Altri cinque vocaboli siculo-italiani

Continuiamo la rassegna di vocaboli del dialetto siciliano che vengono compresi e utilizzati anche nell’italiano regionale dell’isola e quindi nella conversazione quotidiana. Eccone altri cinque.

1) L’aggettivo “preciso” in italiano indica qualcosa che “risponde esattamente alla realtà, ai fatti”: “preciso/a” è un termine, una distanza, una regola, una persona (“precisa” nel parlare, nel rispondere, nel dare informazioni, ecc.). L’aggettivo deriva dal latino “praecisus”, participio passato del verbo “praecidĕre” («tagliare, troncare»), che indicava per l’appunto qualcosa di “ben tagliato, ben definito”.

In Sicilia però l’aggettivo “preciso” viene usato anche per indicare una forte somiglianza, un’assoluta identità: la frase “Pietro è suo padre preciso” significa che Pietro è il ritratto di suo padre, gli assomiglia moltissimo. Camilleri associa spesso “preciso” all’altro aggettivo “intìfico” (“identico”): «Capì, in quel preciso intìfico momento, che ogni cosa nella navigazione cangiava per lei» (da “Il birraio di Preston”).

2) “Lagnùsu” viene definito, nel vocabolario di Antonino Traina, «chi è tardo a fare per languido volere, o fugge dal lavoro»; il termine dunque indica chi “si lagna” sempre e preferisce poltrire, evitando pigramente ogni fatica. “Lagnùsu” è il ragazzino che a scuola si impegna poco, il lavoratore svogliato, l’indolente su cui non si può fare affidamento.

Parallelamente, la “lagnusìa” è la “pigrizia” all’ennesima potenza: è spesso connaturata in un individuo, lo caratterizza tenacemente, ne influenza tutte le (non) azioni. Tutto sommato, è più deplorevole della “luffa”, che è invece un misto di tedio, spossatezza e malumore (“Oggi ho una luffa tremenda”).

3) «C’è malùra» mi disse nel 1989 il preside del Liceo Meli nel comunicarmi con un sorrisetto che, poiché ero colpevolmente il docente di ruolo più giovane, sarei presto andato in soprannumero e avrei dovuto chiedere trasferimento per l’anno successivo.

In quel caso “malùra” era la mancata formazione di una classe in più, ma in generale “malùra” è un momento negativo, una circostanza nefasta. Il termine corrisponde alla “malora” italiana, che deriva da “mala ora” (cioè “cattivo momento”), indica “rovina, perdizione” ed è usato nella famigerata imprecazione “vai alla malora” (con l’affettuoso augurio al destinatario di avere ogni sorta di sventura); “in malora” può andare anche un progetto, un’azienda, la salute di una persona, ecc.

In Sicilia, come abbiamo visto, “c’è malùra” si dice quando si prospettano momenti negativi, quando ci sono poche speranze, quando le cose vanno irrimediabilmente male. [Ah, in quell’occasione la “malùra” fu per me confermata e dovetti migrare al Liceo Garibaldi; ma l’anno successivo, ricostituitasi la cattedra perduta, potei rientrare al Meli senza più incappare in momenti di “malùra”]

4) Il verbo “scotolare” (in dialetto “scutulari”) significa “muovere ed agitar checchessia violentemente” (Traina); propriamente si tratta di un frequentativo del verbo “scuotere” (derivante dal latino tardo exquŏtĕre, rifacimento del latino classico excutĕre). In Sicilia ad esempio si “scòtola” la tovaglia dopo aver mangiato (con poca attenzione, in genere, a dove finiscono molliche e rimasugli vari…); si “scòtola” via la polvere da un abito, da un tappeto, ecc.

Ma ci si può anche “scotolare” una persona: “me lo sono scotolato” è il trionfalistico annuncio che qualcuno dà quando riesce finalmente a liberarsi di una persona fastidiosa. Ci si può anche “scotolare” un impegno, o sottraendosi ad esso o rifilandolo ad un altro: «’sta camurria me la sono scotolata!».

“Lagnusìa” e “scotolamento” camminano paralleli…

5) L’avverbio “completamente” viene stranamente usato per negare qualcosa: «Ma tu la conoscevi a Carmelina?» «Completamente, no!» (il che vuol dire “Non la conoscevo affatto”).

Analoghe sono espressioni come «l’autobus non è passato completamente» o «mio padre non ne vuole sentire completamente».

Questo uso curioso equivale all’uso altrettanto improprio dell’avverbio italiano “affatto” che significa “del tutto, assolutamente” ma viene spesso erroneamente usato in senso negativo: «Sei stanco?» «Affatto» (che vorrebbe dire l’opposto…).

Ma siccome c’è “malùra” (innegabile di questi tempi), siccome “sono fatto anticchia lagnusu”, siccome questo post me lo sono “scotolato” e per la “lagnusìa” e la “luffa” mi sento “preciso intìfico” a un peone messicano, per oggi chiudo.

Direte che sono un poco “disfizziato”?

Completamente, no!

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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