Continuo qui a riproporre alcuni dei post sulla pandemia, da me pubblicati su Facebook l’anno scorso.
Il 9 dicembre 2020, nell’ospedale di Partinico, si spegneva il mio carissimo amico Andrea Volpe, che si era ammalato di covid il mese precedente. La commemorazione che gli ho dedicato in questo post fu scritta con un profondo dolore nel cuore; e a distanza di molti mesi non vengono meno il rimpianto e l’amarezza per la sua scomparsa.
39) 09.12.20
RICORDO DI ANDREA VOLPE
La terza persona che ho abbracciato all’inizio di questo ineffabile anno 2020, subito dopo mia moglie e mio figlio, è stato Andrea Volpe. Lui e sua moglie Eleonora, come era già avvenuto altre volte in passato, ci avevano invitato a casa loro a trascorrere insieme la sera di San Silvestro, per brindare insieme al nuovo anno.
C’erano tantissimi parenti e amici; la casa era gremita di gente festosa e serena, il buffet era incredibilmente ricco di buonissime cose da mangiare (Andrea era, come il commissario Montalbano, “liccu cannarutu”, buona ed inesauribile forchetta).
All’inizio della serata ci fu una piacevole sorpresa. Il piccolo e omonimo nipotino Andrea ha chiamato suo nonno e gli ha bisbigliato qualcosa all’orecchio; allora Andrea senior (noi lo chiamavamo “Andrea-nonno”), serioso e imponente, ha invitato tutti al silenzio e ha detto forte: “Sipario!”.
E sotto gli occhi incuriositi degli invitati è iniziata una splendida scena di teatro, ricavata dalla recita natalizia di Andreuccio: Andrea-Nonno, seduto su una sedia bianca pieghevole, interpretava la parte di una Madonna un po’ incontentabile; Andrea-Nipotino elencava tutti gli accessori che occorrevano per la nascita di Gesù; e zio Carlo mimava il bue, l’asinello, lo zampognaro e persino la stella cometa. Andrea-Nonno era bravissimo a rendere, con una mimica facciale fantastica, le varie emozioni di Maria; e soprattutto, obiettivo prioritario pienamente raggiunto, Andrea-Nipotino era felice.
Perché Andrea era un nonno esemplare, un nonno presente, affettuoso, scherzoso, disposto a cancellare per qualche minuto tutte le altre persone per dare a uno dei suoi nipotini la gioia di un momento indimenticabile. Era così, Andrea, esemplare in tutto: anche come marito, come padre, come fratello, come amico, come uomo giusto sempre al servizio degli altri, pronto a donare se stesso sempre, senza calcoli, senza secondi fini, senza remore, senza limiti.
Ho ritrovato ieri sera uno scambio di messaggi che ci siamo fatti nel luglio scorso su Messenger. Gli avevo posto un problema esegetico su un passo del Vangelo di cui stavo discutendo con Padre Giovanni (il dott. Festa ex Direttore SGA del Liceo Umberto), a proposito di Gesù e san Giovanni paragonati ad astri, uno che “sorge” e l’altro che “diminuisce”.
La questione riguardava la lingua greca (con un problema di traduzione), ma soprattutto l’ambito teologico. E lì la persona competente era Andrea, studioso insigne di argomenti teologici, che con precisione scientifica strabiliante, mi ha subito subissato di testi sull’argomento; scriveva così: «Come promesso, ti trasmetto alcune pagine di testi di esegesi biblica e di storia del cristianesimo, cominciando da Danielou-Marrou, “Nuova storia della Chiesa. Dalle origini a S. Gregorio Magno”, Vol. I, Marietti, Genova 1997 edizione 6, p. 366»; poi mi citava un libro di Martimort, un passo di Agostino, uno studio di Raymond Brown sul Vangelo di Giovanni; e chiudeva citando un suo studio (A. Volpe, “Profezia ed Istituzioni, Ricerca delle costanti etico-giuridiche”, De Prophetia 5, Amazon, Palermo 2017, p. 216).
Tutto questo su Messenger! Schiacciato da questa valanga di citazioni, sono rimasto allibito, riuscendo a replicare soltanto con un evasivo “Leggerò tutto appena avrò un po’ di tempo”; battevo quindi in prudente ritirata, constatando la mia abissale ignoranza in campo teologico e riservandomi di documentarmi meglio per poterlo seguire nei suoi profondi voli teologici.
