Libero Grassi senza una lapide

Ieri ho voluto controllare personalmente se in via Vittorio Alfieri a Palermo, dove esattamente trent’anni fa è stato assassinato dalla mafia il coraggioso imprenditore Libero Grassi, esistesse ancora quel manifesto scritto a mano sul muro che ne commemora il sacrificio. E infatti è ancora lì, ancor più sbiadito e semicancellato.

Avevo visto questo manifesto, logoro e già poco leggibile, alcuni mesi fa; e già allora mi aveva colpito l’assenza (in una città tristemente costellata di lapidi di vittime di mafia) di una lapide ufficiale, di un qualunque segno di ricordo da parte delle istituzioni.

In quel manifesto si leggevano a stento poche righe: “Il 29 agosto 1991 qui è stato assassinato Libero Grassi, imprenditore, uomo coraggioso, ucciso dalla mafia, dall’omertà dell’associazione degli industriali, dall’indifferenza dei partiti, dall’assenza dello stato”.

Ho scoperto che questo manifesto è stato scritto da Alice Grassi, la figlia dell’imprenditore assassinato; ne allego sia la mia foto scattata ieri sia una foto migliore (trovata su Internet e più leggibile).

La foto che ho scattato ieri in via Alfieri: il manifesto di Alice Grassi è ormai quasi illeggibile.
Il manifesto originale (da Internet)

Guardando dalla strada si nota, accanto al precario manifesto, un tubo dell’acqua; sopra, un condizionatore; a destra, una pianta rinsecchita dal caldo; a sinistra, un negozio di “toelettatura per cani”.

Ecco gli onori che questa città dalla memoria corta sa riservare a chi è stato esempio di lotta audace alla criminalità, di opposizione al “pizzo”, di rifiuto delle intimidazioni e dei ricatti, di disprezzo profondo dell’illegalità e della violenza.

Libero Grassi era nato a Catania il 19 luglio 1924, ma si era trasferito a Palermo da bambino; di famiglia antifascista (il suo nome ne era la testimonianza), aveva studiato Scienze politiche a Roma e poi Giurisprudenza a Palermo. Archiviata l’intenzione di intraprendere la carriera diplomatica, proseguì l’attività commerciale del padre.

Dopo una prima esperienza imprenditoriale a Gallarate, tornò a Palermo per aprirvi uno stabilimento tessile. La sua fabbrica, la Sigma, fu presa di mira dalla mafia, che cominciò a chiedergli il “pizzo”; in particolare, Grassi ricevette strane telefonate da un fantomatico “geometra Anzalone” che gli domandava offerte per i detenuti dell’Ucciardone.

Libero Grassi nella sua fabbrica

Per nulla intimorito, Grassi fece pubblicare il 10 gennaio 1991, sul “Giornale di Sicilia”, una lettera dal titolo “Caro estortore”. Eccone un passo: «Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui».

Come scrive Giuseppe Scandurra, vice presidente nazionale di Sos Impresa, questa lettera aperta di Grassi “ancora oggi è da monito per quanti subiscono passivamente la sottomissione mafiosa senza ribellarsi o collaborare con le forze dell’ordine e la magistratura che, con il contributo della collaborazione delle vittime, possono arginare ancora più efficacemente l’arroganza e la violenza estorsiva delle famiglie mafiose, liberando pezzi importanti di economia dal condizionamento e dall’infiltrazione criminale”.

L’11 aprile 1991 Libero Grassi fu ospite di “Samarcanda”, la trasmissione condotta da Michele Santoro su Rai Tre, dove ribadì così la sua posizione: «Io non sono pazzo, non mi piace pagare, è una  rinunzia alla  mia  dignità  di imprenditore».  Dopo l’intervista diventò famoso a livello nazionale per la  sua opposizione  alla  mafia,  ma  la  Sicindustria gli voltò le spalle e la decisione di un giudice catanese (del 4 aprile 1991), secondo il quale non  era  reato  pagare  la  “protezione”  ai  boss  mafiosi,  lo  fece  sentire ancora più solo.

