Camilleri scrive al Liceo “Umberto” di Palermo (2001)

I primi romanzi con protagonista il commissario Montalbano, “La forma dell’acqua” (1994), “Il cane di terracotta” (1996) e “Il ladro di merendine” (1996), erano stati accolti dal grande pubblico con un successo straordinario, consacrato poi dai primi riconoscimenti ufficiali (ad es. nel 1998 il premio Flaiano per “La voce del violino” uscito l’anno prima). Oltre cinque milioni di copie dei libri di Andrea Camilleri furono vendute dal 1997 al 2001 in Italia (senza contare le vendite delle traduzioni francesi, spagnole, tedesche, giapponesi, ecc.).

I dati delle vendite produssero subito due reazioni opposte: per alcuni le vendite rispecchiavano la popolarità dello scrittore e confermavano la validità della sua opera; i detrattori, invece, anche quando il numero delle copie vendute aveva oltrepassato un milione, ribattevano che “comprare non significa leggere”.

In particolare la critica si pose subito il problema del linguaggio sorprendente e spiazzante utilizzato da Camilleri, talora considerandolo un astuto espediente per accalappiare lettori o (come scrisse Francesco Merlo sul “Corriere della Sera”) una nuova ricorrente manifestazione della “sicilitudine” come genere letterario: “quella Sicilia immaginaria delle macchiette e degli stereotipi … Camilleri è il gran ciambellano di un espediente retorico, la sicilitudine appunto”.

Io, però, che da pochi anni ero docente al Liceo Umberto, fui subito attratto dalla scrittura originale e intrigante di Camilleri e decisi, pionieristicamente, di farlo leggere alla mia classe, la V ginnasiale H dell’anno scolastico 2000-2001, proponendo la lettura de “Gli arancini di Montalbano”.

Nella relazione con cui presentai il progetto (in un istituto che, allora, era piuttosto conservatore e poco propenso alle “novità” perturbanti) scrissi così: «Perché leggere Camilleri a scuola? Non è un autore troppo “facile”, troppo “commerciale”? Non ha forse il “difetto” di vendere migliaia e migliaia di copie dei suoi libri? Ed un best-seller come “Gli arancini di Montalbano” può presentare quella che il nostro scrupolo di docenti definisce “valenza didattica”? Questi “angoscianti” interrogativi non mi hanno “angosciato” più di tanto: un autore che vende due milioni di copie in due anni è di fatto un caso letterario (con buona pace dei suoi non pochi detrattori) e diventa anche un fenomeno di costume; quindi studiare Camilleri a scuola è, semplicemente, inevitabile, se è vero che la scuola non può essere solo una sorta di museo ove venerare sacre reliquie del passato ma è, anche e soprattutto, luogo di concreto contatto con la vita reale, con la società civile, col mondo di oggi».

La V H dunque lesse per intero “Gli arancini di Montalbano”; si badi bene, leggevamo il libro INSIEME, in classe: perché credevo che mio dovere di docente fosse sempre quello di “guidare” i ragazzi alla lettura consapevole e attenta dei testi; le genialate didattiche delle attuali “flipped class” (classi “capovolte”, dove i ragazzi studiano da soli e il docente interviene dopo) erano troppo geniali per me, notoriamente e doverosamente accentratore della prassi didattica.

Ebbene, le alunne e gli alunni della V H provarono ben presto la sensazione che provano tutti i lettori di Camilleri: divertimento, interesse, coinvolgimento, mai noia, mai stanchezza. Se però avessi chiesto ai miei ragazzi di fermarsi qui, non so quanti sarebbero andati oltre questo epidermico “godimento”.

