Nel 1964 Franco Migliacci e Bruno Zambrini composero la canzone “In ginocchio da te”, che lanciò il giovanissimo Gianni Morandi (nato a Monghidoro l’11 dicembre 1944) ed ebbe un successo straordinario. Con questo brano Morandi vinse il Cantagiro, restando in cima alla Hit Parade per 17 settimane.
Il testo della canzone inizia con un’incondizionata dichiarazione d’amore: «Io voglio per me le tue carezze, / sì, io t’amo più della mia vita».
Subito dopo però il ragazzo mostra di avere il carbone bagnato: infatti è reduce da una “sbandata” con un’“altra”, evidentemente conclusasi malamente, tanto da indurlo a supplicare la precedente partner di perdonarlo: «Ritornerò in ginocchio da te, / l’altra non è, non è niente per me. / Ora lo so, ho sbagliato con te. / Ritornerò in ginocchio da te».
Non basta però l’atteggiamento da pellegrino di Fatima (qualche anno fa li ho visti percorrere in ginocchio, contriti, tutto il vasto sagrato del santuario portoghese): il pentito si ripromette anche di baciare le mani della sua ragazza («E bacerò le tue mani, amor») e di cercare negli occhi di lei (bagnati da tante lacrime per colpa sua) il perdono: «Negli occhi tuoi che hanno pianto per me / io cercherò il perdono da te”.
Il testo poi si ripete, come a riconfermare l’intenzionale pentimento; e si chiude, ad anello, con la ripetizione del distico iniziale (con la piccola variante di un’esclamazione patetica): «Io voglio per me le tue carezze / oh sì, io t’amo più della mia vita».
“In ginocchio da te” ebbe un successo tale da ispirare un omonimo film “musicarello”, diretto da Ettore Maria Fizzarotti e fulmineamente realizzato nello stesso 1964; nei ruoli principali “recitavano” (diciamo così) Gianni Morandi e Laura Efrikian. Il film fu “galeotto”, perché i due protagonisti si innamorarono e si sposarono due anni dopo (si lasciarono poi nel 1979).
Nel film il protagonista Gianni Traimonti, un giovane della provincia di Bologna dalle spiccate doti canore, parte per Napoli per il servizio militare; qui si innamora di Carla, la figlia del suo maresciallo (interpretato da Nino Taranto). Il sottufficiale si oppone alla storia d’amore; per di più Gianni, durante una festa, cede al fascino dell’altolocata Beatrice (Margareth Lee), sorella di un suo facoltoso commilitone, e – dopo aver vinto una licenza premio a un concorso canoro – trascorre con lei alcuni giorni alle Eolie. Al ritorno a Napoli, però, l’avventura si conclude per la frivola instabilità di Beatrice (ben poco “dantesca”) e Gianni deve fare i conti con il giusto risentimento di Carla. Tuttavia, approfittando di un’audizione alla RAI, Gianni canta in diretta “In ginocchio da te” e il risultato è immancabile: lei lo perdona e il lieto fine è assicurato.
Il critico Paolo Mereghetti assegna una sola stella a questo film (il voto peggiore), definendolo “a bassissimo costo e altissimo realizzo”, da riservare a “nostalgici e patiti del sottoprodotto”.
Del resto, film del genere erano solo il pretesto per inserire delle canzoni rendendole “visibili” al grande pubblico (va ricordato che all’epoca la musica si ascoltava soprattutto alla radio e i “video” musicali non esistevano).
Fra le canzoni eseguite (in un pessimo playback) da Morandi nel film c’erano: “Che me ne faccio del latino” (“Sapete perché lo devo studiar / ma non lo posso parlar? / Non sono un cretino, / ma sempre in latino prendo tre”, canzone da incorniciare); “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”; “Se puoi uscire una domenica sola con me” e altre.
