; / si potrà capire presto / se ‘sto virus coronato / sarà alfin detronizzato. / Il problema è che, anche dopo, / resteranno altri bacilli / da isolare e condannare: / quelli dell’intolleranza, / della stupida ignoranza, / delle porte chiuse in faccia, / dell’insana indifferenza. / Alla fine del contagio / forse il “prossimo” terremo / sempre a debita distanza, / chiusi dentro al nostro orto / e appestati tutti, dentro.

Ma speriam nell’utopia: / chi lo sa se, un bel giorno, / noi ci guarderemo intorno / e vedendo altre persone / ad un metro di distanza / correremo incontro a loro / con la voglia di abbracciarle? / Non siam forse tutti “umani”?

FINE DELLA I PARTE

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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