Tra parentesi, ho a casa diversi libri di Andrea: in particolare due del 2017, uno su “Secolarizzazione e modelli ecclesiologici” e un altro intitolato “Profezia extrabiblica – L’Israele antico in dialogo con i popoli vicini”. Li ho letti – lo ammetto – a sprazzi, perché la lettura era ardua e stimolante, producendo continuamente la necessità di cercare altri riscontri, di confrontare passi e citazioni, di approfondire temi per me inediti; occorreva tempo per leggere bene tutto, non erano libri “usa e getta”. In particolare, mi colpiva la modernità del suo approccio ai problemi, l’attualizzazione concreta del discorso; Andrea, ad esempio, scrive: “La connessione tra Bibbia e contesto sociale appare strutturalmente ineludibile e, semmai, oggi potrebbe meravigliare una modalità di riflessione avulsa dai mezzi che l’evoluzione culturale e scientifica dell’era attuale mette a disposizione degli studiosi”.
Dunque, Andrea studiava i testi sacri con tutte le risorse della scienza odierna, in modo ampio e dettagliato, ma guidato sempre, ad ogni rigo, ad ogni capitolo, in ogni affermazione, da una Fede profonda, indiscussa, indefettibile.
Questa Fede lo aveva guidato in tutta la sua vita, fin dai tempi degli studi classici al Liceo Umberto e poi nel suo lavoro di ingegnere, nella sua milizia politica al servizio della città di Palermo (prima ancora che di un partito o di una corrente), nella sua costante ricerca di Verità e Giustizia (che per lui non erano parole ma concreti obiettivi), nella sua esistenza di Figlio, Fratello, Marito, Padre, Nonno e Amico, tutti ruoli da lui interpretati con la lettera maiuscola, l’unica che si possa ritenere adeguata alla sua personalità.
Forse solo lui, oggi, con la Fede di sempre, saprebbe spiegare a noi tutti che siamo rimasti qui senza di lui, smarriti, tristi, annichiliti, devastati, il senso e la logica di questa Chiamata che gli è arrivata inaspettata e prematura. Ingiusta, aggiungeremmo noi; ma lui invece, come ha sempre fatto, saprebbe sorridere anche di questa “ingiustizia” e darci una scrollata o un affettuoso rimprovero (sempre col suo sorriso eterno sulle labbra), aiutandoci ad accettare l’inaccettabile come un passo necessario e normale nella vita di un Cristiano.
Lui che ascoltava sempre gli altri, che proclamava le sue convinzioni con garbo e rispetto delle opinioni diverse, che sapeva sorridere sempre e sdrammatizzare tutto, lui solo forse oggi saprebbe darci la forza di andare avanti.
E forse sarebbe lui a citarci il passo giusto in cui trovare consolazione nel nostro inconsolabile dolore: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione” (dalla II lettera a Timoteo).
Rivolgo un abbraccio ad Eleonora e a tutta la famiglia di Andrea, un abbraccio che i tempi crudeli ci impediscono di concretizzare per ora materialmente ma che proprio per questo è ancora più forte e affettuoso. Non dobbiamo però dire “addio” ad Andrea, che vive prepotentemente in migliaia di nostri ricordi e vivrà sempre nel nostro immenso affetto; gli si può solo dire “grazie” di esserci stato e “grazie” di rimanere per sempre con noi, che non potremo dimenticarlo mai.
Un paio di giorni dopo si celebrarono i funerali di Andrea Volpe. La mesta ricorrenza fu ulteriormente rattristata dal clima di emergenza che la terribile pandemia aveva provocato. Eccone il resoconto.
40) 11.12.20
I FUNERALI AL TEMPO DEL COVID
Un gruppo di persone distanziate fra loro, sotto la pioggia, nel piccolo spazio antistante la chiesa.
Arriva la macchina grigia col feretro, fa manovre ed entra nel recinto interno.
La bara viene portata immediatamente nella chiesa, cui accedono i parenti più stretti per la funzione.
C’è solo il tempo di salutarsi a distanza, con un “ciao ciao” surreale e quasi irriverente.
Si rimane impietriti e addolorati, amareggiati di non poter neanche stringere in un abbraccio gli amici più cari in un momento così triste.
Non ho avuto la forza di attendere la fine della funzione. Un altro “ciao ciao” così mi avrebbe amareggiato ancora di più.
Meglio ricordare il nostro Andrea come lo abbiamo sempre visto in tutti questi anni, col suo sorriso pieno di vita.
Riposa in pace, amico mio.
Si avvicinava il Natale del 2020. Triste Natale, nel bel mezzo della devastante “seconda ondata” della pandemia e ancora in attesa dell’inizio della campagna vaccinale.
Il governo Conte annaspava, fra ipotesi e smentite, fra contraddittori monitoraggi dei dati epidemiologici e DPCM che si sovrapponevano confondendo le idee degli Italiani.
