Altri quattro vocaboli siculo-italiani

ALTRI QUATTRO VOCABOLI SICULO-ITALIANI

Continuiamo la rassegna di vocaboli del dialetto siciliano che vengono compresi e utilizzati anche nell’italiano regionale dell’isola e quindi nella conversazione quotidiana. Eccone altri quattro.

1) “Accarpato” è un vocabolo purtroppo attuale in questo periodo di fine estate (ammesso che l’estate possa mai finire qui in Sicilia) e inizio autunno.

Il vocabolario di Traina spiega “accarpatu” con “che ha principio o è leggermente ammalato” e, con le sue solite strampalate traduzioni pseudotoscane, spiega con “malazzato, bartaccio” (!), forme antiquate del nostro “malaticcio”.

Il vocabolario di Mortillaro riporta invece ben sei significati del termine: ma solo l’ultimo rispecchia il valore, persistente oggi, di “malato”, precisando anzi la patologia (“alquanto incatarrato”). Quando ci si sente raffreddati, si ha mal di gola, si sentono inquietanti brividi, la sentenza è inevitabile: “mi sento accarpato”; certo, come sempre avviene qui in Sicilia, un salutare diminutivo può attenuare il male (“accarpateddu mi sento”), ma la sostanza cambia poco…

2) “Annerbato” è chi ha i nervi a fior di pelle, è furibondo e iracondo; stato d’animo, come ognuno può constatare, quanto mai diffuso al giorno d’oggi: basti sentire le espressioni rabbiose e “vastase” di troppe persone che sembrano avercela con l’universo creato. Certo, non mancano motivi validi per essere “annerbati”: uno a caso potrebbero essere gli indiscriminati e generalizzati rincari; un esempio banale: un filone di pane rimacinato, che a gennaio costava 80 centesimi, ora costa 1 euro e 20. Ma tanto il pane – o la maldestra imitazione del pane che spesso viene venduta oggi – chi lo mangia più? Inutile “annerbarsi”.

3) Il termine “sconcertato” in Sicilia ha un’accezione diversa da quella italiana; nel vocabolario italiano De Felice-Duro, il verbo “sconcertare” (di cui “sconcertato” è participio passato) è spiegato con “turbare, sconvolgere gravemente, causare uno stato di turbamento e disorientamento”; parallelamente, il participio presente “sconcertante” (oggi quanto mai utilizzabile) si riferisce comunemente a notizie e situazioni che rendono – per l’appunto – perplessi e costernati.

Ma in Sicilia “sconcertato” è chi ha la nausea, specie dopo una traversata col mare a forza 8 o dopo un volo con annessa turbolenza aerea o dopo un pasto troppo pesante (situazione all’ordine del giorno da queste parti, forse come contrappasso per i secoli di fame nera patita in passato).

Mi sento sconcertato” è dunque la frase pronunciata da una persona palesemente “schifiata”, che fa quasi fatica a non “rovesciarsi” (altro termine italo-siculo ingannevole, dato che non indica un “capovolgersi”, bensì un minaccioso conato di vomito).

4) I Siciliani “combattono” sempre. Non perché siano particolarmente guerrafondai e violenti (lo sono soltanto il giusto, qualche “ammazzatina” – al diminutivo – proprio quando è necessario); ma perché “combattono” ogni giorno della loro vita: “combattono” con i dolori reumatici, con i malanni della suocera, con i capricci dei “picciriddi”, con le tasse da pagare (anche quelle basate sul nulla, ad es. quella sul ritiro dell’immondizia a Palermo), ecc.

Mortillaro, nel suo italiano aulico, spiega così il verbo “cummàttiri”: «isforzarsi, impegnarsi a tutta possa, non lasciar mezzo intentato per qualche pretensione»; ma arriva il momento che con qualcuno o con qualcosa “non ci si può combattere più”: e la frase “non ci posso più combattere” suona come resa e indica che si è perduta ogni forza e ogni capacità di opporsi al problema di turno.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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