Nell’epigramma A.P. V 6 Callimaco dimostra come i giuramenti d’amore siano destinati ad essere infranti. Lo dimostra la vicenda di Callignoto, che aveva giurato alla sua Ionide che non l’avrebbe mai tradita, ma ora brucia d’amore per un ragazzo e della sua donna non gli importa più niente.
Ecco anzitutto il testo greco dell’epigramma, seguito da una mia traduzione.
A. P. V 6
Ὤμοσε Καλλίγνωτος Ἰωνίδι μήποτ’ ἐκείνης
ἕξειν μήτε φίλον κρέσσονα μήτε φίλην.
Ὤμοσεν· ἀλλὰ λέγουσιν ἀληθέα τοὺς ἐν ἔρωτι
ὅρκους μὴ δύνειν οὔατ’ ἐς ἀθανάτων.
Νῦν δ’ ὁ μὲν ἀρσενικῷ θέρεται πυρί, τῆς δὲ ταλαίνης 5
νύμφης ὡς Μεγαρέων οὐ λόγος οὐδ’ ἀριθμός.
Ha giurato Callignoto a Ionide:
non avrà mai nessuno
più caro di lei,
né amico né amica.
Sì, ha giurato; ma dicono (ed è vero)
che i giuramenti d’amore
non entrano nelle orecchie
degli dèi immortali.
Ora lui brucia,
infuocato d’amore
per un ragazzo.
E della povera ragazza
non gli importa più niente,
proprio come si fa con i Megaresi.
Il componimento sviluppa un topos dell’epigramma erotico: il giuramento d’amore (ἀφροδίσιος ὅρκος).
Per i Greci il giuramento rivestiva un valore sacrale, del quale Zeus era testimone e garante e, in caso di spergiuro, vendicatore.
Ma l’ἀφροδίσιος ὅρκος rappresenta un’eccezione già codificata da Esiodo; Zeus infatti, dopo essersi unito ad Io, giurò ad Hera di non averlo fatto: “per questo dice Esiodo che i giuramenti di amore non determinano lo sdegno degli dèi” (fr. 124 M. W., trad. Colonna).
L’idea della vanità dei giuramenti pronunciati dagli innamorati era così diffusa da essere diventata un proverbio, citato anche nel Simposio di Platone: ἀφροδίσιον γὰρ ὅρκον οὔ φάσιν εἶναι (“dicono che non esiste giuramento d’amore” 183 b).
Callimaco riprende dunque un tema tradizionale, creando una poesia ricercata per la cura degli espedienti stilistici:
- l’anafora del verbo ὤμοσε, rafforzata anche dalla posizione incipitaria ai vv. 1 e 3;
- la paronomasia φίλον… φίλην (v. 2), sottolineata dalla ripetizione di μήτε;
- la metafora del fuoco per indicare l’amore, frequente nella letteratura greca già a partire dall’età arcaica, impreziosita dal raro aggettivo ἀρσενικῷ;
- la scelta del nome Ἰωνίς, che potrebbe essere una voluta allusione ad Io, menzionata nel frammento esiodeo.
Il momento di massima intensità emotiva si raggiunge nell’ultimo distico, con l’espressione τῆς δὲ ταλαίνης / νύμφης (lett. “della povera / fanciulla”); ma l’ultimo verso inserisce una nota ironica sulla considerazione pari a zero di cui gode ormai la ragazza, con la citazione di un proverbio (estraneo al contesto erotico) che mira a ridurre il pathos.
Il riferimento ai Megaresi (v. 6) va chiarito: si tratta di un’espressione proverbiale per dire “tenere in nessun conto”. Infatti, secondo uno scolio a Teocrito (XIV 8), ai Megaresi che avevano consultato l’oracolo di Delfi per sapere che posto essi occupassero fra i popoli greci, la Pizia rispose: “Voi, o Megaresi, non siete né al terzo posto né al quarto né al dodicesimo ma fuori del computo”.
A Callimaco si ispirerà Catullo, che nel carme LXX riprende lo stesso motivo anche se con toni molto più seri, alludendo alle fallaci dichiarazioni d’amore della sua Lesbia:
Nulli se dicit mulier mea nubere malle
quam mihi, non si se Iupiter ipse petat.
Dicit; sed mulier cupido quod dicit amanti
in vento et rapida scribere oportet aqua
“La mia donna dice di non voler fare l’amore con altri,
se non con me, neppure con Giove, se la corteggiasse.
Dice così; ma quel che la donna dice all’amante folle di passione
bisogna scriverlo sul vento, sull’acqua che scorre veloce”
(trad. F. Della Corte).
P.S.: L’immagine è tratta dal film “Giuramento d’amore” (1955), diretto da Roberto Bianchi Montero e interpretato da Rosario Borelli e Ileana Lauro. Era un film “strappalacrime”, che riscuoteva all’epoca un certo successo (la critica volle nobilitare questo genere definendolo “neorealismo d’appendice”).