Una piccola pasticceria vicino casa mia, in via Sammartino a Palermo, continua a preparare le “bombette” di gelato, versione ridotta dell’antica “bomba”. Secondo una leggenda, il termine derivava dal fatto che i vecchi maestri gelatieri napoletani, non potendosi permettere l’acquisto di forme metalliche nuove, raccoglievano le ogive delle bombe, che erano poi riempite di gelato, scavate al centro e farcite con la meringa (in seguito sostituita dalla panna).
A Palermo la “bomba” era suddivisibile in otto parti, che diventavano altrettanti “pezzi duri”; i principali gusti erano cioccolato, nocciola, caffè, fragola, torrone, “scorzonera” (gelsomino e cannella), “giardinetto” (inventato in onore di Garibaldi, in cui il tricolore era evocato dal verde del pistacchio, dal bianco del limone e dal rosso della fragola o della pesca), “cassata” (un tempo la ricotta d’estate non esisteva, per cui l’unica “cassata” disponibile nei mesi caldi era appunto la “bomba alla cassata siciliana”).
La parte centrale della “bomba” (che chiamavano “tesoretto”) era ricca di panna, scaglie di cioccolato, canditi colorati e mandorle. La “bombetta”, figlioletta minore legittima della “bomba”, era servita in genere nei trattenimenti e nelle feste.
I “pezzi duri” a Palermo dominavano il campo prima dell’avvento del cono gelato e del gelato “da passeggio”; erano “duri” a tutti gli effetti, tanto da resistere senza liquefarsi per quasi un’ora. Richiedevano l’uso di una “paletta”, un cucchiaino adatto a questo tipo di gelato che, invece di piegarsi, raschiava la superficie esterna e più tenera del pezzo.
Oggi sono poche le gelaterie palermitane a continuare la tradizione dei “pezzi duri” e delle “bombette”: una al Foro Italico, una in via Messina Marine, qualche altra qua e là; ma molti giovani ignorano queste delizie di altri tempi. E dire che queste “bombe” e “bombette” sono molto meglio delle bombe di altro tipo, belliche, criminali o meteorologiche che siano…
Visto che siamo entrati in questo dolce discorso, rivolgiamo un pensiero anche a tutti quei gelati di un tempo di cui restano ricordi più o meno lontani.
Anzitutto ricordiamo la “charlotte” del dopoguerra, un gelato artigianale che era inserito tra due croccanti cialde e venduto a sole dieci lire dagli ambulanti, nei loro caratteristici carrettini.
I carrettini avevano tre “pozzetti” con il tappo in acciaio (ognuno con un gusto di gelato), da cui il venditore prendeva il gelato prescelto e lo metteva nella cialda che teneva in mano, per poi chiudere il tutto ermeticamente aggiungendo l’altra cialda di sopra. Questo gelato si ispirava alla “charlotte” francese ripiena di crema bavarese, che aveva i lati costituiti da “pareti” di savoiardi (a Palermo il nome era sicilianizzato in “sciallotta”).
I pozzetti, da cui si prendevano i gelati con la paletta per riempire i coni o le brioche, potevano essere anche uno sopra l’altro, in profondità, per cui, chiedendo di un gusto, capitava che il gelataio tirasse fuori vari contenitori, fino ad arrivare al “centro della terra” per prendere il gusto preferito.
C’erano poi gli “spongati” (anche con panna), semplici gelati cremosi e spumosi, serviti rigorosamente in coppe di metallo che ne preservavano la freddezza; specialista ne era il bar del Viale in via Libertà; le “coppette” di cartone arrivarono in seguito.
Gli “ascaretti” erano così chiamati a ricordo degli “àscari” eritrei del periodo coloniale; erano gelati da passeggio con lo stecco di legno, al gusto di crema di latte ricoperta al cioccolato; li vendevano anche nei cinema, durante l’intervallo.
Gli “zatterini” invece avevano il gelato all’interno di un biscotto.
