Il 5 m’aggio (con l’apostrofo…)

Il 5 maggio 2001, in occasione dell’onomastico di mia moglie (a proposito, auguri!), alcuni nostri carissimi amici organizzarono per noi una sontuosa cena a base di pesce.

In quell’occasione lessi una mia poesiola (pomposamente presentata come “Ode di Marissandro Pinzoni”) che, vista la data, aveva il titolo manzonian-napoletaneggiante “Il 5 m’aggio (mangiato ‘o pesce)”.

L’ho ritrovata fra le mie infinite carte; mi ha strappato un sorrisetto, per cui la ripropongo oggi, non senza aver apportato qualche piccola modifica legata alla privacy (e anche alla decenza, vista l’abbondanza esagerata delle portate servite in quell’occasione, degna davvero del “Satyricon” petroniano).

  Cu fu? Siccome immobile,

  dato il mortal sospiro,

  stette ‘sto pesce immemore,

  mesto come un tapiro,

  così un po’ scossa e attonita           

  la nostra amica sta,

  muta pensando all’ultima

  ora del calamaro;

  né sa quando una simile

  lisca di pesce azzurro                 

  la sua cucina fulgida

  a traversar verrà.

  Lui sfrigolante in olio

  vide il marito e tacque;

  quando, con sorte assidua,             

  frisse, bollì e poi tacque,

  di mille pesci al gemito

  misto ‘sto pesce ha:

  vergin di pasto ittico,

  passato il primo maggio,               

  lo chef s’appresta a cuocere

  spigole, orate e triglie;

  e mette al fuoco un gambero

  che, poverin, morrà.

  Da Sciacca a Porticello,          

  da Trapani a Mondello

  di questo pesce l’esito

  fu di finir costà;

  scappò da Scilla a Menfi,

  dall’uno all’altro mar.     

  Fu vera triglia? Ai posteri

  l’ardua sentenza: nui

  chiniam la bocca col massimo

  fervor, volendo in lui

  del dente nostro avido                

  più vasta orma stampar.

  L’entusiasmante e fervida

  gioia d’un gran sganascio,

  lo stomaco che indocile

  aspetta, pensando al pesce;           

  e il giunge, e tiene un totano

  ch’era follia sperar.

  Tutto proviam: l’orata,

  la spigola e la triglia,

  la sarda e il pesce spàtola,         

  il cefalo e il merluzzo;

  due volte nella griglia,

  tre volte biochetasi.

  Noi ci abbuffiam: due scorfani,

  l’un contro l’altro armato,           

  pietosi a noi si volsero,

  come aspettando il fato;

  femmo silenzio, e un gambero

  noi ci mangiammo ancor.

  E sparve, e nella pancia        

  finì degli invitati,

  segno d’immensa fame

  e avidità profonda,

  d’inestinguibil pasto

  e d’affamato ardor.         

  Come qui al Capo vendono

  la trigliolina fresca,

  triglia su cui noi miseri,

  allafannati e tesi,

  caliam lo sguardo celere           

  e infine la compriam;

  tal su ‘sto pesce il cumulo

  della memoria scese.

  Oh quante volte a tavola

  compimmo grandi imprese,             

  e sulle tante cene

  piombò la nostra man!

  Oh quante volte, al tacito

  morir di sarda inerte,

  chinati gli occhi vitrei,               

  le braccia al sen conserte,

  dormimmo, e del passato

  ci assalse il sovvenir!

  E ripensammo i fulgidi

  pranzi, ed il gran sfincione,             

  e le carnali cene,

  e il musso e il pettinicchio,

  e la panella torrida

  e il celere ingoiar.

  Ahi! forse a tanto strazio        

  cade lo spirto anelo,

  e disperiam; ma valida

  viene la nostra amica

  e a più mangiabil pesce

  pietosa ci invitò.                 

 E ci avviò, pei floridi

  sentier della speranza,

  a sarde eterne, al premio

  che i desideri avanza,

  dov’è silenzio e tenebre              

  la milza che passò.

  Bello e Immortal! Benefico

  pesce ai trionfi avvezzo!

  Scrivi ancor questo, allègrati;

  ché più superba altezza              

  al disonor del totano

  giammai non si chinò.

  Tu dalle stanche ceneri

  sperdi ogni ria stigghiola:

  colui che cuoce e medita,              

  che sempre ci consola,

  sulla già ricca teglia

  un calamar posò.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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