Altri quattro vocaboli siculo-italiani

Continuiamo la rassegna di vocaboli del dialetto siciliano che vengono compresi e utilizzati anche nell’italiano regionale dell’isola e quindi nella conversazione quotidiana.

Eccone altri quattro.

1) “Allazzato” – I vocabolari di Traina e Mortillaro per “allazzari” danno il significato di “legare e stringere con laccio”, detto soprattutto di bestie; io però ho sempre sentito usare il termine “allazzato” per indicare chi, soprattutto alla guida di un veicolo, procede pericolosamente a velocità elevata.

In effetti il nesso fra “legare” e “correre” c’è: se si consulta l’utilissimo “CamillerIndex” (www.camillerindex.it), si vede che Andrea Camilleri usa l’espressione “allazzata” in alcuni romanzi (es. “Un filo di fumo”, “Il birraio di Preston”, “Il cane di terracotta” e “La voce del violino”), con riferimento a “una palla legata con un laccio di ferro che, sparata, torna indietro violentemente”: “tornò indietro come una palla allazzata”.

Mi è capitato spesso di vedere, in uno degli innumerevoli incroci di Palermo (nei quali non vige mai il diritto di precedenza, ma solamente la legge del più forte), due automobilisti che si sono appena scontrati semidistruggendo le macchine, intenti a caricarsi di insulti reciproci. In genere uno dei due, con il sangue agli occhi, urla all’altro: “Lei ha venuto tutto allazzato!” (Una variante, non meno curiosa grammaticalmente, è “Lei ha venuto tutto sparato!”).

Risultato immancabile dell’“allazzamento” è comunque è che ai carrozzieri del capoluogo siciliano non manca mai il lavoro…

2) “Appattato” – In dialetto siciliano “appattari” significa anzitutto “metter a fronte due oggetti o colori ecc. per cercare la differenza e somiglianza, confrontare” (Traina); comunemente, riguardo all’abbigliamento, una persona è ben “appattata” se i suoi abiti si intonano bene l’uno all’altro senza contrasti stridenti. “Miiiiiiiiiii, che sei appattata!” si dice in genere a una signora elegante in cui ogni capo di abbigliamento si intona perfettamente e armoniosamente con gli altri.

In effetti il significato originario di “appattari” è “pareggiare”, cioè “né vincere né perdere nel gioco” (Traina): anche in italiano si dice “fare pari e patta” per indicare una conclusione in parità; a proposito, il termine italiano “patta” deriva forse dal lat. “pax” o “pactum” nel senso originario di “accordo”.

Ma il vocabolo “appattato”, nella conversazione quotidiana, si riferisce anche a chi si è accordato con un altro/a, magari all’insaputa di una terza persona: “unirsi in concordia in una medesima volontà per proprio vantaggio, e spesso anche a danno di un terzo” (Mortillaro). La vittima dell’“appattamento”, subodorando la tacita intesa fra gli altri due, potrà insinuare: “E che siete, appattati?”. E decisamente l’“appattarsi”, il “mettersi d’accordo ai danni di un altro”, è consuetudine, purtroppo, sempre più radicata (anche in politica…).

3) “Carriare” – Quando qualcuno cambia casa, gli si chiede immancabilmente: “Ma che fa, stai carriando?”. In effetti il verbo siciliano “carriari” significa “traghettare robe col carro” (così Traina, che dei traghetti doveva avere una strana concezione…).

Con l’immancabile suffisso siciliano eufemistico in “-ina” (quello di “ammazzatina” e “fuitina”), da “carriari” si forma il sostantivo “carriatina”, che indica il “trasportare per cangiamento di domicilio” (Traina); da qui l’espressione: “questa carriatina mi sta costando un’enorme fatica” (a parte le spese…).

4) “Inchiappato – Inchiappo” – Il termine siciliano “’nchiappatu” significa “imbrattato, sporcato” (Mortillaro); la colorita espressione “parrari ‘nchiappatu” vuol dire “cincischiare le parole, parlare smozzicato” (id.).

Nella conversazione comune, “inchiappata” è una cosa sporca: ci si “inchiappa” sorseggiando sbadatamente un caffè, gustando un piattone di pasta col sugo senza tovagliolo protettivo, “maniando” (= maneggiando) cose “insivate” (cioè luride). Da qui la raccomandazione (spesso vana) di mogli e madri, preoccupate di dover poi lavare gli abiti sporchi: “Non ti inchiappare!”.

Dal termine dialettale “nchiappa”, che indica “cosa imperfetta, mal fatta, o guazzabuglio di cose impasticciate” (Traina), deriva anche il termine italo-siculo “inchiappo”, che indica un “pasticcio”, un guaio combinato da qualcuno. “Hai fatto un inchiappo” è espressione frequentissima per redarguire qualcuno che, volontariamente o no, ha fatto una “gaffe”, ha procurato un equivoco o un danno.

Basta così, per oggi: non vorrei fare “inchiappi” per essere troppo “allazzato” a scrivere. Comunque, siamo “appattati” e sicuramente non avrete nulla da ridire; alla peggio, potrei sempre “carriare” su un altro social.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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