Il pianto di Briseide

Nel I libro dell’Iliade (vv. 318-348), dopo l’aspra lite tra Agamennone ed Achille, l’assemblea dei Greci si scioglie; l’Atrìde non esita allora a realizzare la minaccia appena rivolta all’avversario: «verrò io stesso alla tua tenda e mi prenderò la bella Briseide, il tuo dono, perché tu sappia che sono più forte di te» (vv. 184-186; uso qui la traduzione della prof. Ciani).

Agamennone tuttavia, almeno per il momento, non intende (o non osa?) recarsi personalmente alla tenda di Achille per prendere la schiava, ma invia due araldi, Taltibio ed Euribate: «Andate alla tenda di Achille figlio di Peleo; prendete per mano la bella Briseide; e se non vuole darvela, io stesso andrò a prenderla e non da solo: sarà molto più duro, per lui» (vv. 322-325).

Nella successiva scena è molto penetrante l’osservazione psicologica dei vari personaggi.

Anzitutto, i due araldi affrontano la missione “contro voglia” (“aékonte”, ἀέκοντε, v. 327) e, giunti alla tenda di Achille, non osano neanche parlare: «Si fermarono senza parlare, senza dir nulla, per timore del re» (v. 332); essi infatti sono consapevoli di eseguire un ordine ingiusto e temono la terribile ira di Achille.

Il Pelìde appare ai messaggeri “seduto accanto alla tenda e alla nera nave”: il participio “hémenon” (ἥμενον, “seduto”), collocato in posizione enfatica ad inizio di verso (τὸν δ’ εὗρον παρά τε κλισίῃ καὶ νηῒ μελαίνῃ / ἥμενον, vv. 329-330), sottolinea la nuova condizione dell’eroe, già caratterizzato dal forzato riposo e tormentato interiormente.

Achille non è certo contento di veder arrivare Taltibio ed Euribate: «non si rallegrò, vedendoli, Achille» (οὐδ’ ἄρα τώ γε ἰδὼν γήθησεν Ἀχιλλεύς, v. 330); tuttavia si dimostra pacato e rispettoso nei loro confronti. L’eroe sa distinguere, sa differenziare il suo comportamento: se la sua ira nei confronti di Agamennone è irremovibile, egli però sa essere cortese verso i due ambasciatori, figure degne di rispetto in quanto «messaggeri di Zeus e degli uomini» (v. 334).

Achille non è dunque “iracondo” a tutti i costi, irragionevole e feroce; in lui affiorano capacità di riflessione e di autocontrollo, che peraltro coesistono con il suo temperamento passionale e impulsivo; il contrasto tra furore e saggezza contraddistingue l’eroe nel corso di tutto il poema.

Il Pelìde, dunque, non si oppone al comando di Agamennone e invita Patroclo a consegnare la fanciulla ai due messaggeri: «Suvvia, nobile Patroclo, portala fuori e consegnala a loro, che la portino via» (vv. 337-338). Non rinuncia però a rivolgere contestualmente un duro ammonimento destinato al suo avversario: «ma essi mi siano testimoni, davanti agli dei beati e agli uomini mortali, davanti al re inflessibile, se mai un giorno ci sarà bisogno di me per allontanare dagli altri il tremendo flagello: egli è folle davvero nella sua mente perversa, non pensa al passato e insieme al futuro, a come potranno salvarsi gli Achei presso le navi» (vv. 338-342).

Patroclo esegue l’ordine in silenzio, mostrandosi remissivo («Patroclo obbedì all’amico», ἐπεπείθεθ’, v. 345). La “bella Briseide” viene quindi condotta fuori dalla tenda ed è consegnata ai due messaggeri: la fanciulla però va con loro “contro voglia” (“aékousa”, ἀέκουσα, v. 348), rivelando così il suo intenso affetto per Achille (affetto pienamente ricambiato, come rivelerà lo stesso eroe: cfr. IX 342-343 τὴν / ἐκ θυμοῦ φίλεον “io l’amavo di cuore”).

L’atteggiamento di Briseide, che vive il dramma del doloroso distacco, può spiegare ancor meglio l’ira di Achille: la donna non è per lui un semplice oggetto, un “dono onorifico” (“ghéras”, γέρας) come un altro.

La scena si conclude rapidamente e in un imbarazzato, generale silenzio: «essi se ne andarono: passavano accanto alle navi degli Achei e la donna li seguiva, a malincuore» (vv. 347-348).