In quel contesto, furono emanate norme fortemente restrittive in vista delle festività natalizie, che provocarono le facili proteste dell’opposizione (Matteo Salvini su Facebook invitava addirittura alla disubbidienza civile: «Io preannuncio che se il governo deciderà “tutti chiusi in casa” impedendo alle famiglie di riunirsi, io lo faccio, io esco. Non potete congelare il cuore degli italiani. […] Coordiniamoci. Mettiamoci d’accordo in tutte le città»).
Il momento era estremamente difficile, lo scoraggiamento e la stanchezza si facevano strada; e nessuno ripeteva più “andrà tutto bene”, perché – come scrissi allora – “non è andato tutto bene, non va tutto bene e prima che le cose vadano davvero bene ce ne vorrà”.
41) 19.12.20
NATALE IN ROSSO
Il 14 novembre il quotidiano digitale “Affaritaliani.it” titolava così: “Coronavirus, corsa per salvare il Natale: cenone tra intimi, no coprifuoco”. Si presentava poi la seguente situazione riguardo le feste natalizie: 1) il dossier dei cenoni e dei veglioni era sul tavolo di Giuseppe Conte, perché si temeva per Natale quell’effetto Ferragosto che in estate era risultato deleterio per i contagi; 2) Conte aveva sottolineato il valore della spiritualità del Natale, che non si perde anche se non si festeggia come gli altri anni; 3) l’idea ricorrente, come scriveva il “Corriere della Sera”, era: “qualche allentamento ci sarà”.
Nell’ultimo mese sono poi fioccate ipotesi e smentite: si sono ipotizzate riduzioni del coprifuoco (“la misura che Conte soffre più di tutte”, diceva il “Corriere”), si monitoravano i dati dell’epidemia interpretandoli in modo contraddittorio (il 14/11 il virologo Fabrizio Pregliasco dichiarava avventatamente: “La seconda ondata è alla fine della crescita esponenziale, cioè all’appiattimento della curva. Le misure stanno funzionando. La curva piatta ci porterà a un Natale tranquillo”).
Questo ultimo mese è stato tutto così: proiezioni, anticipazioni presto smentite, aperture subito richiuse, dichiarazioni fatte e poi ritrattate, una polifonia di voci diverse (comuni, regioni, governo centrale), tutte in stridente contrasto.
Il DPCM del 3 dicembre ha richiesto un’ulteriore integrazione, alla faccia di milioni di persone che dovevano programmare le loro attività lavorative e la loro vita privata; in tal senso, la decisione della Merkel in data 13 dicembre di un lockdown generale in Germania ha ringalluzzito il nostro consueto spirito di emulazione.
In tutto questo, è emersa la fragilità di un esecutivo che si è trovato al potere per una combinazione di comuni interessi più che per una reale concordanza di intenti; si sono udite ogni giorno le voci di rimpasto/verifica del governo, si è vista la pistola (scarica) puntata da Renzi, c’è stato lo spettacolare volo di Conte e Di Maio a Bengasi per ottenere da Haftar la liberazione dei nostri 18 pescatori tenuti in ostaggio (fornendo in cambio al generale libico il riconoscimento ufficiale e le concessioni cui aspirava).
Ieri ci si è messa anche Maria Elisabetta Alberti Casellati, seconda autorità dello Stato, che, incontrando la stampa parlamentare per il tradizionale scambio di auguri, ha espressamente criticato la lentezza dell’esecutivo: “Le famiglie non sanno ad oggi se, come, quando e con chi potranno vivere il Natale. È incomprensibile che gli italiani non sappiano ancora come comportarsi; […] è inimmaginabile che ci si trovi all’ultimo momento di fronte al fatto di non poter portare un augurio a un genitore anziano solo e magari anche malato”.
E finalmente ieri sera, con un certo ritardo sull’abituale conclusione del quiz “I soliti ignoti” di Rai Uno, il premier Conte ha finalmente elencato le norme varate (dopo un parto travagliatissimo) dall’esecutivo (con un decreto legge e non con l’ennesimo DPCM).
Sono, come è noto, norme fortemente restrittive, che prevedono un’Italia tutta “rossa” nei giorni festivi e prefestivi fino alla Befana, con i negozi, i bar e i ristoranti chiusi e il divieto di uscire da casa propria se non per motivi di lavoro, necessità e salute. Ci sarà invece la zona “arancione” negli altri giorni feriali, dunque il 28, 29, 30 dicembre e 4 gennaio. In tutto, dunque, 10 giorni di lockdown totale e 4 di chiusure parziali.
