40 anni fa: una gita a Piano Cervi

Esattamente quarant’anni fa, il 10 ottobre 1982, era domenica: una bella domenica piena di sole con una temperatura ancora quasi estiva.

Mi svegliai presto a Bagheria, dove allora vivevo con i miei, e con la mia Renault 14 andai a Palermo per le 8,30 a prelevare la mia “zita” Silvana.

Ci dirigemmo quindi a Termini per prelevare i nostri cari amici Enzo Mineo ed Ester. Enzo non è più con noi, anzi è con noi più di prima; quindi sarà contento di ricordare con me quella bella giornata.

Anzitutto ci dirigemmo a Piano Zucchi, all’albergo di Martino Mogàvero, per prendere una congrua scorta di vino; quindi, dopo una breve sosta alla baita di Vincenzo Mollica, raggiungemmo Piano Cervi, nel parco delle Madonie (è famoso per la sua faggeta, la più meridionale d’Europa).

Lasciata la macchina, iniziammo una lunga marcia fino a giungere a un bel prato dove consumammo i viveri: io, stimolato dalla frescura e dalla lunga camminata, mi annessi tre panini uno dopo l’altro (beato appetito dei 28 anni di età!).

Ricordo che con Enzo, trovando due rami di alberi che sembravano due clave, improvvisammo un trogloditico duello medievale roteando le mazze, mentre le nostre ragazze ci guardavano allibite.

Enzo poi si mise a cercare funghi, con scarso successo (aveva ancora piovuto poco).

Inevitabilmente, come sempre facevamo quando ci incontravamo (e con grande fastidio delle nostre partner), anche in quelle ore Enzo ed io rievocavamo i tempi gloriosi del servizio militare: ci eravamo conosciuti quattro anni prima a Civitavecchia, al 1° Battaglione Bersaglieri.

Enzo era più grande di me di un paio d’anni; la prima volta ci eravamo incontrati alla mensa, in attesa di riempire la nostra gavetta metallica con il minestrone. Le prime battute scherzose ce le scambiammo lì: l’ironia fu il cemento che ci unì fin dall’inizio, quell’ironia salvifica che ti fa andare avanti nei momenti difficili perché li ridimensiona e li riporta alla giusta misura.

In particolare rievocammo una domenica di quel novembre 1978, in cui eravamo entrambi di guardia in caserma, con un sole beffardo che invitava a saltare il muro e scappare. Ebbene, quel giorno fu uno dei più belli di quell’anno di servizio militare: infatti nelle pause del P.A.O. (picchetto armato ordinario), che duravano tre ore ciascuna, io ed Enzo girammo la caserma palmo a palmo, con un blocchetto-notes in mano, per annotare scrupolosamente tutte le scritte roboanti che costellavano i muri della caserma.

Le ho ancora, conservate scrupolosamente: “Amor di patria sino alla morte / Prontezza sino alla spavalderia / Iniziativa sino alla disubbidienza / Allegria sino alla vecchiezza / Sii più Dio che bersagliere, più bersagliere che diavolo / Carri armati al passo… bersaglieri di corsa! / Il soldato tedesco stupì il mondo, il bersagliere italiano stupì il soldato tedesco / Spirito offensivo sino alla vittoria / Cameratismo sino al sacrificio / Spirito di corpo sino al fanatismo / Piume al vento, nemico in fuga / Ferrea mole ferreo cuore”.

Ricordo che ci sbellicavamo dalle risate, ben poco “patriottiche”: ma non ce ne voglia la nuova leader del Paese, anche perché sia Enzo sia io eravamo “uomini delle istituzioni” (io a scuola e lui nella magistratura); solo che né lui né io abbiamo mai sopportato la retorica, l’enfasi e i toni “gridati”…

Espletato e concluso (con grande gioia delle ragazze) il tributo immancabile alle nostre rimembranze militari, alle 16 circa tornammo alla macchina e ci recammo a Polizzi, sempre “Generosa” (in quel caso fu generosissima dei suoi squisiti dolci locali, che comprammo in congrua quantità).

Era il momento di tornare: depositammo Enzo ed Ester a Termini e, dopo una tappa immancabile a Bagheria, tornammo a Palermo. Qui, per compensare il “misero” (?) spuntino diurno, mi autoinvitai dai miei neo-suoceri Ernesto e Bice; la cena fu piuttosto leggera (?): salsiccia condita con l’insalata russa che a Bagry mi ero fatto dare da mia zia.

Di quella bella giornata restano le foto; quelle che mi piacciono di più sono due: una mi mostra inginocchiato ai piedi della mia futura metà (che minacciosamente mi avvinghia le mani al collo, forse temendo nuove rievocazioni militari), mentre nell’altra siamo tutti e quattro buttati per terra nel prato (simili a cow-boys texani in attesa dell’arrivo dei pellerossa…).

Dedico in particolare ad Ester e ai suoi figli questo ricordo: uno dei meriti più grandi dell’amicizia è quello di non permetterti di liberarti mai dei momenti belli passati insieme. Gli anni passano, i capelli diventano bianchi (almeno per quegli sventurati che li hanno), le persone attorno a noi cambiano. Ma, finché restano scolpiti nella nostra memoria, gli attimi più belli della nostra esistenza continuano a vivere indelebili.

Ecco perché stamattina, anche se oggi nuvole scure coprono il cielo di Palermo e dal cielo scende una pioggia sottile, io invece vedo splendere il sole, mi rivedo in macchina accanto a Silvana (che sento affaccendarsi in questo momento in cucina e che è sempre con me), rivedo Enzo ed Ester che scendono di casa. E mi sembra di dover parlare ancora e sempre con il mio indimenticabile amico, scoppiando a ridere come immancabilmente ci capitava. Non potrò mai ringraziarlo abbastanza di quello che è riuscito a lasciare a me e a tutti quelli che l’hanno conosciuto, stimato e amato.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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