Le indagini del commissario Montalbano divennero allora spunto per gli articoli di due immaginari giornali dell’immaginaria Vigata camilleriana. Ovviamente i due quotidiani erano frontalmente contrapposti nell’interpretazione dei fatti: “Il Vigatese” seguiva con ammirazione e stima le inchieste del commissario, difendendolo anche quando il suo comportamento investigativo risultava meno “ortodosso” e convenzionale; “Il Corriere di Vigata”, invece, criticava aspramente i metodi di Montalbano, ne contestava le scelte anticonformistiche e le idee politiche, ne auspicava l’allontanamento dalla “pacifica” Vigata. In entrambi i “giornali”, gli articoli erano affiancati da ampi commenti (ovviamente di segno opposto); anche la scelta “tipografica” era diversa, come diverso era il risalto dato agli eventi e alla loro interpretazione. L’impaginazione (realizzata al computer, con i mezzi un po’ primordiali di allora, all’alba della scuola informatizzata) era curatissima: il lettore era indotto a “visualizzare” subito la notizia importante, ma – per una sorta di “horror vacui” – tutti gli spazi erano sfruttati opportunamente e spesso ironicamente.

Gli alunni, divertendosi a “fare i giornalisti”, compresero meglio l’enorme potere dei media, la loro capacità di presentare e imporre una certa interpretazione della realtà, la loro abilità nell’ “informare” e/o nel “deformare”.

La classe VH del Liceo Umberto I di Palermo – aprile 2001

Al termine della loro fatica, i ragazzi contattarono per mio tramite il Camilleri Fans Club, un’associazione culturale che aveva creato un apposito sito Internet, assiduamente consultato “pirsonalmente di pirsona” dal “Sommo” (così scherzosamente era chiamato Camilleri dai soci). In tale “e-mail” la V H comunicò le modalità del lavoro svolto, culminato nella realizzazione di una “mostra” su Camilleri, che – oltre a presentare i migliori fra gli articoli realizzati – intese fornire a tutti gli alunni dell’“Umberto” un’informazione di base sullo scrittore agrigentino.

Ebbene, il 2 giugno 2001 arrivò una mail di Camilleri che ci riempì di gioia per le espressioni entusiastiche nei confronti del lavoro dei ragazzi. La riporto per intero: «Carissimi picciotti e picciotteddre della V, voi non meritate di stare in H ma di giocare in serie A! Devo sinceramente dirvi che me la sono scialata a leggere i vostri due giornali e vi elenco le principali ragioni (perdonate questa forma da libro mastro): 1) La capacità di sintetizzare un racconto in poche righe senza trascurare dettagli importanti, dandogli il tono di una notizia di cronaca. Certe volte, leggendo alcune recensioni, rimango esterrefatto dai “riassunti” che, per fortuna raramente, travisano quello che avevo scritto. Voi siete puntuali e precisi senza pedanteria, anzi con brio. Questi recensori dovrebbero imparare da voi. 2) L’autonomia che avete saputo guadagnarvi uscendo fuori dai paletti dei miei racconti. Le opinioni di Ragonese (avversario storico di Montalbano) sono perfettamente in linea col mio personaggio e non è detto che, in futuro, io non “rubi” qualche vostra battuta. 3) L’idea molto bella della contrapposizione tra due testate giornalistiche risponde perfettamente a una certa dialettica dell’informazione ai giorni nostri (chiamiamola dialettica per carità di patria). Mi ha divertito molto, tra l’altro, trovare nel “Corriere” il pettegolezzo sul “tradimento”     di Montalbano o il consiglio dato al commissario di frequentare la palestra. Divertentissime poi sono le interviste, a Catarella, alla dottoressa Pavisi, ecc. 4) Molto spasso con le foto, a volte splendidamente deliranti.
Amici miei, Che dirvi? Sono commosso per l’attenzione e ringrazio voi e il professor Pintacuda. La mostra avrei proprio voluto vederla, ma… siccome sono tanticchia vecchio, viaggiare mi stanca molto. Continuate ad avere fantasia, è importante!! Vi abbraccia il vostro Andrea Camilleri
».

Le alunne e gli alunni della V H (a.s. 2000/2001)

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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