Grassi collaborò con la polizia nell’individuazione degli estorsori: i fratelli Antonino e Gaetano Avitabile, “esattori” del clan Madonia di Resuttana, furono così arrestati il 19 marzo 1991 assieme a un complice.

Nel frattempo, Grassi era sempre più isolato: in una lettera pubblicata sul “Corriere della Sera” il 30 aprile 1991 dichiarò che l’unico sostegno alla sua azione, a parte le forze di polizia, gli era venuta “dalla Confesercenti palermitana”. E aggiungeva con amarezza: “i miei colleghi mi hanno messo sotto accusa, dicono che i panni sporchi si lavano in famiglia. E intanto continuano a subire: perché lo so che pagano tutti… Io, con le mie denunce, ho fatto arrestare da solo otto persone.  Se duecento imprenditori parlassero, milleseicento mafiosi finirebbero in manette. Non avremmo vinto noi così?”.

Nonostante le minacce, Grassi rifiutò la scorta; questa decisione viene così spiegata nel libro “Libero. L’imprenditore che non si piegò al pizzo”, scritto da Chiara Caprì insieme alla moglie di Grassi: “Libero non pensa che possano ucciderlo. Rifiuta la scorta perché gli sembra un vincolo alla libertà di movimento e uno spreco di risorse pubbliche, ma soprattutto in questi anni ha visto morire tanti giovani per servire il proprio Paese, morti ammazzati perché scorta di magistrati. Non vuole che per una sua scelta debbano morire altre persone innocenti.

Alle 7,25 di mattina di trent’anni fa, il 29 agosto del 1991, Grassi fu ucciso in via Alfieri con quattro colpi di pistola mentre andava al lavoro, solo e a piedi.

Una grande folla prese parte al suo funerale: c’era anche l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga.

Qualche mese dopo la morte di Grassi fu varato il decreto che condusse poi alla legge anti-racket 172, con l’istituzione di un fondo di solidarietà per le vittime di estorsione.

Nell’ottobre del 1991 furono arrestati il killer Salvino Madonia, figlio del boss di Resuttana, e il complice Marco Favaloro, che si pentì e contribuì a ricostruire le modalità dell’agguato. Madonia fu poi condannato nel 2008 (!!) in via definitiva al 41-bis; e con lui l’intera Cupola di Cosa Nostra.

Un anno dopo la morte di Grassi la Sigma fu chiusa e i 150 dipendenti dell’azienda per la quale l’imprenditore era morto finirono in cassa integrazione.

La vedova Pina Maisano Grassi, resistendo alle minacce e intimidazioni, proseguì fino alla morte (2016) l’opera del marito, sostenendo le tante associazioni anti-racket sorte dal 1991 in Sicilia, Puglia, Calabria e Campania.

Pina Maisano Grassi

Anche la figlia Alice, come si è detto all’inizio, continua a salvaguardare la memoria e l’esempio del padre, insieme con il fratello Davide (che al funerale del padre, portandone la bara, alzò due dita in segno di vittoria, per proclamare che l’esempio di suo padre restava “vincente”).

Davide Grassi al funerale del padre

Vanno poi ricordati qui i coraggiosi ragazzi di Addiopizzo, che – partendo dall’esempio di Grassi – hanno allargato l’esperienza antiracket anche ai cittadini consumatori.

A Libero Grassi è stato intitolato un istituto tecnico commerciale di Palermo; gli furono inoltre dedicati un docufilm di Pietro Durante (“Libero nel nome”, 2011), una docu-fiction su Rai 1 nel 2016 e una fiction su Canale 5. Gli fu anche assegnata la medaglia d’oro al valor civile, con la seguente motivazione: «Imprenditore siciliano, consapevole del grave rischio cui si esponeva, sfidava la mafia denunciando pubblicamente richieste di estorsioni e collaborando con le competenti Autorità nell’individuazione dei malviventi. Per tale non comune coraggio e per il costante impegno nell’opporsi al criminale ricatto rimaneva vittima di un vile attentato. Splendido esempio di integrità morale e di elette virtù civiche, spinte sino all’estremo sacrificio – Palermo, 29 agosto 1991».

