Negli anni Sessanta, i miei genitori e io venivamo sempre in estate a Bagheria per passare le vacanze; partivamo da Genova, dove vivevamo, ai primi di luglio e tornavamo a fine agosto.
Nel 1964 mio padre, allora quasi cinquantenne, decise finalmente di prendersi la patente di guida. Frequentò la scuola-guida a Genova e, poco prima dell’estate, fece gli esami: superò facilmente la teoria, ma all’esame pratico si imbatté in un ingegnere esaminatore/carnefice, che aveva il curioso cognome di Poj: e in effetti Poj, dopo avergli fatto fare tutte le ardue prove di guida tipiche dell’esame di guida a Genova (inversione di marcia in salita, fermata e ripartenza in salita, percorso di ripide curve in discesa, ecc.), vedendolo un po’ incerto a un incrocio gli disse – per l’appunto – di tornare “poi”, a settembre, definendolo “rivedibile”. Papà ne fu molto corrucciato e, per quell’estate, dovette accontentarsi del “foglio rosa”.
Giunti in Sicilia, si poneva per lui il problema di “fare pratica”; mio padre allora acquistò una macchina di seconda mano, una Fiat 600 grigia targata PA 44917. E siccome la consegna da parte del vecchio proprietario avvenne una domenica, l’auto fu battezzata “Menichella”. Era un veicolo già vetusto, che aveva percorso più di 80.000 km, ma era tirata a lucido e in buone condizioni, almeno esteriori.
Quell’estate, come le due seguenti, villeggiammo vicino Sòlanto, in una casetta di campagna accanto all’Hotel Zagarella; e mio padre, fornito soltanto del “foglio rosa”, per guidare Menichella doveva sempre avere accanto un “patentato” (che di volta in volta era uno dei miei zii o dei miei cugini).
Per di più, Menichella ne aveva sempre una: faceva le bizze per partire, il motore spesso si ingolfava, le gomme foravano oggi sì e domani pure, i freni funzionavano quando erano di buon umore e a volte la macchina “si piantava” definitivamente, lasciando per strada i suoi occupanti. Non si contano le volte che mio padre dovette ricorrere ai meccanici del circondario, in particolare a Totuccio Manzella (che aveva l’officina a Bagheria nei pressi di via Litterio), arricchendo puntualmente le loro tasche; e mi resta il sospetto che ci fosse una tacita congiura dei meccanici per non risolvere mai a fondo i problemi di Menichella: per loro era davvero la gallina dalle uova d’oro….
Comunque sia, Menichella ogni volta resuscitava eroicamente; e sia pur sbuffando, rombando come un aereo in decollo e procedendo a strattoni, riusciva a svolgere i suoi compiti essenziali. Fra questi c’era quello di portarci a mare, all’Olivella di Santa Flavia o al Lido Fondachello prima di Casteldaccia: e in quel piccolo veicolo ci accalcavamo in 7-8, fra adulti e “picciriddi”, assembrati all’inverosimile (erano tempi di “deregulation”) e sotto un caldo sole alieno ancora dagli attuali eccessi “lucifereschi”.
Finite le ferie e tornati a Genova, mio padre – trovando stavolta un ingegnere più disponibile e grazie anche alla pratica fatta in estate – conseguì finalmente la sua patente di guida; acquistammo così una Fiat 850 beige, targata GE 245321.
Ma gli anni successivi, quando in estate tornavamo in Sicilia, essendo improponibile un viaggio in macchina sia per la distanza sia per la carenza di strade e autostrade, non ci portavamo la 850; sicché a Bagheria richiamavamo in servizio la fedele Menichella, affidata durante l’anno alle solerti cure di mio zio Cosimo, che la teneva nel suo vecchio magazzino nel quartiere “Angiò” (vicino all’attuale uscita dell’autostrada).
Questa prassi fu confermata per diversi anni; e Menichella, sia pure con i suoi consueti e crescenti acciacchi, continuò a servirci (più o meno) fedelmente. Tutti le eravamo affezionati e anche quando – immancabilmente – ci piantava in asso sul più bello non riuscivamo mai a odiarla, ma sorridevamo dell’inconveniente di turno, ponendovi momentaneo rimedio nell’attesa del successivo.
Anch’io ebbi modo di guidarla: ciò avvenne quando avevo 18 anni e avevo appena preso la patente, durante le vacanze natalizie del 1972 a Bagheria. La prima volta le feci fare il giro della litoranea (Porticello – Sant’Elia – Aspra) e ricordo che la vecchia gloriosa auto fu pietosa con me, limitandosi a rombare rumorosamente (forse di gioia), a “grattare” nei cambi di marcia e ad agonizzare in qualche salitella; ma nel complesso condusse il suo giovane guidatore alla meta senza eccessivi problemi, cosa di cui le fui molto grato. L’indomani però (manco a dirlo) Menichella dovette essere riaffidata alle consuete cure di Totuccio Manzella, come purtroppo le accadeva sempre più spesso.
Negli ultimi tempi la vecchia Seicento, ridotta ormai a reperto archeologico, immobile e muta testimonianza del passato, stazionava fra galline e scartoffie, polverosa e arrugginita, nel magazzino di mio zio ad Angiò. E allora, vedendola vegetare così, ricordavo le avventurose scorrerie su quell’auto precaria e capricciosa e sorridevo con una punta di sottile malinconia.
A metà degli anni Settanta Menichella fu rottamata da mio zio, nel senso letterale del termine: ridotta a un vero rottame, fu smembrata e venduta a pezzi. Sic transiit gloria Menichellae.
P.S.: la foto mostra mio padre accanto a Menichella, in una circonvallazione di Bagheria ancora deserta e ancora senza nome (il nome di Via Papa Giovanni XXIII le fu dato da mio cugino Pietro Maggiore, che un giorno piantò un cartello con questo nome); accanto, sorgeva il terreno dove poi fu costruita casa nostra.