Lo “Ione” di Euripide

Lo “Ione”, lungo ben 1622 versi, appartiene ai cosiddetti drammi “ad intreccio” di Euripide, caratterizzati da una trama vivacissima e ricca di colpi di scena.

Nonostante la sua indubbia piacevolezza, non ha avuto molta fortuna nelle rappresentazioni moderne: a Siracusa fu rappresentato solamente nel 1962, per la regia di Sandro Bolchi e nella traduzione di Quintino Cataudella; gli attori principali erano Corrado Pani (Ione), Anna Miserocchi (Creusa) ed Edmonda Aldini (Atena),

Non vi sono precise indicazioni sulla cronologia del dramma, che dovrebbe collocarsi comunque nel periodo 418-412 a.C.

Nel prologo il dio Hermes espone l’antefatto: a Delfi, presso il santuario di Apollo, si trova il giovane Ione; si tratta del figlio che Creusa, figlia di Eretteo, aveva avuto dal dio Apollo, all’insaputa del marito Xuto. Il fanciullo, che era stato esposto appena nato, è stato salvato da Hermes per ordine di Apollo; allevato dalla Pizia, è cresciuto presso il tempio del dio dove svolge le mansioni di ἱερόδουλος (“schiavo sacro, servo del tempio”), spazzando l’ingresso del tempio e tenendo lontani gli uccelli dalle offerte dei fedeli.

Trascorsi parecchi anni, giungono a Delfi Creusa e Xuto, con l’intenzione di interrogare il dio sulla loro sterilità. L’oracolo rivela a Xuto che il primo ragazzo che incontrerà uscendo dal tempio è suo figlio. Xuto all’uscita incontra Ione e ritiene che il ragazzo sia nato da una sua passata avventura; intende dunque portarlo con sé ad Atene.

Informata della situazione dalle donne del coro, Creusa, non avendo riconosciuto il figlio, escogita un piano per ucciderlo. Scoperta, la donna è condannata alla lapidazione ma, rifugiatasi nel tempio di Apollo, apprende dalla Pizia la vera identità di Ione.

Chiude il dramma, ex machina, la dea Atena che, dopo aver confermato all’incredulo Ione che Creusa è sua madre, predice la nascita della stirpe degli Ioni da Ione e di quella dei Dori e degli Achei da Xuto e Creusa. Quanto a Xuto, gli viene concesso il figlio che desiderava (ma al prezzo di riceverne, senza saperlo, uno non suo).

La tragedia dunque, che di tragico ha ormai ben poco e che ha anzi presentato diversi momenti “comico-realistici”, si chiude con un sostanziale happy end.

Numerosi espedienti scenici presenti nello Ione (donne violentate, abbandono di neonati, peripezie, equivoci, riconoscimenti, lieto fine) saranno sviluppati dalla νέα, la “Commedia Nuova” del IV sec. a.C. (ad es. da Menandro) e dal romanzo greco di età imperiale.

Emergono nel complesso da questo dramma numerosi spunti tematici:

  1. l’indifferenza degli dèi per i mortali;
  2. il dramma umano di Creusa, che ha subìto la violenza di Apollo e ha dovuto abbandonare il bambino da lei partorito (il tema dello stupro e del bimbo abbandonato sarà ricorrente nella Commedia Nuova);
  3. la figura del giovane trovatello, che rimane privo di nome sino a che Xuto (v. 661-663) non gli dà il nome di Ione, con una connessione paretimologica fra Ἴων (“Ione”) ed il participio del verbo εἶμι (ἰών “colui che va incontro”): “Ti do il nome di Ione (Ἴωνα δ’ ὀνομάζω) in accordo con la sorte, perché sei stato il primo che ho incontrato nell’uscire (ἐξιόντι) dal penetrale del dio” (vv. 661-663, trad. Mirto);
  4. l’insolito sdoppiamento del riconoscimento, per cui ad una prima falsa ἀναγνώρισις (quello di Xuto che, per l’inganno dell’oracolo, crede di riconoscere in Ione un proprio figlio concepito in chissà quale scappatella giovanile) segue il secondo vero riconoscimento (quello fra Creusa e Ione);
  5. il rischio che, prima dell’ἀναγνώρισις, la madre inconsapevolmente uccida il figlio con il veleno, attuando un micidiale μηχάνημα (che per fortuna non si realizza); per di più l’ἀναγνώρισις resta “dimezzata” a causa della mimetizzazione imposta dal dio, per cui Xuto dovrà continuare a credere di essere il padre di Ione;
  6. l’importanza degli ἀναγνωρίσματα, gli “oggetti che consentono il riconoscimento” di Ione (un tessuto su cui è raffigurata la Gorgone, un amuleto in forma di serpenti d’oro, una ghirlanda intrecciata con fronde dell’olivo sacro di Atena), con un procedimento che diverrà topico nella Commedia Nuova;
  7. il destino fulgido riservato a Ione, capostipite degli Ioni (ma a prezzo del silenzio che Creusa dovrà mantenere con Xuto a proposito della sua nascita);
  8. la ricchezza e freschezza delle parti musicali, soprattutto con le monodie di Ione (che culmina in una vivacissima invettiva contro gli uccelli che scendono nel tempio dal Parnaso) e Creusa; in particolare, come scrive Raffaele Cantarella, “il canto di Ione, che asperge d’acqua e spazza con la sua scopa di mirto il pavimento del tempio, e ne scaccia gli uccelli, è la gioiosa fantasia di un poeta che evade, in modi nuovi, dalle strettoie di una tradizione verso un suo libro mondo; un canto fresco e luminoso come l’alba che ridesta, con i voli degli uccelli, il superbo paesaggio rupestre di Delfi” (Letteratura greca, ed. Dante Alighieri, Città di Castello 1987, p. 208).

Ione è caratterizzato dalla purezza, dalla spensieratezza, dalla perfetta integrazione nel mondo delfico; ma quando riconosce sua madre comprende i limiti della sua precedente condizione esistenziale, lieta ma inconsapevole.

Il ragazzo, inoltre, possiede la spregiudicatezza dei sofisti: ad es. dopo il riconoscimento, chiede alla madre, strizzandole l’occhio, se veramente era stata vittima della violenza di Apollo o se invece aveva avuto una relazione clandestina con un comune mortale (vv. 1521-1527).

Dal canto suo, Creusa rivendica la sua dignità, chiede giustizia dopo le troppe amarezze subìte; questa caratterizzazione del personaggio manifesta, da parte di Euripide, una deviazione notevole rispetto alla mentalità corrente nell’Atene contemporanea, nella cui legislazione mancava addirittura un termine per designare lo stupro, dato che esso veniva considerato solo come oltraggio all’οἶκος ed “appropriazione indebita” di un “oggetto” ad esso appartenente.

Secondo Murray “di tutti i drammi che ci rimangono di Euripide, lo Ione è il più spietatamente blasfemo contro gli Dèi tradizionali”. In effetti la polemica contro le divinità assume più volte toni assai duri, come in questa rhesis di Ione: “È forse giusto che voi, dopo aver scritto le leggi per gli uomini, vi meritiate l’accusa di averle violate? Se mai dovrete scontare una pena… per i vostri stupri ai mortali, tu, Poseidone e il sovrano del cielo, Zeus, per risarcire i torti svuoterete i vostri templi. Siete colpevoli di procurarvi il piacere mettendolo innanzi alla prudenza. E allora non è giusto dichiarare malvagi gli uomini, imitatori delle belle imprese divine: lo sono piuttosto i nostri cattivi maestri” (vv. 442-451).

Nello Ione “i mortali ignorano i progetti divini, gli dèi non riescono a prevedere le emozioni umane e il corso degli eventi è determinato anche da questa impossibilità di indagare, da un lato, e di comprendere, dall’altro” (M. S. Mirto, Euripide-Ione, BUR, Milano 2009, p. 54).

In particolare ne esce malissimo il “violentatore” Apollo, che nell’esodo non osa nemmeno presentarsi personalmente e delega Atena, che così lo giustifica: “Lui non ha ritenuto conveniente apparirvi, temendo di essere biasimato pubblicamente per le azioni passate” (vv. 1557-1558); il timore del biasimo della μέμψις umana allontana il dio e lo esime dal dare conto di tutta la vicenda.

D’altro canto l’epifania di Atena risolve i nodi del dramma, ma a prezzo dell’ennesima bugia che viene richiesta dalla dea a Creusa: “Ora dunque non rivelare a nessuno che si tratta di tuo figlio, perché Xuto rimanga con la sua felice illusione e tu, donna, te ne vada insieme con il bene che ti appartiene. Addio! Vi prometto un destino lieto, dopo la tregua dalle vostre pene” (vv. 1601-1605).

