“Frangosyrianì”: la ragazza di Syros

L’isola di Syros è una delle Cicladi settentrionali, fra Kythnos e Tinos. Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente fece parte dell’Impero Bizantino fino al 1204, quando fu conquistata dalla Repubblica di Venezia. Sotto il dominio della Serenissima vi si sviluppò una forte minoranza cattolica, che ottenne la protezione della Francia; conseguentemente, anche durante la dominazione turca, grazie ad un’intesa fra il re di Francia Francesco I e il sultano Solimano, gli ordini religiosi cattolici vi furono protetti e l’isola divenne porto franco, continuando ad essere un centro di divulgazione del cattolicesimo nell’Egeo.

Per questo motivo i cattolici dell’isola di Syros sono chiamati “Franco-siriani”, con un termine che collega “Franchi” (come erano chiamati i cattolici in Grecia) e “Siriani” (nel senso di “abitanti di Syros”).

A Syros nacque nel 1905 Markos Vamvakàris (Μάρκος Βαμβακάρης), che divenne uno dei principali musicisti greci. Fu uno dei maggiori interpreti del genere musicale e poetico chiamato “rebétiko” (ρεμπέτικο). Il termine, che è un aggettivo che sottintende il sostantivo “tragùdi” (τραγούδι cioè “canto”), è di significato incerto: per alcuni deriva da vocaboli slavi che indicano il “ragazzo”, per altri è di derivazione turca (da “ribat”, che indica la caserma e la prigione).

Markos Vamvakàris (1905-1972)

Il “rebétiko”, nato in Grecia all’inizio del XX secolo fra le classi sociali più emarginate, che intendevano così narrare i loro sentimenti e le loro esperienze dolorose, ha assunto un valore analogo al tango argentino, al fado portoghese e al blues degli americani di colore. Le canzoni di questo genere trattano temi vari (amore, vicende personali, problemi sociali, ecc.) ora in tono passionale, ora in modo leggermente ironico. E per l’appunto passione e ironia si coniugano nella bella canzone “Frangorisianì” (trascrizione fonetica più corretta di Φραγκοσυριανή), composta da Vamvakàris.

Lo stesso Vamvakàris narrò la genesi di questa canzone.

Nel 1935 si esibiva a Syros, sua città natale, che aveva lasciato da ragazzo vent’anni prima; le sue esibizioni avevano luogo in un negozio sulla spiaggia, davanti a un numeroso pubblico. In genere, quando suonava il suo bouzouki, Vamvakaris era solito guardare in basso e non verso il pubblico che lo circondava. Una volta però improvvisamente alzò la testa e vide davanti a sé una ragazza bellissima dagli occhi neri. Un’apparizione fugace e indimenticabile, che lo “folgorò” profondamente.

Dopo il concerto, la notte, il musicista non riusciva a smettere di pensare alla “kopéla” (κοπέλα, “ragazza”) che aveva visto poche ore prima; allora prese una matita e buttò giù alcuni versi:

«Una vampa, una fiamma

 ho nel cuore.

 Si direbbe che tu mi abbia fatto una magìa,

 dolce ‘frangosyrianì’…»

(Μία φούντωση, μία φλόγα / έχω μέσα στην καρδιά, / λες και μάγια μού ‘χεις κάνει, / Φραγκοσυριανή γλυκιά).

Non rivide mai più quella ragazza e non ne seppe neppure il nome.

Ma quando tornò ad Atene, terminò di comporre la poesia:

«Verrò a incontrarti

di nuovo sulla spiaggia

e vorrei che mi saziassi

di carezze e baci.

Ti verrò a prendere per portarti in giro

a Fìnika, a Parakopì,

a Galisa e Dellagrazia,

anche se dovesse venirmi un colpo.

A Pateli, a Nichori,

ce la spasseremo ad Alithinì,

ed a Biscopiò (avremo) il nostro sogno romantico,

mia dolce ‘frangosyrianì’».

La misteriosa ragazza “franco-siriana” ha letteralmente “ammaliato” il poeta, che sogna di passeggiare con lei per le zone più belle della sua isola. In compagnia della bellissima fanciulla, che lo copre di baci e carezze (con rischi notevoli per la sua salute cardiaca…), l’uomo si immerge nei luoghi della sua infanzia, riappropriandosi con gioia della sua isola natìa: ecco dunque Fìnika, Parakopì, Galisa, Dellagrazia (il quartiere aristocratico di Syros, a circa 10 chilometri dalla capitale Ermoupoli), Pateli, Nichori, Alithinì e Biscopiò. In questi luoghi i due giovani vivono un’indimenticabile, anche se breve, “sogno romantico” (ρομάντζα).

“Frangosyrianì” fu musicata e registrata da Markos Vamvakàris in quello stesso 1935, diventando una delle più celebri canzoni popolari della Grecia moderna. L’arrangiamento più noto, realizzato dal grande cantante Grigoris Bithikotsis nel 1960, rese la canzone ancor più nota anche fuori dal territorio ellenico.

La piazzetta dedicata a Vamvakàris nella sua Syros

In Italia il pezzo è stato interpretato da Vinicio Caposella, con il titolo “Contratto Per Karelias”, nell’album “Rebetiko Gymnastas”, dove sono incluse anche altre canzoni “rebetika”. Il testo di Capossela è però completamente diverso: «Sulla pelle ti ho tatuata / come un crotalo per farmi ricordar / dell’aspide nel cuore / che mi succhia, succhia la tua crudeltà. / Ora non sento più dolore / non c’è niente, niente c’è più da succhiar. / Gli anni buoni che ti ho dato / niente ormai me li può fare ritornar…».

La canzone si può ascoltare su YouTube in diverse versioni, digitando “Fra(n)gosyriani”. In particolare consiglio l’esecuzione di Bithikotsis con i sottotitoli del testo greco (https://www.youtube.com/watch?v=ok0cazAi-Pg) e la divertente esecuzione dei piccoli simpaticissimi “Zouzoùnia” (https://www.youtube.com/watch?v=8s9IO4xgD8s).

Ecco il testo completo in lingua originale, con un’orientativa traslitterazione in caratteri latini per chi volesse “karaokarla”, magari nel bel mezzo di una danza corale greca:

Μία φούντωση, μία φλόγα
έχω μέσα στην καρδιά,
λες και μάγια μού ‘χεις κάνει,
Φραγκοσυριανή γλυκιά.


Θά ‘ρθω να σε ανταμώσω
πάλι στην ακρογιαλιά,
θά ηθελα να με χορτάσεις
απο χάδια και φιλιά.

Θα σε πάρω να γυρίσω
Φοίνικα, Παρακοπή,
Γαλισά και Ντελαγκράτσια

και ας μού ‘ρθει συγκοπή.

 Στο Πατέλι, στο Νιχώρι,
φίνα στην Αληθινή,
και στο Μπισκοπιό ρομάντζα,
γλυκιά μου Φραγκοσυριανή.

Mià fùndosi, mia flogha / echo mesa stin kardhià, / les ke màyia muchis kani, / Frangosirianì glikià. / Thartho na se andamòso / pali stin akroyalià, / tha ìthela na me chortàsis / apo chàdia ke filià. / Tha se paro na yirìso / Fìnika, Parakopì, / Ghalisà ke Dellagrazia / ke as mu’rthi sinkopì. / Sto Patèli, sto Nichori, / fina stin Alithinì, / ke sto Biscopiò romànza, / glikià mu Frangosirianì.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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