Strani participi in un menu

L’altra sera, a cena con amici in un ristorante-pizzeria in zona via Libertà a Palermo, dopo aver mangiato una non indimenticabile pizza volevo ordinare un dessert. Il relativo menu, tempestivamente portato, mi ha fatto scoprire nuovi orizzonti gastronomici e linguistici.

In particolare, mi ha colpito il “gelato di limone vanigliato con pistacchi sabbiati e arancia disidratata”.

Il participio “disidratato” mi era ovviamente ben noto, anche se lo riferivo semmai a qualche atleta affaticato, a un paziente carente d’acqua nell’organismo o a un palermitano morto di caldo; mi sorprendeva però che ad essere “disidratata” fosse un’arancia.

Certo, anche la vita delle arance ai nostri giorni non è più lieta come un tempo: qui, nella defunta Conca d’Oro, ne sappiamo qualcosa. Ho voluto comunque indagare su cosa sia un’arancia “disidratata”: e ho trovato che, come era intuitivo (almeno per chi ha questa specie d’intuito), si tratta di arance “essiccate”, usate per decorare i cocktail; niente da eccepire, dunque.

Più arduo era invece il problema posto dai verbi “vanigliare” e “sabbiare”, riferiti il primo al limone e il secondo ai pistacchi. Anzitutto, esiste una variante del limone, che ha un sapore molto simile a quello di un’arancia vaniglia, dato che il suo succo è privo di acidità; qui però doveva trattarsi, semplicemente, di un gelato in cui il limone era unito alla vaniglia, con un ossimorico mix aspro-dolce.

Tuttavia, se ancora non fossero bastati l’arancia “disidratata” e il limone “vanigliato”, il carico da undici era dato dai “pistacchi sabbiati”. In questo caso è stata vana, al ritorno a casa, la consultazione del vocabolario: alla voce “sabbiare” si legge, genialmente, “sottoporre a sabbiatura” (De Felice-Duro); dirottato su “sabbiatura”, ho letto che si tratta di un “bagno di sabbia, come terapia fisica termica” oppure della “operazione di finitura e di pulitura di pezzi metallici”.

E qui sorgeva spontanea la domanda: i pistacchi si “sabbiano”? Mi è allora venuto il sospetto che i pistacchi siano in qualche modo coinvolti in uno dei tanti casi di “insabbiamento” verificatisi nel nostro Paese (magari con riferimento specifico a Bronte o a Nino Bixio).

In cerca di prove in tal senso, ho digitato su Google “pistacchi sabbiati” e sono stato inondato di risultati: sì, perché nella realtà reale, che ormai è quella multimediale, ciò che in un vocabolario non esiste ancora ha già una sua realtà “de facto”; dunque i “pistacchi sabbiati” sono “pistacchi tostati e zuccherati, in cui lo zucchero viene caramellato e mescolato insieme ai pistacchi dando un effetto sabbiato”, o (in altre parole) “piccoli chicchi di pistacchio naturale sabbiato dallo zucchero”.

Lo zucchero, dunque, diventa “sabbia” da versare sui pistacchi, che al suo contatto si mutano in “pistacchi sabbiati”. Se tanto mi dà tanto, quando uno fa la doccia viene “acquato” e quando gli sposi sono bersagliati dai chicchi di riso sono “risati”.

Meglio fermarci qui. Ma voi vi chiederete: poi l’ho ordinato il “gelato di limone vanigliato con pistacchi sabbiati e arancia disidratata”? No, ho ripiegato sulla più rassicurante voce “Coppe [forse “pluralia tantum”] gelato artigianale” e ho scelto i miei gusti preferiti, cioccolato e nocciola.

Forse però, in realtà, si trattava di una “coppa artigianata con cioccolato nocciolato e nocciola cioccolatata”; ma non ho avuto tempo di verificare su Internet.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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