Quando reggevo il mòccolo

Mercoledì 30 luglio 1969, quando avevo quindici anni, ero “di matrimonio”. Si sposavano infatti, alla chiesa della Gancia di Palermo, due persone a me del tutto ignote (Vincenzo Agnello che si sposava con una tale signorina Cipriano).

Come mai, direte voi, assistevo alle nozze di due perfetti sconosciuti?

Semplice: ero stato cooptato in veste di “accompagnatore” di mia cugina Giovanna e del suo “zito” Pietro Maggiore, che – proprio in quanto fidanzati – per la mentalità “baariota” dell’epoca “non potevano” andare da soli da nessuna parte.

Dopo la Messa, partecipai anche al ricevimento al Jolly Hotel: il menu, all’epoca molto più sobrio di quanto si usi ora, prevedeva nell’ordine cannelloni alla siciliana, noce di vitello al forno con patate parigine e fagiolini al burro, torta, gelato, champagne, caffè.

Tutto finì alle 15 (erano veramente altri tempi… oggi un matrimonio che si rispetti, ammesso che lo si celebri, dura almeno otto ore…). Era troppo presto per tornare a casa, sicché i due “ziti” mi coinvolsero in un’ulteriore “passiàta” a Piana degli Albanesi ove, essendo chiusa la cattedrale di San Demetrio, comprammo due pani di frumento, riempimmo di ottimo vino locale un bidoncino da 3 litri e ritornammo da S. Cristina Gela e Belmonte Mezzagno, facendo un’altra sosta all’obelisco di Gibilrossa. Qui io (intendendo in qualche modo sdebitarmi con gli “ziti” per la bella giornata) a un bar, spendendo ben 320 lire, offrii a Giovanna un’aranciata Ferrarelle, a Pietro una Coca-cola e a me stesso una Pepsi. Infine da Croce Verde e Ciaculli andammo a riprendere l’autostrada e tornammo a Bagheria per le 17,30.

Insomma, come si può vedere, “reggere il mòccolo” aveva i suoi vantaggi.

L’origine dell’espressione “reggere il mòccolo” era così chiarita, alla fine dell’800, dallo studioso Pico Luri da Vassano, in una raccolta di proverbi e motti pubblicati con lo pseudonimo di Ludovico Passarini: «Anticamente in fatto di amori furtivi e notturni, e in altre opere ladre, i grandi signori si facevano tenere il lume dal servo più fido. Un lume e un aiuto ce lo voleva per iscalar muri, traversar viottoli, scoprir agguati ecc. Il servo dovea tenere il lume, vedere, ed essere muto e anche sordo». In altre parole i nobili che uscivano nottetempo in cerca di “amori furtivi e notturni” avevano bisogno di qualcuno che gli facesse luce per strada; a questo provvedeva un servo, che reggeva una candela (appunto “il mòccolo”). In seguito la frase, soprattutto in romanesco, assunse una connotazione negativa, indicando l’imbarazzante situazione di una persona che si trovava a fare da terzo incomodo alla presenza di una coppia di innamorati.

Tornando agli usi e costumi della Sicilia di quei tempi remoti, nei casi migliori (quindi nei matrimoni “non combinati” fra famiglie e nei fidanzamenti non indotti da “intermediari”) due giovani potevano conoscersi a una festa, o in una riunione di famiglie, oppure passeggiando lungo il corso principale del paese; potevano simpatizzare, innamorarsi, decidere di “farsi ziti”; ma a quel punto entravano in campo le famiglie e addio privacy per i due fidanzati ufficiali!

Non erano lasciati soli che per pochi istanti: lo “zito” la sera veniva a cena dai suoceri, sedeva accanto alla futura sposa e poteva solo sfiorarle una mano nei pochi attimi in cui gli occhi indagatori dei genitori di lei si distraevano. Al massimo, quando era l’ora di andare via, Concettina era autorizzata ad accompagnare lo “zito” alla porta e a sostare con lui qualche minuto, sempre con il rischio di qualche blitz indagatore inopportuno.

Nel film “Il Padrino” di Francis Ford Coppola (1972) anche il boss emergente Michael Corleone (interpretato da Al Pacino) rispetta la prassi del “buon fidanzato” e frequenta la sua “zita” siciliana Apollonia (l’attrice Simonetta Stefanelli) con il dovuto “rispetto”

Certo, non mancavano neanche allora gli escamotages per dribblare sorveglianze e restrizioni, ma la prassi generale era questa: ecco dunque che fioriva la categoria indispensabile dei “reggi-mòccolo”, cioè accompagnatori innocenti (fratellini, sorelline, cuginetti, ecc.) addetti a “scortare” i due promessi sposi, autorizzandoli così a presentarsi in pubblico senza dare scandalo.

Questa situazione, con la variante che a “reggere il mòccolo” era inizialmente la mamma della fidanzata, fu immortalata da un’esilarante canzone di Domenico Modugno, su testo di Riccardo Pazzaglia, composta nel 1955, “Io, màmmeta e tu”: «Io, màmmeta e tu, passiggiammo per Toledo / Nuje annanze e màmmeta arreto / Io màmmeta e tu / Sempe appriesso, cose ‘e pazze: / chesta ven pure o’ viaggio ‘e nozze / Jamm o’ cinema, a abballà / Si cercammo ‘e ce ‘a squaglià / Comm’a nu carabiniere chella ven a ce afferrà» (“Io, tua madre e tu, passeggiamo in via Toledo / Noi davanti e mamma dietro. / Io, tua madre e tu: / sempre appresso, cose da pazzi: / questa viene pure al viaggio di nozze: / andiamo al cinema, a ballare, / cerchiamo di squagliarcela, / ma come un carabiniere quella ci viene ad afferrare”).

Una volta, però, «San Gennaro m’aveva fatto ‘a grazia»: l’invadente suocera ha la febbre, «teneva ll’uocchie ‘e freve, / pareva ca schiattava». Il fidanzato già si illude di poter uscire da solo con la sua ragazza, ma la suocera – con un filo di voce – stronca le sue intempestive speranze: «Dalla bambina ve faccio accumpagnà». La sorellina della fidanzata si appiccica ai due innamorati e, portata al bar, si mostra pure pretenziosa: «Io, sòreta e tu jamm’ o’ bar o’ Chiatamone: / “Vuo’ ‘o cuppetto o vuo’ ‘o spumone?” / “Chello ca costa ‘e cchiù».

Alla fine il fidanzato dà di matto e si vede circondato dall’intera famiglia della sua amata: «Mà ‘nnammurato, sò rassignato: / Non reagisco più / Io, màmmeta e tu / Pàteto, fràteto e tu / Màmmeta, sòreta e tu / Pàteto, fràteto, màmmeta, sòreta, zìeta / Nònneta, fìjeta, sòreta, màmmeta, pàteto / Fràtet, fràtet, màmmeta, sòreta, zìeta / Nònneta, màmmeta, pàteto e fràtet».

A quel punto urla un liberatorio «Jatevènn! Jatevènn!»; e chissà se quel matrimonio si farà più…

Sembra incredibile, sembra esagerato, sembra assurdo: ma era così.

Nella nostra epoca tutto è cambiato e un reggitore di mòccolo ha la stessa consistenza esistenziale di un dinosauro.

Meglio così per gli “ziti” di oggi…

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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