I ditirambi “anomali” di Bacchilide

Tradizionalmente, il ditirambo è la composizione corale in onore di Dioniso, nato come canto di culto rivolto al dio del vino e della forza vitale della natura. Nel corso dei secoli il ditirambo divenne un vero e proprio genere letterario, mantenendo peraltro i caratteri gioiosi e anche trasgressivi che lo caratterizzavano.

I sei ditirambi di Bacchilide di Ceo (VI-V sec. a.C.), però, di dionisiaco hanno ben poco e per di più quelli meglio conservati sono rivolti ad Apollo, inducendo il sospetto che si tratti piuttosto di peani. Gli alessandrini tuttavia hanno classificato queste composizioni come ditirambi e una conferma dell’esattezza di questo dato viene dal ritrovamento del Papiro di Ossirinco 1091 che contiene, classificati come ditirambi, alcuni frammenti delle stesse composizioni. Questa apparente incoerenza è stata variamente interpretata nel tempo: sembra da escludere che i filologi alessandrini si siano sbagliati nell’attribuire il genere letterario a questi componimenti (anche se non va dimenticato che essi erano ormai cronologicamente lontani dal contesto di fruizione dei carmi). La discrepanza indica piuttosto che al tempo di Bacchilide i confini di status tra ditirambo e peana non erano più così netti e che il nostro poeta poteva pertanto attuare una contaminazione tra generi (fenomeno che avverrà poi con regolarità in età ellenistica).

Alcuni anni fa è stata proposta un’interessante ipotesi di mediazione, che ricorre alla definizione più generica di κύκλιος χορός1 per indicare dei componimenti “caratterizzati da un contenuto narrativo, non necessariamente dionisiaco, ma genericamente mitologico. La disposizione circolare del coro ditirambico, attribuita dalla tradizione ad Arione di Metimna, potrebbe invece essere stata un’innovazione introdotta fra VI e V secolo da Laso di Ermione, destinata a migliorare il livello della performance, grazie al contatto visivo fra i coreuti…, incrementando così la competitività negli agoni: essa risulta da subito decisiva nella definizione dell’identità del coro ditirambico rispetto a quello drammatico, caratterizzato invece dalla disposizione rettilinea, e inoltre, essendo svincolata dal riferimento a un contesto rituale specifico, finisce per poter essere estesa anche a canti eseguiti al di fuori dell’ambito strettamente dionisiaco”2.

Dunque, il ditirambo “vero e proprio” dovette subire l’influsso di altre differenti tipologie di canti, mutando e potenziando il suo aspetto, fino a diventare un genere “aperto” a sperimentazioni di varia natura. In età ellenistica, poi, le definizioni di κύκλιος χορός e διθύραμβος finiranno per convergere, indicando dei canti corali narrativi di argomento eroico, che si presumevano (probabilmente in modo fittizio) eseguite da una formazione circolare in un ambito agonale.

I due “ditirambi” più apprezzati, nonché più discussi, di Bacchilide sono il XVII e il XVIII, contenenti invocazioni ad Apollo e aventi come protagonista mitico il re di Atene Teseo.

Come negli epinici del poeta di Ceo, il mito assume un tono da fiaba; il Ditirambo XVII (I giovani ovvero Teseo), infatti, narra la prova che Teseo deve superare per dimostrare la sua origine divina (da Poseidone).

La narrazione si collega ad un celebre mito: ogni anno quattordici giovinetti ateniesi (sette ragazzi e sette ragazze) dovevano essere condotti a Creta, per essere sacrificati al mostruoso Minotauro, in ubbidienza all’imposizione di Minosse, re della potente isola; costui voleva far così espiare agli Ateniesi l’uccisione di suo figlio Androgeo. Lo stesso Minosse va ad Atene per scegliere i giovinetti da condurre con sé; ma l’eroe Teseo decide di partire con loro, per salvare i ragazzi dalla morte. Durante la navigazione, Minosse, invaghitosi di una delle fanciulle, Eribea, ne sfiora con la mano la guancia. Teseo lo rimprovera e si proclama pronto a difendere la fanciulla; vanta poi la sua origine da Poseidone. Minosse, adirato, butta il suo prezioso anello in mare3, invitando Teseo a riprenderlo tuffandosi nel regno di suo padre; chiede poi al proprio genitore Zeus un fulmine, come segno della sua benevolenza. Il fulmine appare, ma senza paura Teseo si tuffa in mare, dove viene condotto dai delfini alla reggia sottomarina di Poseidone. Anfitrite, una delle Nereidi, gli regala uno scialle ed una corona, con cui l’eroe riappare sulla superficie del mare presso la nave, che intanto aveva continuato la navigazione; i giovani esultano ed intonano un peana, mentre Minosse sbigottisce.

Nel componimento ha grande rilievo la figura di Teseo, che assume le connotazioni di esponente di un eros “legittimo”, che si contrappone alla ὕβρις erotica di Minosse. Potrebbe sembrare strano che un tale ruolo sia rivendicato da un eroe molto noto come seduttore (sia di Arianna sia di un’Elena ancora bambina), ma la prospettiva filo-ateniese adottata da Bacchilide lo ha indotto a “glissare” su questi aspetti, raffigurando invece in Teseo l’opposizione ateniese alla talassocrazia cretese e, più in generale, a tutte le manifestazioni illegittime e prevaricatrici.

