Le “case di ringhiera” di Milano

Domenica scorsa, trovandomi in zona Navigli a Milano, ho avuto modo di visitare una delle vecchie “case di ringhiera” grazie alla cortesia del sig. Luigi Dalla Costa, che in una di queste vecchie abitazioni ha il suo atelier.

A Milano la “casa di ringhiera” (o “casa a ballatoio”) era una tipologia di edilizia popolare che prevedeva la presenza, in ogni piano di un edificio, di più appartamenti che condividevano il medesimo ballatoio o balcone. Questo ballatoio, che correva per tutta la lunghezza dell’edificio, fungeva da entrata alle singole unità immobiliari ed era destinato ad un uso condiviso da parte di tutti i condomini. Per entrare in casa, quindi, si attraversava il cortile comune, si saliva dalle scale (esterne o interne) che portavano ai piani superiori, si percorreva la balconata di ringhiera metallica e si arrivava infine al (piccolissimo) appartamento. L’uso del cortile interno era condiviso: in esso erano situati gli unici servizi igienici disponibili.

Queste “case di ringhiera”, che potevano essere a più piani (in genere due-tre, ma ce ne sono di sei), si erano diffuse nell’Ottocento in particolare a Milano e Torino; nel primo Novecento, e poi negli anni del boom economico, costituirono spesso la prima abitazione per gli immigrati che arrivavano al Nord, essendo anche le più abbordabili economicamente.

Di fatto, in questi appartamenti (di 45-50 metri quadrati) convivevano più famiglie in spazi abbastanza ristretti. L’arredo era minimalista: un “angolo cottura” (come si direbbe oggi), un tavolo, poche sedie, una credenza, una brandina, una camera da letto con finestre che davano sulla corte e sulla strada esterna. Non essendoci acqua corrente, in un angolo della stanza c’era un catino che serviva per lavarsi al mattino; dopo l’uso, la moglie (il marito manco a parlarne) svuotava il catino alla fontanella comune, posta all’esterno, all’inizio del ballatoio.

Fra i vari locali che al pianterreno si affacciavano sul cortile, si potevano trovare una o più botteghe, appartenenti a fabbri, ciabattini, materassai, falegnami, stracciaioli, ecc.; ci potevano essere anche magazzini privati, oltre a qualche locale adibito a stalla.

Il cortile era, ovviamente, valvola di sfogo per i più piccoli che lì giocavano felici (beati i bambini!), lontano dai pericoli della strada, controllati dallo sguardo attento delle madri dall’alto dei ballatoi delle case; e sembra quasi di vederle ancora, appoggiate alla ringhiera, dietro i panni stesi, mentre ogni tanto sgridano i figli (magari continuando a far salotto con la vicina di turno).

Durante la visita, non ho potuto fare a meno di pensare alle tante persone che hanno vissuto in queste abitazioni. Ai tanti sacrifici che esse dovevano affrontare, lavorando duramente, si aggiungeva la mancanza di ogni confort a casa: ad esempio mancavano spesso il riscaldamento e l’acqua corrente.

La mancanza di comodità oggi ritenute indispensabili induceva a un maggiore contatto umano, sia fra gli immigrati provenienti dal Sud sia con i vicini milanesi, spesso appartenenti anch’essi alla classe operaia, nel cui animo la cortesia meneghina e il rispetto per chi lavora onestamente erano e sono profondamente radicati. E fra quelle persone nasceva, molto più di oggi, un senso di condivisione, di solidarietà reciproca, di aiuto nel bisogno.

Inevitabilmente, però, non dovevano mancare i comprensibili disagi della situazione: una sorta di continua sorveglianza reciproca, qualche inevitabile pettegolezzo, qualche rumore di troppo che poteva essere udito e commentato da tutti. Era praticamente impossibile, per chi entrava od usciva dal proprio alloggio, passare inosservato; e nemmeno i piccoli guai quotidiani di ogni famiglia potevano avere la minima privacy.

Un lato positivo doveva essere la scarsa possibilità di furti, sia perché c’era ben poco da rubare sia perché l’eventuale malintenzionato difficilmente sarebbe passato inosservato.

Un mondo lontano ed estinto: basti dire che negli anni più recenti molte “case di ringhiera” sono state restaurate, diventando gioiellini dell’architettura moderna in zone abitative “di tendenza”. Dunque, alcune di esse si sono trasformate in case per giovani dandy contemporanei, per artisti, per studenti non troppo squattrinati. Molte di queste abitazioni si trovano in zona Brera, San Gottardo, nell’area Navigli e all’Arco della Pace. In particolare, le “case di ringhiera” collocate nelle zone centrali hanno subìto un “restyling” degli interni, diventati più ampi grazie alla fusione di più appartamenti e dotati ormai di tutte le comodità, con un design attuale e con vere cascate di fiori e verde da ogni ringhiera.

P.S.: Questa antica tipologia di abitazione è l’ambientazione scelta dallo scrittore fiorentino Francesco Recami per la serie di romanzi gialli “La casa di ringhiera”, pubblicati da Sellerio.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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