Nel dramma uno dei brani più intensi e suggestivi è il dialogo fra Creusa e Ione (vv. 237-400), madre e figlio, ancora inconsapevoli del legame di sangue che li unisce.

Il giovane ἱερόδουλος si meraviglia dell’atteggiamento dolente di Creusa, in contrasto con lo spirito sereno e speranzoso con cui in genere i fedeli si accostano al tempio; ma la donna è tormentata dai ricordi e la sua mente è altrove (vv. 250-251). In una lunga sticomitia (la più lunga del teatro greco, vv. 264-369), Ione chiede anzitutto alla donna notizie sulla sua stirpe; e quando gli capita di citare casualmente (v. 283) la località ateniese chiamata “Le Macre” (ove Creusa era stata posseduta da Apollo), la donna proclama il suo rancore verso il dio: “D’onore è indegno. E mai l’avessi visto” (v. 286).

È evidente la lacerazione interiore di Creusa, che oscilla fra il desiderio di confidare apertamente la sua storia e il pudore che la induce al silenzio. Tuttavia non avviene alcuna rivelazione diretta e la verità viene soltanto sfiorata più volte attraverso battute “subliminali” che solo il pubblico (informato nel prologo da Hermes) è in grado di afferrare pienamente:

CREUSA – “Se sono senza figli lo sa Febo” (v. 306), “Povera madre tua, chiunque fosse!”(v. 324), “S’unì un’amica mia con Febo… Il figlio nato lo dovette esporre” (v. 338 e 344), “Della tua età sarebbe, se vivesse” (v. 354).

IONE – “Io forse sono un ‘figlio della colpa’” (v. 325), “Che l’abbia preso, per crescerlo, il dio?” (v. 357).

Gradualmente, fra i due personaggi si stabilisce un’intesa, dovuta al reciproco interesse per le proprie vicende dolorose: Creusa manifesta crescente attenzione per il giovane, mostrando pietà per lui e per la sua misteriosa madre, inizialmente lodata (v. 308) e poi compianta (v. 324). La donna mimetizza la propria vicenda attribuendola ad una fantomatica “amica” (v. 338); dietro questo velo avviene finalmente la confessione della verità; ma è una verità celata e “rimossa”.

Ione passa da un atteggiamento comprensivo ad una certa indifferenza; però torna poi a partecipare emotivamente alla vicenda, senza più dubitare della violenza divina ed anzi ipotizzando che il dio abbia salvato ed allevato il bimbo abbandonato (v. 357).

Creusa torna ad inveire contro l’egoismo di Apollo: la condotta del dio, sia che abbia lasciato morire il bimbo, sia che lo abbia allevato, appare comunque ingiusta e censurabile. Ma Ione, di fronte alle critiche rivolte al Lossia, obietta che non si deve sfidare il dio nella sua dimora e che non si possono costringere i numi a dire ciò che non vogliono dire.

La comparsa di Xuto induce Creusa a chiudere rapidamente il colloquio con Ione: la donna teme che le cose dette a Ione vengano a conoscenza di suo marito; torna dunque a rivestire i panni della sposa fedele e responsabile, timorosa del giudizio degli altri e soprattutto del marito. Con Ione fa però un accordo (“Taci con lui di quanto abbiamo detto”, v. 395), che testimonia l’empatia creatasi fra i due personaggi.

Come scrive Maria Serena Mirto, “[Creusa] è grata e stupita della sensibilità mostrata dal ragazzo nei suoi confronti, e il generico lamento sull’infelicità del suo sesso, associato alla protesta contro il comportamento irresponsabile degli dèi, focalizza i nuclei tematici principali del dramma. La divinità non è più un punto di riferimento che possa garantire giustizia agli uomini, anzi è il potere divino a calpestare i mortali” (op. cit., p. 239). Ione, d’altra parte, vive invece sentimenti contrastanti: “ammirazione ed empatia iniziale verso la straniera, orrore e astio una volta scoperto il suo complotto per ucciderlo, diffidenza e incredulità nella scena dell’agnizione, vinte infine dall’evidenza che è lei la madre mai conosciuta” (op. cit., p. 9).

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

1 commento

  1. Colpisce l’attualità dei temi affrontati e principalmente la lontananza tra gli dei e gli uomini abbandonati al loro destino.
    Davvero interessante, complimenti!

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