Un semplice sillogismo elettorale

L’articolo 48 della nostra Costituzione recita: «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico».

Ne deriva, a mio parere, un semplice sillogismo, che non penso richieda particolari doti di speculazione filosofica:

1) Il voto per i cittadini italiani è un sacrosanto diritto, ma anche un “dovere civico”.

2) Per percepire il reddito di cittadinanza occorre essere cittadini italiani.

3) I cittadini italiani che percepiscono il reddito di cittadinanza devono andare a votare.

Se questo sillogismo è vero, ne deriva (o ne dovrebbe derivare) una conseguenza.

Domani si va a votare per le amministrative 2022 e per i referendum. Qualora si accertasse (cosa semplicissima, che algoritmi di un Paese meno inefficiente e corrotto scoprirebbero in tempo reale) che un percettore del sussidio non si è recato alle urne, l’elemosina di Stato gli andrebbe immediatamente revocata.

Sarebbe infatti evidente che questo “cittadino”, fruitore di un reddito di “cittadinanza”, intende quest’ultima a senso unico, pretendendone tutti i diritti e rifiutandone ogni dovere.

Non basta. Da cosa nasce cosa.

Una volta accertata con dati di fatto la scarsa o nulla disponibilità di molti alla vita civica attiva, si dovrebbero stanare uno per uno tutti coloro che, elettori solerti o no, percepiscono il reddito di cittadinanza pur espletando (più o meno spudoratamente) altre attività in nero (anche queste – volendo – sarebbero facilmente accertabili con capillari indagini a tappeto sul territorio e controlli incrociati).

Contestualmente, sarebbe il momento di quantificare quante proposte di lavoro siano state invece rifiutate in questi mesi dai percettori del sussidio, perché ritenute meno “vantaggiose” in termini economici e in termini di impegno reale.

Bel vespaio, come si vede. Ma a chi giova sollevarlo?

In Sicilia i percettori di reddito di cittadinanza sono circa 245.000 (secondo posto nazionale dopo la Campania). Non a caso il presidente del Movimento degli Zainetti, in visita a Palermo pochi giorni fa, ha avuto un’accoglienza trionfale, è stato acclamato come “papà” nei quartieri popolari e ha ribadito che il reddito di cittadinanza è “un presidio di legalità contro la mafia”.

Non c’è da meravigliarsi, di fronte a tale tripudio popolare, del fatto che molti attuali candidati al ruolo di sindaco di Palermo (appartenenti ad opposti schieramenti), pur se intimamente convinti del contrario, dichiarino (o siano stati indotti a dichiarare) che, pur di mantenere la “pace sociale” e l’ordine pubblico e pur di non “fare un favore alla mafia”, sia opportuno mantenere uno “status quo” di cui è meglio accantonare per ora le contraddizioni.

Poi, dopo il voto (sempre che la gente vada a votare, sfuggendo alla duplice suggestione del mare e della partita del Palermo), si parlerà, eventualmente, di qualche correzione di rotta.

Nel frattempo, meglio rinunciare ai sillogismi pseudofilosofici.

Povera e nuda va Filosofia: e forse meriterebbe anche lei un reddito di cittadinanza.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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