L’attrice australiana Rose Byrne nel ruolo di Briseide (dal film “Troy” di Wolfgang Petersen, 2004)

Aggiungo due ultime considerazioni.

1) L’azione qui si svolge nella tenda d’Achille, ove il Pelìde si è appena recato con Patroclo e con i suoi compagni; questa “location” rappresenta, nel poema, uno spazio nettamente opposto al resto dell’accampamento acheo e, soprattutto, al campo di battaglia.

In questo luogo giungeranno, nel IX libro, altri tre legati (Odisseo, Fenice ed Aiace), incaricati da Agamennone di convincere Achille a tornare in battaglia: anche in questo caso, si avrà l’impressione che, nella tenda, si attui un passaggio da una dimensione ad un’altra, dal mondo della guerra e del sangue al mondo della pace e della serenità, contrassegnato anche dalla presenza ristoratrice della musica; infatti i messi troveranno Achille intento a suonare la cetra e a cantare “gesta d’eroi” (ἄειδε… κλέα ἀνδρῶν, IX 189). Solo Patroclo gli starà seduto di fronte, ascoltandolo in silenzio.

In sostanza, stando lontano dal campo di battaglia, nella sua voluta segregazione, Achille modifica il suo ruolo e matura anche una nuova concezione dell’eroismo e della vita in generale: egli è “estraneo alla battaglia, isolato dal campo, in un tempo sospeso dove la sua storia sembra già leggenda, materia mitica da cantare con l’accompagnamento della cetra” (M. G. Ciani).

La tenda è il luogo della pace, della razionalità, della moderazione; fuori da essa, infuria la guerra, con le sue violenze dissennate e la sua assurda crudeltà.

E forse anche oggi, mentre la follia bellica si allarga sempre più in un mondo che ha smarrito ogni moderazione e ogni razionalità, andrebbero riletti questi versi che riaffermano, sia pure in un contesto drammatico, alcuni dei valori fondanti dell’umanità, primo fra tutti il rispetto per l’altro e l’assenza di ogni violenza dissennata.

Non a caso, quando da questa dimensione “da eden” Achille sarà riportato nel furore della battaglia (in seguito alla morte del suo amato Patroclo), la collera bestiale si riaffermerà in lui e lo condurrà ad eccessi sanguinari inaccettabili (come l’oltraggio prolungato del cadavere di Ettore).

2) Il nome “Briseide” (Βρισηίς) è un patronimico; la ragazza si chiamava in realtà Ippodamia ed era figlia del sacerdote Brise, fratello del sacerdote Crise; era dunque cugina di quella Criseide che era stata catturata da Agamennone e che fu poi forzatamente restituita al padre in seguito all’ira di Apollo.

Briseide, particolarmente nel nostro episodio, appare come l’emblema della violenza che, nelle guerre, colpisce sempre e immancabilmente le donne: Briseide o Criseide (con una sola lettera a rimarcare la loro differenza identitaria) sono, sempre e comunque, vittime della brutalità maschile, oggetti di scambio, “doni” più o meno onorifici.

E tuttavia Briseide, con una curiosa anticipazione della “sindrome di Stoccolma”, si è innamorata del suo “padrone” Achille: si è creato infatti, fra i due, un legame sincero, che contribuisce ad accentuare la tristezza di questo momento.

Dopo la morte di Patroclo e la riconciliazione di Achille con Agamennone, quando Briseide sarà restituita ad Achille, pronuncerà un disperato compianto per Patroclo (cfr. Il. XIX 282-302) esprimendo il rammarico per le possibili nozze con Achille, non più avvenute: «andavi dicendo / che d’Achille divino / m’avresti fatta sposa legittima (κουριδίην ἄλοχον), condotta sopra le navi / a Ftia e fra i Mirmidoni avremmo celebrato le nozze» (Il. XIX 297-299, trad. Calzecchi Onesti).

La condizione della ragazza ha dunque superato quella di una normale “concubina” per diventare, quasi, quella di una “sposa legittima”: si comprende meglio dunque come, in questo breve episodio, la ragazza si allontani dalla tenda di Achille “contro voglia”, triste e silenziosa.

P.S.: L’immagine allegata è il quadro “L’ira di Achille” (1825) di Jacques Louis David (1748-1825).

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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