Il mio Westminster e le cose che restano

IL MIO WESTMINSTER E LE COSE CHE RESTANO

A metà degli anni Sessanta, a Genova, i miei genitori acquistarono l’orologio “Westminster” che si vede nella foto. Fu trionfalmente collocato nel soggiorno e da allora, ogni quarto d’ora, iniziò ad espletare le funzioni di nostro Big Ben familiare.

Segnava il tempo con assoluta precisione: la suoneria emetteva quattro note al quarto d’ora, otto alla mezz’ora, dodici ai tre quarti, fino alle sedici note dell’ora precisa, accompagnate poi da un numero di rintocchi pari al numero delle ore.

Era una compagnia assidua, da noi metabolizzata, tanto da diventare parte della routine quotidiana.

Facevo i compiti e sentivo scandire i quarti d’ora, facevo merenda e attendevo il suono delle cinque pomeridiane, andavo a dormire e sentivo gli ultimi accordi prima di sprofondare fra le braccia di Morfeo.

Oggi mi sembra incredibile che nessuno di noi gli tirasse una scarpa, indispettito da questa regolarità rumorosa, da questo conteggio micidiale del tempo. Forse perché allora, di tempo, ne avevamo tanto.

Dopo il mio trasferimento in Sicilia, il Westminster restò nella casa dei miei genitori a Bagheria. E là continuò a suonare i quarti d’ora, anche se a volte perdeva qualche colpo, altre volte la suoneria cominciava a incepparsi, altre volte ancora taceva del tutto (timorosa forse di cominciare a dar fastidio). Io allora me lo portavo “in Paliemmu” e lo facevo aggiustare; e nel giro di una decina di giorni Big Ben tornava nella nostra House of Parliament, guardando non le grigie acque del Tamigi ma gli ultimi raggi del tramonto bagherese.

Dopo la morte di mia madre, quasi quattro anni fa, avevo portato il Westminster a casa mia, a Palermo. Ma per un paio d’anni era rimasto imballato, chiuso in un sacchetto, zittito, fermato, imbalsamato e in attesa di giudizio. Un giorno, durante il lockdown dell’anno scorso, l’ho visto in paziente e silenziosa attesa. Mi ha fatto pena e ho deciso allora di riesumarlo. Detto fatto: è stato tirato fuori dall’imballaggio, collocato nel salone, riassunto in servizio (per gli orologi è possibile).

Ma ahimè il meccanismo di carica si era guastato, la suoneria non funzionava più. Finita la quarantena, ho portato il Westminster dall’orologiaio di via Villareale. E da allora, perfettamente funzionante, il Westminster è tornato a scandire i quarti d’ora, con una precisione svizzera assolutamente anomala da queste parti.

Sono però venuto a patti con la realtà e la sera zittisco la suoneria. Le notti dei sessantenni non sono più quella lunga tirata continua, quel sonno ristoratore della beata giovinezza; ci si sveglia spesso, si pensa, si medita, ci si rigira nel letto. Quelle note ogni quindici minuti sarebbero state una musica troppo malinconica, una constatazione lancinante del cammino inesorabile del tempo. Meglio il silenzio, la notte. Meglio semmai affidare alla mattinata il suono rassicurante della vita che riprende.

E tuttavia un pensiero malinconico è per me inevitabile, quando penso alle persone care che hanno udito per anni questo orologio e che ora non sono più su questa terra.

Le cose restano, noi passiamo. Fa un po’ rabbia che sia così.

Giorni fa vedendo i ficus di Villa Trabia invidiavo la loro esistenza secolare, pensavo alle damine e ai cavalieri che li avevano osservati nello sfarzoso Settecento, ai gentiluomini col cilindro che nell’Ottocento passeggiavano sotto la loro ombra. E loro eterni, sempre là.

Le cose restano, noi passiamo. Allora, visto che “la zita è questa” (come diciamo in Sicilia), ben venga il Westminster con i suoi quarti d’ora inesorabili, con la promessa del quarto d’ora successivo, con i suoi silenzi discreti nelle lunghe notti. Il tempo continua a scorrere. È già tanto.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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