Litigi e zuffe nell’italiano regionale della Sicilia

La permalosità dei siciliani è proverbiale; come scrive con la consueta arguzia Natalia Milazzo, “è possibile offendere un siciliano non soltanto attraverso determinati atti (ascrivibili in generale al delitto di lesa maestà), ma anche – e soprattutto – a causa di omissioni: non è stato invitato al battesimo del pronipotino, non ha ricevuto la telefonata di auguri per l’onomastico, non è stato ricevuto col fasto da lui giudicato confacente dalla moglie lombarda del figlio… Elencare i motivi per cui un siciliano si offende – o quanto meno ‘rimane male’, che è la fase immediatamente precedente – non è possibile: praticamente può offendersi per qualsiasi motivo al mondo. Si può almeno sperare che, così come si offende in fretta, dimenticherà rapidamente un’offesa? Macché, scordàtevelo.  Un siciliano si offende per sempre. Nei casi migliori fingerà di dimenticare, e tornerà a frequentare chi ha ferito il suo ipersensibile orgoglio: ma si può star tranquilli che al momento buono la vecchia piaga tornerà a sanguinare, anche a distanza di anni” (Siciliani – Figli di un dio maggiore, Edizioni Sonda, Torino 1998, pp. 36-37).

Quando qualcuno “se la prende a male”, l’offesa viene ricordata a lungo, rinfacciata alla persona “colpevole”: “Non siamo più niente, ah?!”.

E quando a casa si riferisce l’incontro con la persona sgradita, è una bella soddisfazione quella di poter dire: “Mi sono sciacquato la bocca” (non dal dentista, ma dicendo tutto quello che pensava…) oppure “Me lo sono impaiato” (cioè “gliene ho dette quattro”) o ancora “il cazziatone gli ho fatto”.

Fastidiosissimo e antipaticissimo appare chi “si sente un cazzo e mezzo” (cioè ha un’autostima decisamente sopra le righe…). Con questa gente è inutile usare mezze misure: “per un cornuto, un cornuto e mezzo”…

È brutto anche essere “scordativo”, dimenticare una cosa o (peggio) una persona importante: “vero scordativo sei!”.

Nel bel mezzo di un litigio non mancano espressioni colorite:

  • Nelle corna ti deve venire!
  • Va fatti una camminata!” (che non è propriamente un invito a fare footing…)
  • Che senti dire, ah?” (invito a chiarire bene il pensiero espresso)
  • “Ma chi mi rappresenta lei?” (svalutazione dell’avversario)
  • “Incosciente e cosa inutile!” (proclamazione dell’inutilità esistenziale della controparte)
  • Per cretino ti prendo e per cretino ti lascio” (perifrasi barocca per dare del cretino a qualcuno; i Siciliani non sempre hanno il dono della sintesi… )
  • “Io con te non ho che spartire” (come a dire che due persone non hanno niente da dirsi… e quindi bisognerebbe chiedersi perché stiano a parlarsi…).

A volte si passa a vie di fatto: “Quello mi alzò le mani!” (cioè “mi ha picchiato”); ed il bello è che l’avversario, quando è furente, quando “si volta come un cane”, pretende pure di avere ragione (“A senso suo pure ragione ha!”).

Se si dice qualcosa che offende, che è detta a sproposito, si corre il rischio di scatenare il cannibalismo della controparte: “Quando disse così, mio padre se l’è mangiato”.

Chi riferisce allibito le affermazioni dell’avversario, chiede a volte, con meravigliata costernazione: “Lo sai come se ne viene?”.

Quando poi la persona con cui si contende ha dato di sé una prova inaspettata, l’espressione che esprime questa mutazione è: “Al naturale è uscito!”. In questo caso ci si sdegna dicendo: “Ma questo modo e maniera è?” (questi sono modi da usare?!!).

Se succede qualcosa di spiacevole, si cerca il responsabile (“Lui ci colpa!”, è colpa sua); ma a volte una possibile soluzione è la “divina indifferenza” di montaliana memoria: “Non ci dare conto, a questo vastaso” (cioè “non badargli, non preoccuparti di lui”).

Altro elemento consolatorio è quello di non aver dato soddisfazione all’avversario (“Non gli ho dato sazio”) o di avere avuto piena ragione (“Viene a dire che ho ragione, allora!”).

A volte le discussioni procurano amarezza e dispiacere; si esclama allora, con costernazione e dolore: “Mi devi credere: disfizziato sono” oppure “Mah! Non c’è più dove arrivare!” (riedizione dell’antico “o tempora! o mores!”). In questi casi l’amico di turno rivolge un invito a minimizzare: “Non ti pigliare collera!”.

Ci sono poi gli iracondi indiscriminati, quelli che ce l’hanno “con l’universo creato”; come quel tizio che “si mise a buttare voci contro tutti”.

Se però la persona litigiosa ci compare inaspettatamente in veste remissiva, gli si può dire: “Confessato di fresco mi pari!”.

Non mancano gli jettatori, che “buttano il picchio”, cioè scagliano il malocchio, magari sull’abitazione del rivale; ed ecco una signora disperata che proclamava: “Questa casa me l’hanno picchiata tanto, che non ci sto più” (nel senso che la casa è stata colpita dalla jella per colpa di qualche nemico invidioso).

Lo jettatore “porta attasso”, procura scalogna (“sfiga”, direbbero al Nord): alla larga da queste persone, ritenute nefaste (al vederle, si dice “facciamo corna!”)!

Una categoria diversa di contrasto è quello dei piccoli litigi familiari, delle zuffe (anzi, delle “sciarre”) quotidiane; ci si offende: quando si è stati esclusi da una decisione (“L’avete fatto zitto tu e zitto io”); quando non si ha la libertà che si vorrebbe (“Sono privo pure di telefonare!”); quando si vuole avere “conto e ragione” di tutto; quando si mostra assoluta incredulità per un’affermazione improbabile dell’altro/a (“Seee, in un occhio!” oppure “Ma che fa, babbìi?”).

In questi casi fare riconciliare i litiganti è difficile, occorre un’organizzazione particolare (“La Madonna col Signore dobbiamo fare incontrare!”, cosa non sempre facile).

E comunque, quando qualcuno ci infastidisce, è pronta la battuta: “Lasciami, non mi stonare la testa!” (“non scocciarmi!”).

Non mancano, né sono mai mancati, i pregiudizi sociali ed estetici, ad esempio contro chi è kitsch o “coatto” (come direbbero a Roma): “Quel ragazzo è un vero tascio, lascialo perdere…”.

Per concludere, ecco qualche altra espressione adatta a contesti “caldi”:

“Guardalo, è fresco e pettinato!” (adirata constatazione dell’irritante flemma dell’avversario).

Fesserie come i tuoni mi conti!” (quindi “dici un sacco di sciocchezze”).

A camurria si è messo!” (cioè ripete sempre una richiesta o reitera un pervicace comportamento provocatorio).

“Che trovasti, il muro basso?” (frase rivolta all’avversario per vantare la propria superiorità, il proprio essere “muro alto”, invalicabile).

“Sta cosa alla sanfasò l’hai fatta!” (cioè, con espressione di origine francese, sans-façon “alla buona, alla meglio”).

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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