All’inizio del suo intervento Conte ha pure lodato i risultati della divisione dell’Italia in tre fasce colorate, che ha evitato un peggiore lockdown; peccato però che i dati ufficiali dicano che solo nelle zone rosse il virus è arretrato realmente, mentre nelle arancioni è diminuito di poco e nelle gialle è rimasto pressoché stazionario. E tutto ciò, con una quantità esponenziale di morti, a cui ancora una volta non è stato destinato un solo pensiero, un solo attimo di cordoglio: 674 ieri, 683 il 17, 680 il 16, 846 il 15, 484 il 14 (3367 in cinque giorni).
In compenso, Conte ha anche previsto qualche generosa deroga: ad esempio durante i giorni festivi e prefestivi sarà consentito una sola volta al giorno (si suppone che il governo abbia la possibilità di controllare che non siano due…) lo spostamento verso le abitazioni private fra le ore 5 e le 22 nella stessa regione, ma con un limite: ci si potrà spostare solo in due persone, «ulteriori rispetto a quelle già conviventi»; con queste due persone potranno spostarsi anche gli under 14 anni sui quali si esercita la potestà genitoriale (i figli al di sopra di questa età, invece, se ne possono restare a casa da soli, in NAD, “Natale a distanza”).
Il premier inoltre ha dato le consuete rassicurazioni economiche: “Abbiamo inserito in questo decreto legge dei ristori immediati per ristoranti e bar che saranno costretti a chiudere dal 24 dicembre al 6 gennaio. A gennaio poi interverremo a sostegno degli altri operatori, per evitare ingiuste differenziazioni di trattamenti”. E sono sempre più convinto che sia stato veramente un genio del lessico chi ha rispolverato il termine obsoleto e generico “ristoro” per evitare di parlare di concreti “risarcimenti” (di questo avevo parlato in un mio post il 7/11)…
Intanto, mentre Conte parlava e ancora prima mentre il governo discuteva, Trenitalia ha registrato un boom di partenze dalle stazioni di Milano e Napoli, gli aeroporti erano gremiti di gente in partenza per le regioni d’origine, moltissime persone si spostavano liberamente in macchina. Infatti questo week-end (19-20 dicembre) è “giallo” per quasi tutto il Paese. Del resto, era ed è possibile farlo, poiché il precedente DPCM del 3 dicembre a questo prevedibile esodo di massa non aveva esplicitamente pensato e nulla aveva fatto per scoraggiarlo.
Che fa, intanto, l’opposizione? Rumoreggia in parlamento per i decreti-sicurezza, rimacina i suoi eterni facili slogan, chiede elezioni anticipate (da oltre un anno), alterna aperture e arroccamenti (come ha fatto Berlusconi), la butta sul patetico (in tutti i sensi della parola) come ha fatto ieri in diretta Facebook Matteo Salvini: «Io preannuncio che se il governo deciderà “tutti chiusi in casa” impedendo alle famiglie di riunirsi, io lo faccio, io esco. Non potete congelare il cuore degli italiani. In maniera prudente con la mascherina, organizziamo il cuore degli italiani. Coordiniamoci. Mettiamoci d’accordo in tutte le città».
Il guaio è che in questo momento difficile per tutti noi, di dolore, di stanchezza, di rabbia, persino le nostre convinzioni e le nostre motivazioni ideologiche tentennano. Centro, destra, sinistra sono parole senza più un valore ideologico affidabile, incarnati come sono in una classe politica che appare sempre più contraddittoria, inaffidabile, impreparata, inadeguata, impaludata.
Certo, ci sforziamo di trovare elementi positivi, di essere fiduciosi in un 2021 migliore (a essere peggiore ce ne vorrebbe…). Ma anche il Vax-day europeo del 27 dicembre sembra finora più un’operazione di facciata che un reale preludio a un’efficace campagna di vaccinazione di massa, su cui invece ancora regnano molte difficoltà (primo fra tutti il reperimento del personale sanitario da utilizzare, le quantità di siringhe disponibili, il numero adeguato di dosi da distribuire, i padiglioni-primule rosa da allestire, la gran massa dei pervicaci no-vax da convincere).
Nel frattempo, nessuno ripete più che “andrà tutto bene”, perché non è andato tutto bene, non va tutto bene e prima che le cose vadano davvero bene ce ne vorrà.
Prepariamoci dunque a questo “Natale in rosso” (e per moltissima gente sarà “in rosso” letteralmente, soprattutto a livello economico); del resto il rosso è il colore delle feste natalizie, dell’underwear di fine anno, della risposta al malocchio.
Ma per favore, per quest’anno, basta con i decreti.
Grazie Mario per il bel ricordo del nostro Andrea.
Grazie per l’acuta rielaborazione di questo anno per me, per noi, per tutti così devastante.
Grazie a te. Un abbraccio.