Dopo il tuffo in mare, Teseo entra in una dimensione fiabesca, sottolineata dalla prodigiosa scorta dei delfini e dalla fulgida apparizione delle Nereidi. Queste divinità marine erano ritenute κουροτρόφοι, cioè protettrici dei giovani nelle fasi “di passaggio”; i moderni antropologi hanno dunque colto in questa sezione mitica il riferimento ad un “rito di passaggio”, quello della prova iniziatica rituale dell’efebo4. Il fatto poi che le Nereidi svolgessero anche la funzione di accompagnatrici nell’aldilà si può ricollegare al concetto di “morte dell’adolescenza”, che segna il passaggio di Teseo alla nuova fase esistenziale che lo attende.

Anche i doni che l’eroe riceve da Anfitrite costituiscono una sorta di “equipaggiamento” che gli consente di entrare senz’altro nel mondo “adulto”, come un “giovane sposo” ormai in grado di compiere imprese straordinarie. Tali doni infatti “appartengono alla sfera dei più tipici attributi nuziali” e costituiscono il “contraltare al modello negativo rappresentato dal comportamento violento e arrogante di Minosse, incapace di dominare gli impulsi passionali e di incanalarli entro le forme socialmente accettabili del legittimo legame matrimoniale”5.

Delle future imprese di Teseo è infine prefigurazione l’epifania dalle acque (“sorse intatto dal mare”, v. 122, trad. Sevieri), che provoca lo stupore silenzioso di Minosse e le grida esultanti dei giovani ateniesi.

Esiste peraltro una differente chiave di lettura della discesa sottomarina di Teseo: secondo Calame, essa andrebbe letta come αἴτιον della presenza di cori ateniesi, maschili e femminili a Delo, nonché come giustificazione mitologica della talassocrazia ateniese sull’Egeo; l’epifania di Teseo rappresenterebbe dunque la “rinascita” della città di Atene, protetta non solo da Atena ma anche da Poseidone e quindi legittimamente mirante al dominio sul mare6.

Il carme nel complesso unisce brillanti doti descrittive a notevole tensione drammatica: si susseguono diversi colpi di scena, è assai teso lo scontro fra i due protagonisti maschili (Teseo e Minosse), è mirabile la descrizione “fantastica” della discesa negli abissi. Tipicamente bacchilidea, poi, è la tendenza a “sezionare”, con grande abilità narrativa, un episodio del mito (qui circoscritto al “viaggio di andata” di Teseo verso Creta), iniziandolo in medias res e tralasciandone gli sviluppi successivi.

A livello stilistico, si nota la tecnica epicheggiante, l’aggettivazione abbondante ed accuratissima, dominata dall’uso di epiteti composti, la tendenza alla narrazione diluita.

Ancora più discusso è il celebre Ditirambo XVIII (Teseo). L’ode, in quattro strofe, è cantata da due semicori che dialogano tra loro impersonando Egeo e un gruppo di cittadini ateniesi. Il ditirambo è stato composto in occasione della traslazione delle ossa di Teseo da Sciro, voluta da Cimone nel 474 a.C., ed è probabile che sia connesso con le celebrazioni dell’efebia, una sorta di rito di passaggio dalla giovinezza alla maturità. Al centro di questo dialogo vi è la sorpresa per l’arrivo di un misterioso, giovane e forte eroe in città, che solo alla fine Egeo riconoscerà essere il figlio Teseo.

Nella struttura dialogata di questo ditirambo alcuni studiosi vedono, come è noto, un esempio del nucleo primitivo della tragedia, nata, secondo quanto dice Aristotele (Poetica 1449a), dall’improvvisazione di quelli che cantavano il ditirambo. Altri però, forse più a ragione, vedono al contrario un influsso della tragedia (già presente ad Atene al tempo di Bacchilide) sul ditirambo, che avrebbe assunto in questo caso una insolita forma dialogata. Comunque stiano le cose, il Ditirambo XVIII testimonia ancora una volta la capacità di Bacchilide di apportare cambiamenti originali ai generi letterari esistenti.

MARIO PINTACUDA

[da “Annali del Liceo Classico Statale “Umberto I di Palermo”, 2012, pp. 67-70]

NOTE

[1] Cfr. in proposito D. Fearn (Bacchylides: Politics, Performance and Poetic Tradition, Oxford 2007) e P. J. Wilson (The Greek Theatre and Festivals, Oxford 2007).

2 R. Sevieri, Bacchilide – Ditirambi, La Vita Felice, Milano 2010, p. 9.

3 Una vicenda simile (ma solo per il dettaglio dell’anello gettato in mare) compare in Erodoto, ove il tiranno Policrate di Samo getta in mare il proprio anello più prezioso accettando un consiglio del faraone Amasi, suo amico e alleato, che lo esorta ad evitare l’invidia degli dèi; ma l’anello viene miracolosamente recuperato allorché un pescatore gli consegna un pesce che lo ha inghiottito; l’episodio preannunzia la rovina di Policrate (cfr. Erodoto III 39-43).

4 Per analoghi salti in mare di eroi, cfr. Od. V 333-334 e Virgilio Georgiche IV 357 ss.; a questo tipo di prova iniziatica allude Pausania (II 34).

5 R. Sevieri, op. cit., p. 126.

6 Cfr. C. Calame, Pratiques poétiques de la mémoire, Paris 2006, pp. 143-194. A ben vedere, la vicenda non presenta un rigore logico assoluto: infatti non si fa più alcun cenno all’anello gettato in mare da Minosse e che Teseo avrebbe dovuto riportare alla superficie. È stato osservato che Teseo ha di fatto superato la prova riemergendo dalle acque e che nemmeno Minosse ha rispettato i patti, dato che ha fatto proseguire la navigazione; ma probabilmente il vero motivo dell’incoerenza è che la divagazione “fiabesca” nel magico mondo degli abissi ha distratto il poeta e lo ha condotto in una diversa dimensione, ove i normali parametri razionali vengono accantonati.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *