Cinque interessanti vocaboli siciliani

Propongo oggi altri cinque termini dialettali siciliani, che sono però molto utilizzati nell’italiano regionale parlato nell’isola. Questi vocaboli sono ancora perfettamente compresi e spesso rendono un’idea in modo molto più vivace rispetto al loro corrispettivo italiano (ammesso che esista).

1) “Abbuttato”: significa “scocciato”; per Mortillaro, si usa per indicare chi è “turbato, e gonfio per isdegno, o per alterigia come toro adirato”. Il termine per alcuni rimanda all’immagine della “botte” ricolma, che non può contenere più nient’altro (infatti il primo significato dato dallo stesso Mortillaro è “enfiato, più che satollo”). Oggi si dice “mi abbutta” nel significato di “mi secca, mi scoccia” (“mi abbutta andare a scuola” è frase ricorrente degli entusiasti studenti di oggi).

2) “Addubbari”: propriamente vuol dire “adattarsi alla meglio” (Traina); quando non si riesce ad avere tutto quello che si è sperato, quando manca qualcosa su cui facevamo affidamento, si cerca di procedere lo stesso arrangiandosi: “vabbè, addubbiamo”. Traina lo collega all’italiano “addobbare” (nel senso di “ornare”), sempre nel senso di porre riparo e “adornare” una situazione che si è rivelata peggiore del previsto. Una cosa fatta alla bell’e meglio (“alla sanfasò”, come si dice qui con derivazione dal francese “sans façon”) resta comunque una cosa “addubbata”: ma meglio questa che niente.

3) “Ammuzzu”: letteralmente significa “alla cieca, a casaccio”; si dovrebbe scrivere staccato, “a muzzu”, nel senso di “senza distinzione, senz’ordine” (Traina). Il riferimento originario era alla parola “mozza”, troncata a metà, pronunciata balbettando e non speditamente (questo era il “parrari a muzzu”, cioè il “parlare sconsideratamente”). C’è anche chi, nella conversazione quotidiana, nobilita quest’espressione latinizzandola scherzosamente in “admuzzum”; ma tutti capiscono immediatamente che una cosa fatta “ammuzzo” non è certo un modello di completezza e precisione.

4) “Arriminàrisi”: vuol dire “sbrigarsi”, destreggiarsi rapidamente in una cosa. Se aspetto una persona e questa tarda e perde tempo, bisogna dirle: “Arrimìnati”, cioè “spicciati”. Il verbo “arriminare” si usa anche nel senso di “agitare con mestola o con mano cose liquide” (Mortillaro), ad es. “arriminari u sucu”, “mescolare il sugo” della pasta; quando il sugo sta cuocendo, bisogna dargli una “arriminata”, rimescolandolo. Ho sentito dire “dagli un’arriminata” anche giocando a carte, quando si invita il mazziere a mischiare le carte. 

Ottima è la pasta con i broccoli “arriminati”, cioè “mantecati”, girati nella pentola con il condimento e lasciati “riposare”; in questo caso il termine indica indica l’atto di mescolare, con il quale si rende cremoso il condimento (composto da broccoli addolciti dall’uva passa, dai pinoli e dalla cipolla che ne esaltano il gusto, dallo zafferano che dà colore e profumo al tutto e dalle sarde salate che aggiungono un sapore gustosissimo).

Per dire a qualcuno di sbrigarsi, si dice anche “spirùgghiati” (“sbrigati”), ma questo imperativo risulta più categorico e perentorio nell’invito a “sbrogliarsi” da qualche impedimento vero o presunto.

5) “Attamaticato” – Il termine è ottimamente chiarito da Roberto Alajmo: «Il verbo è di quelli che per essere tradotti in lingua italiana hanno bisogno di almeno quattro parole: “insistere per avere ragione”. Ma ancora non basta a rendere l’idea dell’ossessione martellante che si intuisce nell’onomatopea dell’espressione dialettale: “insistere molto, insistere fino allo sfinimento del proprio interlocutore”. Ci si può “attamaticare” con un videogioco, per esaurirne tutti i livelli. Con uno sport. Con una materia scolastica o universitaria. Ma uno è veramente “attamaticato” quando con la sua insistenza crea una molestia a qualcuno. Oppure se un soggetto si sente molestato da una forma di attenzione maniacale da parte di qualcuno per qualcosa: “sei proprio attamaticato!” si dice quando la soglia della semplice attenzione si ritiene superata, e si è sconfinato abbondantemente nel campo della fissazione patologica. “Non ti ci attamaticare!” si dice per scoraggiare determinate ossessioni, esortando a sorvolare e pensare ad altro, senza lasciarsi bloccare da un pensiero o ragionamento che finisce per divorare tutti gli altri. Pirandello, per esempio, era molto attamaticato su certi ragionamenti. E il pirandellismo è una variante colta dell’attamaticamento».

Alcuni giorni fa il mio barbiere (mentre cercava col lanternino sulla mia testa qualche capello che giustificasse la sua funzione) definiva un suo nipote “attamaticato” nello studio, mostrandosene giustamente compiaciuto.

Per oggi basta così, non ci “attamatichiamo” oltre.

Buona domenica!

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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