Una lettera di Alcifrone (II sec. d.C.)

Tra gli autori di prosa epistolare, in Grecia nel II sec. d.C. si distinse soprattutto Alcifrone (Ἀλκίφρων), di cui ignoriamo quasi tutto anche se ci ha lasciato un nutrito corpus di lettere fittizie.

Il suo epistolario si compone di 122 brevi lettere divise in quattro libri, distinti secondo lo status sociale dei loro immaginari mittenti: pescatori e marinai (I); contadini (II); parassiti (III); cortigiane (IV).

Il genere epistolare era stato già adottato da filosofi come Epicuro, scienziati come Archimede e poeti come Ovidio (nelle sue Heroides); si tratta di lettere fittizie, in carattere con le esercitazioni retoriche della Seconda Sofistica

Le lettere di Alcifrone sono ambientate nell’Atene del IV sec. a.C.: è un’epoca ormai lontana e contemplata con una punta di nostalgia, ma anche con un sapiente lusus letterario.

Personaggi e situazioni sono tratti tratti dalla vita quotidiana e dal ceto medio; non per questo però le epistole possono essere considerate un documento fedele sulle condizioni di vita di quell’epoca ormai lontana; esse sono piuttosto un prodotto letterario con cui l’autore si sforza di riprodurre in maniera verosimile caratteri e personaggi.

Le atmosfere e le vicende che animano questo epistolario ne fanno una sorta di “versione in prosa” della società descritta nelle commedie di Menandro; e proprio a Menandro Alcifrone dedica alcune lettere in cui immagina una corrispondenza di “amorosi sensi” tra il commediografo e l’amata Glicera.

Nel complesso, nei quattro libri “non si sente soltanto lo sforzo linguistico dell’atticista (che però non riesce ad evitare le cadute) e lo zelo antiquario, ma anche il caldo amore dell’autore per la sua Atene, oggetto di vagheggiamento romantico; e non di rado egli riesce a rendere la grazia incomparabile dell’epoca a cui si richiamava” (A. Lesky).

La lingua e lo stile sono molto sorvegliati e si rifanno alla tendenza atticista.

Nella lettera IV 18, in particolare, il commediografo Menandro scrive alla sua amata, l’etera Glicera, in seguito ad una precedente lettera ricevuta dal re Tolomeo.

Il poeta, indisposto fisicamente, si trova al Pireo, mentre Glicera è ad Atene per assistere ad una festa in onore di Demetra. Menandro comunica alla donna che il sovrano egizio ha invitato lui e l’altro commediografo Filemone in Egitto promettendo “tutti i beni della terra” (par. 5); ma il poeta ha già deciso di rifiutare la proposta, dato che non intende allontanarsi dalla sua amata. Le invia dunque la lettera del re e le fa sapere ciò che intende rispondergli: egli non partirebbe neppure se dovesse recarsi nella vicina Egina, perché per lui sono preferibili gli abbracci di Glicera “alle corti di tutti i satrapi e i re di questo mondo” (par. 9). Menandro intende continuare a vivere ad Atene, svolgendo la sua attività teatrale; del resto, l’Egitto è privo di ogni forma di partecipazione politica e di tutte le gloriose memorie di Atene. Menandro ribadisce l’amore per la sua amante, immenso anche nei momenti difficili, quando lei “si arrabbia” o fa “la risentita” (par. 14). E se il Nilo costituisce “uno spettacolo grande e splendido” (par. 15), non è certo l’unico al mondo; per di più è insidioso e “pieno di mostri” (par. 16). Menandro si augura di essere seppellito nella sua patria; quanto al collega Filemone, faccia pure quello che vuole; ma egli “non ha una Glicera” (par. 17); in conclusione, l’etera viene invitata a “volare” da lui appena si sarà conclusa la festa.

La successiva lettera della raccolta (IV 19) presenterà la risposta di Glicera, che è contenta della fama e dell’ammirazione che Menandro suscita ovunque ed apprezza che egli voglia restare sempre con lei.

Difficile è stabilire quanto vi sia di storicamente reale nella vicenda d’amore del poeta con Glicera; essa, accettata dagli antichi, è stata messa in discussione dalla critica moderna, che ha ipotizzato che la storia della fanciulla sia stata indebitamente attinta da elementi presenti nelle opere menandree: ad es. una commedia del poeta si intitolava Glicera e nella sua commedia La fanciulla tosata la ragazza che dà il titolo ha a sua volta questo nome.

All’amore per la donna si unisce però, nella lettera di Alcifrone, l’evidente amore di Menandro per Atene. Di fronte alla bellezza della sua città, alle sue memorie storiche, alle sue istituzioni, alle sue feste, viene meno per il poeta ogni altra attrattiva, ogni altra lusinga; ed al confronto l’Egitto, nonostante le sue meraviglie (come le piramidi, il faro di Alessandria e i colossi di Memnone), appare al poeta soltanto “un deserto pullulante d’uomini” (par. 8).

Nel complesso, il brano si segnala per l’attenta analisi psicologica del mittente* e per la ricchezza di dettagli antiquari, storici, culturali in senso lato.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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