Il titolo del “Giornale in Sicilia” online sintetizza bene queste ultime ore: “Jacobs da leggenda, oro nei 100 metri: è italiano l’uomo più veloce del mondo. Trionfa anche Tamberi, giornata storica”.
I nostri atleti, nel giro di pochi minuti, hanno vinto due straordinarie medaglie d’oro alle Olimpiadi di Tokio: Marcell Jacobs ha trionfato nei 100 metri, migliorando il primato europeo con 9″80; poco prima Gianmarco Tamberi aveva vinto la gara del salto in alto con m. 2,37 (ex aequo con il suo avversario Barshim, del Qatar).
In questa “notte da leggenda” (a Tokio erano quasi le 22), come titola il “Corriere della Sera”, colpisce il fatto che i due successi siano venuti in specialità “importanti” quali i 100 metri (la gara “regina” dell’atletica leggera) e il salto in alto.
Come giustamente scriveva poco fa in un suo post la mia cara collega Anna Spinosa, ben si adattano a questi due successi i primi due avverbi del motto olimpico: “citius, altius” (“più veloce, più in alto”); quanto al “fortius”, lo riferirei “honoris causa” ad entrambi i nostri atleti, davvero “fortissimi” ed esemplari per l’impegno e per i risultati ottenuti.
Per quanto riguarda i 100 metri, io ricordo sempre le Olimpiadi del Messico nel 1968, quelle in cui l’americano Jim Hines fu il primo uomo a scendere sotto i 10” con un tempo di 9”95 che allora parve fantastico (il record attuale di Usain Bolt è di 9”58).
E ricordo di aver visto in televisione tante finali olimpiche dei 100 metri, gara affascinante soprattutto per la rapidità fulminea con cui in pochi secondi si bruciano mesi di preparazione, di allenamento, di sacrifici.
Oggi dunque sono molto contento e orgoglioso (come tutti gli Italiani) del successo di Marcell Jacobs, che è arrivato dove non erano arrivati Livio Berruti e Pietro Mennea, regalando all’Italia una vittoria storica. Non sarà male sottolineare che Jacobs, nato a El Paso negli USA nel 1994, da un marine texano e dalla bresciana Viviana Masini, è totalmente italiano perché ha sempre vissuto (praticamente dalla nascita) a Desenzano sul Garda e ora risiede a Roma; questo sia detto per ribadire (se ce ne fosse bisogno) che la patria è il Paese in cui si cresce e si vive, qualunque siano le origini o il colore della pelle di una persona.
A proposito del salto in alto, invece, sempre nelle Olimpiadi del 1968 colpì tutti la nuova tecnica perfezionata da Dick Fosbury, che adottandola vinse la medaglia d’oro; in precedenza gli atleti adottavano la tecnica dello scavalcamento ventrale.
Oggi lo “stile Fosbury” è praticamente l’unico utilizzato a livello agonistico: e applicandolo perfettamente oggi Gianmarco “Gimbo” Tamberi, atleta ventinovenne di Civitanova Marche, ha scalato il tetto del mondo volando a 2 metri e 37 (io avrei bisogno di una grande scala a pioli per arrivare a questa altezza…).
Subito dopo la conclusione della finale dei 100, Tamberi, che stava festeggiando il suo oro, è corso ad abbracciare Marcell Jacobs; il lungo e commovente abbraccio fra i due atleti è un’altra immagine che, in tempi così cupi come quelli che stiamo vivendo, contribuisce a ridarci fiducia e speranza. Un grazie di cuore, dunque, ai nostri bravissimi campioni!