I coni gelato nei chioschi e nelle gelaterie andavano dalle 10 alle 30 lire (ai “picciriddi” si comprava il cono da 10 lire; si pensi che oggi 100 lire sarebbero 5 centesimi…). Siccome nelle case degli anni Cinquanta/Sessanta i primi frigoriferi erano senza freezer, a Bagheria era tipico che il pomeriggio si mandasse “un picciriddu” (leggi: il sottoscritto) “nni Carmelu” o “nni don Gino” con la seguente missione: “va’ accàtta i gelati”. E il ragazzino andava a comprare 8-10 coni, di gusti diversi per accontentare tutti, che venivano messi in un involto e recapitati nella terrazzina ove, sulle sedie di paglia, la famiglia e gli amici erano riuniti “per manciàrisi u gelato”. Alla fine, una passata di acqua con l’anice per tutti.
Negli anni Cinquanta/Sessanta la leggendaria “brioche” con gelato, tipicamente siciliana, era “di lusso”: da Lucchese a piazza San Domenico costava 30 lire (35 con panna) e ci volevano molti pianti e strilli dei bambini per ottenerne una dai genitori.
I gelati “industriali” si diffusero verso la fine degli anni Sessanta; e molti sono rimasti memorabili. La concorrenza fra ditte come Motta, Algida, Alemagna, Toseroni (poi divenuta Eldorado), Sanson era fortissima: ognuna di esse aveva il suo pezzo forte.
È impossibile citare tutti questi gelati: mi limito a quelli che mi vengono in mente; e comunque tutti questi gelati “confezionati” erano molto più cari di quelli “artigianali”: un gelato “industriale” costava circa 50 lire.
La Motta aveva il Mottarello (un cremino nato nel 1948) e la Coppa del Nonno.
L’Alemagna aveva il Fortunello (il gelato-sandwich) e la Coppa Smeralda con cinque diversi sapori.
L’Algida, oltre al famoso “Cornetto” (pubblicizzato da Rita Pavone), lanciò poi il “Bikini” (che prese il nome dal costume femminile), il “Lemarancio” (un ghiacciolo alla granita di arance ripieno di gelato al limone), il “Fiordifragola” (evoluzione del ghiacciolo, al gusto di vaniglia ricoperto da uno strato di ghiacciolo alla fragola) e il “Paiper” (in un cilindro di plastica in cui il gelato si spingeva con il bastoncino, con panna, cioccolato e amarena e con Patty Pravo come testimonial, precursore del “Calippo”).
La Sammontana di Empoli creò il “barattolino” e il gelato in vaschetta (la Coppa Oro), mentre lo Stecco Ducale gareggiava con il Mottarello.
La Toseroni (poi inglobata dall’Eldorado, a sua volta fagocitato dall’Algida) creò il Cucciolone, con barzellette e storielle sul biscotto, con il gelato all’interno.
C’era pure l’estinta ditta Chiavacci che presentava ottimi gelati come il biscotto Novellino, lo Scozzese e lo Scozzesino (coppette bigusto che costavano ben 50 o 100 lire) e un curioso e innovativo stick giallo ricurvo alla banana.
La Eldorado aveva il “Camillino” (con il gelato fra due biscotti al cacao).
Ricordi “dolcissimi”, come si vede. E non sarà un caso se i dietologi, fra i gelati, salvano solo quelli alla fragola, alla frutta e al limone; ma, si sa, predisporre una dieta è la cosa più facile al mondo: si può mangiare tutto, tranne tutto quello che ci piace.
Quanta nostalgia! Sono tornata indietro di tanti anni ricordando un’infanzia veramente felice vissuta in un mondo,forse solo in apparenza, più sano e ricco di tanta umana condivisione! Che dire dei gelati? Al ricevimento della mia prima comunione, mio padre tra le altre cibarie aveva ordinato i pozzetti gelato con le famose bombette! Che goduria e quanti anni sulle mie spalle da quel lontano 1959!!! Grazie per i suoi magnifici lavori che tengono viva la nostra memoria.
Grazie a lei per la sua attenzione. Un caro saluto.