Come ha scritto due giorni fa la prof. Rosa Manco, “Libero ci ha insegnato a non aver paura, a denunciare i soprusi, a tutelare il proprio lavoro e la propria dignità anche a costo della vita. Libero ci ha insegnato che solo combattendo l’omertà si può aiutare sé stessi e gli altri e che la strada della giustizia è lunga e lastricata di difficoltà solo se ci arrendiamo e non reagiamo. E Libero ha reagito, perché ha voluto davvero essere un uomo libero. Raccogliamo l’eredità morale di Libero Grassi e nutriamoci dei suoi valori, ma soprattutto consegniamo questa eredità morale e questi valori ai nostri studenti, affinché conoscano chi sono i grandi uomini che ci devono ispirare e che ogni giorno con il loro esempio migliorano il futuro del Paese” (www.politicamentecorretto.com).

E allora, signor sindaco di Palermo, signor presidente della Regione Sicilia, istituzioni tutte, io chiedo, penso a nome di tanti cittadini onesti, che sul luogo del vile attentato sia posata una lapide vera, che resista alle intemperie del clima e alla memoria corta degli uomini, una lapide che ricordi Libero Grassi in modo meno effimero e colpevolmente negligente.

Anche se in grave ritardo, sarà il minimo che si possa fare per ringraziare Libero Grassi e per dare un segnale a tutti quelli che dal suo esempio hanno ricevuto il coraggio di opporsi al “pizzo”.

Sarà anche un modo di far capire alle bande di estortori assassini che ancora infestano questa isola che lo Stato esiste e sa far rispettare la Costituzione (art. 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”).

1° P.S.:

Come si legge nel “Giornale di Sicilia”, sono previste oggi tante manifestazioni della famiglia e dell’Associazione Addiopizzo in nome di Libero Grassi.

Fra l’altro verrà sostituito e rinnovato il “tazebao” scritto col pennarello nero: sempre in attesa di una lapide meno effimera.

Alice Grassi inoltre ricostruirà la scena dell’assassinio macchiando con vernice rossa il punto esatto del marciapiede in cui suo padre fu ucciso.

Le istituzioni, intanto, mandano messaggi: il presidente della Regione Musumeci ad es. riconosce i meriti di Grassi e lo definisce fra l’altro “un temerario della legalità” (forse con un piccolo lapsus lessicale, perché “temerario” è quasi sinonimo di “avventato”…).

Bene: attendiamo ora la lapide in via Alfieri; una lapide che sia segno meno labile dell’attenzione dello Stato e che sfati il comprensibile pessimismo di Alice Grassi, che oggi definisce Palermo “città impermeabile”, una città nella quale “può succedere di tutto e non assorbe nulla, come se le cose appartenessero agli altri: più facile lamentarsi che fare”…

2° P.S.:

Mi è stato confermato che sono stati i figli a rifiutare una lapide ufficiale nel luogo dell’attentato. Davide Grassi al TG2 ha dichiarato oggi che le lapidi si mettono quando la guerra è vinta e non quando è ancora in corso. Opinione rispettabilissima. Tuttavia vedere per tanti mesi all’anno quel manifesto slavato e illeggibile accresce il senso di oblio e incuria. Inoltre lo Stato dovrebbe – a guerra in corso – rendere il giusto omaggio a chi cade in battaglia. Così almeno penso io.

Ecco come appare oggi, 29 agosto 2021, il luogo dell’attentato. Il manifesto è stato cambiato e si è svolta una cerimonia commemorativa.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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