Meleagro ed Eliodora

Meleagro nacque intorno al 130 a.C. a Gadara, in Transgiordania. In gioventù aderì al cinismo, probabilmente influenzato dal filosofo Menippo, suo concittadino, che imitò negli scritti giovanili. Visse la maggior parte della sua esistenza a Tiro e nella vecchiaia si trasferì a Cos, dove morì intorno al 60 a.C.

Di lui restano centotrenta epigrammi, conservati nell’Antologia Palatina, nonché l’introduzione in distici alla Corona, l’antologia in cui raccolse gli epigrammi di vari poeti (in questo componimento, formato da cinquantotto versi, sono ricordati quarantaquattro poeti associati ad un fiore).

La cornice degli epigrammi di Meleagro è il simposio, come dimostrano la presenza di tipici elementi simposiali (coppe, ghirlande e vino) e la selezione dei contenuti (l’invito a bere, l’eros, l’amicizia, l’elogio della bellezza).

Tale scelta fu probabilmente influenzata anche dalla vita appartata che il poeta condusse in zone periferiche dell’impero: “in una società mista e plurirazziale, dove la supremazia politica del ceto dominante greco appariva ormai seriamente minacciata, l’ambiente del simposio rappresentava infatti nello stesso tempo la trincea e il cenacolo dove si custodivano gelosamente le tradizioni culturali della civiltà greca” (G. Guidorizzi, Meleagro – Epigrammi, Mondadori, Milano 1992, p. 14).

Meleagro descrisse l’amore nelle sue numerose sfaccettature: dalla passione alla gelosia, dalla delusione al rifiuto, dal dispetto alla delicatissima tenerezza.

Nella galleria di personaggi l’attenzione è rivolta soprattutto a due etere, conosciute a Tiro: Zenofila ed Eliodora. Sembra che in particolare quest’ultima, definita ψυχήν τῆς ψυχῆς (“anima dell’anima”, A. P. V 155, 2), abbia suscitato nel poeta un amore profondo.

Presento qui (nella bella traduzione di Salvatore Quasimodo) tre epigrammi a lei dedicati.

Nel primo (A.P. V 147) il poeta immagina di intrecciare per la sua amata una ghirlanda, enumerando i fiori con cui l’allestirà:

Intreccerò la bianca

viola, intreccerò il tenero narciso

con i mirti, intreccerò anche i ridenti

gigli, intreccerò anche il dolce croco,

e intreccerò il giacinto purpureo,

e intreccerò la rosa

cara agli amanti. Voglio che alle tempie

di Eliodora dai riccioli odorosi

la mia corona ricopra di fiori

la sua splendida chioma.

Il poeta attinge qui al repertorio botanico per offrire un tripudio di fiori all’innamorata, riuscendo, nonostante l’impiego di immagini apparentemente scontate, a trasmettere un’impressione di tenerezza.

Più volte, nella sua produzione, Meleagro associa la bellezza femminile ad immagini floreali; nell’epigramma V 143 scrive: “La corona sfiorisce/ sul capo di Eliodora, ma essa splende/ corona della corona” (trad. Quasimodo). Nell’epigramma V 144 si ferma a contemplare i fiori delle colline, la cui bellezza è inferiore a quella di Zenofila: “Fiorisce il garofano, fiorisce il narciso assetato di pioggia, / sulle colline si distendono i gigli fioriti./ Fiorisce l’anice d’amore, Zenofila, dolce rosa di Peithò/ un fiore splendido tra gli altri fiori./ Prati, perché ridete scrollando le chiome screziate?/ È inutile: la fanciulla vince le ghirlande odorose” (trad. Guidorizzi). Né si può dimenticare che la simbologia floreale è alla base dell’elegia premessa alla Corona di Meleagro.

Il secondo epigramma (A. P. V 155), insolito per la sua brevitas, in un solo distico esprime con intensa liricità i sentimenti del poeta per Eliodora:

Ἐντὸς ἐμῆς κραδίης τὴν εὔλαλον Ἡλιοδώραν

ψυχὴν τῆς ψυχῆς αὐτός ἔπλασσεν Ἔρως.

Dentro, dentro il mio cuore, proprio Eros

ha dato forma a Eliodora che dolce

mi parla, anima della mia anima.

Oltre alla bellissima espressione “anima della mia anima” (ψυχὴν τῆς ψυχῆς), alla donna è riservato l’unico aggettivo qualificativo (εὔλαλον, “che dolcemente parla”) del componimento.

Nel terzo epigramma (VII 476), ben più lungo, la persona loquens esprime il proprio dolore per la morte della donna prematuramente strappata da Ade, ricordando l’amore e la passione che nutriva per lei.

Eccone il testo greco, seguito dalla traduzione di Quasimodo:

Δάκρυά σοι καὶ νέρθε διὰ χθονός, Ἡλιοδώρα,

δωροῦμαι, στοργᾶς λείψανον, εἰς Ἀΐδαν,

δάκρυα δυσδάκρυτα· πολυκλαύτῳ δ’ ἐπὶ τύμβῳ

σπένδω μνᾶμα πόθων, μνᾶμα φιλοφροσύνας.

Οἰκτρὰ γὰρ οἰκτρὰ φίλαν σε καὶ ἐν φθιμένοις Μελέαγρος              

αἰάζω, κενεάν εἰς Ἀχέροντα χάριν.

Αἰαῖ, ποῦ τὸ ποθεινὸν ἐμοὶ θάλος; ἅρπασεν ᾍδας,

ἅρπασεν· ἀκμαῖον δ’ ἄνθος ἔφυρε κόνις.

Ἀλλά σε γουνοῦμαι, Γᾶ παντρόφε, τὰν πανόδυρτον

ἠρέμα σοῖς κόλποις, μᾶτερ, ἐναγκάλισαι.

Lacrime anche lì, attraverso la terra

ti offro, Eliodora, reliquie d’amore,

nell’Ade, lacrime aspre sulla tomba

molto compianta, memoria dei miei

desideri, memoria del mio amore.

Ah, miseramente, miseramente

io Meleagro qui piango su te, cara

anche tra i morti, vana

offerta ad Acheronte. Ah, dov’è il mio

amato germoglio? Lo strappò Ade,

lo strappò. Ed ora la polvere sporca

il vivo fiore. Terra che ci nutri,

ti supplico, accogli tenera al tuo

seno, madre, quella che tutti piangono.

L’epigramma, che per l’estensione potrebbe essere considerato una breve elegia, si può dividere in due parti:

  • nella prima, più lunga (vv. 1-8), il poeta piange Eliodora ricordando il suo intenso amore a cui viene associato il dolore del presente;
  • nella seconda (vv. 9-10) invoca la Terra affinché accolga Eliodora.

Il componimento affronta un tema topico della poesia di tutti i tempi, il rapporto fra Eros e Thanatos, come dimostra la presenza di numerosi termini ed espressioni che appartengono al campo semantico della morte e del dolore (δάκρυα, λείψανον, Ἀΐδαν, δυσδάκρυτα, πολυκλαύτῳ δ’ ἐπὶ τύμβῳ, σπένδω, οἰκτρά, αἰάζω, ἅρπασεν ᾍδας).

L’elaborazione stilistica è altissima, come dimostra il ricorso agli enjambement e alle figure di suono. Si possono evidenziare:

  • le anafore (δάκρυα… δάκρυα, vv. 1-3; μνᾶμα… μνᾶμα, v. 4; οἰκτρά… οἰκτρά, v. 5);
  • la figura etimologica (δάκρυα δυσδάκρυτα, v. 3);
  • le allitterazioni, soprattutto ai vv. 6-8, in cui la ripetizione dell’α evoca, quasi onomatopeicamente, il lamento del poeta;
  • l’accostamento dei termini Ἡλιοδώρα δωροῦμαι (vv. 1-2), uniti in una sorta di anadiplosi che gioca sul significato del nome della donna “dono del sole”, a cui il poeta può donare (δωροῦμαι) solo le sue lacrime.

Oltre alle figure di suono, sono presenti anche altri accorgimenti stilistici:

  • la costruzione chiastica del v. 3 con la successione sostantivo-aggettivo/ aggettivo-sostantivo (δάκρυα δυσδάκρυτα/ πολυκλαύτῳ…τύμβῳ);
  • il nome dei due protagonisti accomunati dalla posizione alla fine del verso;
  • l’espressione Μελέαγρος/αἰάζω (vv. 5-6), posta perfettamente al centro del componimento e intensificata anche dall’enjambement;
  • la metafora del fiore simbolo della fanciulla (ἀκμαῖον… ἄνθος, v. 8), cara al poeta.

A causa dell’abbondante ricchezza stilistica l’epigramma è stato variamente interpretato: da alcuni critici è stato ritenuto un componimento convenzionale, che non riesce a trasmettere l’intensità del dolore. In realtà qui il poeta, innegabilmente, sente il rimpianto della donna da lui amata e perduta; e a lei dedica, con struggente lirismo, la più elaborata e patetica celebrazione che la sua arte gli concedesse: “viene alla luce, col motivo dell’amore che sopravvive nel ricordo della morte, un pathos nuovo e intenso che ha fatto pensare a Catullo, ad onta dello stile enfatico e ridondante” (E. Degani, in AA.VV., Lo spazio letterario della Grecia antica, Salerno, Roma 1992-1996, vol. I tomo II, p. 226).

Del resto, Meleagro si era legato all’amore per Eliodora in modo intensissimo, anche se il loro rapporto spesso era stato tormentato e caratterizzato da “gelosie” e “lacrime”:

La mia anima mi dice di fuggire

l’amore di Eliodora, perché sa

le gelosie, le lacrime di un tempo.

Dice, ma io non ho forza di fuggire.

Essa mi avverte. Vero! Ma poi senza

pudore nello stesso tempo l’ama.

(A.P. V, 24 – Trad. S. Quasimodo)

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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