Immediatamente dopo “In ginocchio da te”, gli stessi autori bissarono il precedente successo con “Non son degno di te”, canzone destinata ad altrettanto successo. Il pezzo vinse il “Festival delle Rose” di Roma, che si svolse alla fine di ottobre dello stesso intensissimo 1964; in breve entrò nella Hit Parade delle vendite dei 45 giri, subentrando alla canzone precedente.
Anche in questo caso, Morandi interpreta il ruolo del “traditore seriale”. Il ragazzo infatti all’inizio confessa la sua mancanza: “Non son degno di te, / non ti merito più”. Subito dopo però invoca clemenza in nome dell’universale propensione umana all’errore: “Ma al mondo no, non esiste nessuno / che non ha sbagliato una volta”.
A questo punto, sembra esserci una pausa, una frattura temporale; infatti la seconda strofe sembra dimostrare che il reo confesso è stato malamente cacciato dalla sua ragazza corrucciata: “E va bene così, / me ne vado da te”. (Qualche valente filologo potrebbe integrare la lacuna con una piccata risposta della ragazza, tipo “Ma vaff….***”).
Lui però non ci sta e anzi passa a una larvata minaccia, prospettando alla spietata un futuro di solitudine: “Ma quando la sera tu resterai sola / ricorda qualcuno che amava te”.
Infine, per corroborare la sua dichiarazione, ricorre a una poetica analogia: “Sui monti di pietra può nascere un fiore; / in me questa sera è nato l’amore per te”.
Autogol clamoroso: infatti, dichiarando che l’amore per la ragazza è nato “questa sera”, finisce per ammettere che prima non la amava davvero; per non parlare dell’esplicito paragonarsi a un “monte di pietra”, sia pure miracolato da un’inattesa fioritura.
Anche “Non son degno di te” divenne l’anno dopo un film “musicarello”, “sequel” del precedente: stesso regista, stesso cast, stessi personaggi, stesso strepitoso successo al botteghino, stessa valutazione pessima della critica.
Stavolta la “traditrice” (almeno apparentemente) è Carla, che viene corteggiata dal figlio di un ricco armatore e per un equivoco viene piantata dal gelosissimo Gianni; lui poi, scoperta la (sostanziale) fedeltà della ragazza, le chiede scusa proclamandosi “indegno” di lei e avviene la prevedibile riconciliazione.
P.S. 1:
Quando ero ragazzo, mi divertivo (io che vivevo a Genova) a tradurre in siciliano le canzoni più in voga.
Nel tradurre “In ginocchio da te” si poneva il problema di rendere il futuro “ritornerò” in un dialetto che – Sciascia docet – non possiede il tempo futuro (“E come volete non essere pessimista in un paese in cui il futuro non esiste?”). Lo resi con l’espressione volitiva “aju a turnari” (cfr. inglese “I have to come back”).
Ecco il risultato:
Iu vogghiu pi mia i tò carizzi!
Sè, t’amu chiossà d’a vita mia!
Aju a turnari ginucchiuni nni tia:
l’àvutra ‘un ‘è, ‘un è nenti pi mia.
Ora ‘u capivu, fici inchiappu cu tia,
aju a turnari ginucchiuni nni tia.
Aju a vasari i tò manu, amuri,
nna l’occhi tuoi, ca chianceru pi mia,
aju a circari u pirdonu di tia,
aju a vasari i tò manu, amuri!
(ecc. ecc.)
P.S. 2:
“In ginocchio da te” fu la canzone di quella lontana estate del 1964. Io allora avevo dieci anni e villeggiavo in campagna, a pochi passi dall’Hotel Zagarella di Sòlanto, allora molto più piccolo rispetto ad ora. La casa di campagna sorgeva sulla statale 113; vi si accedeva da un cancello e c’era poi una ripida discesa (un vero e proprio “sciddicalòro”) che conduceva giù, tuffandosi in mezzo ai limoni (si chiamava – ed era – “Conca d’Oro”, allora).
La sera sentivo ventate di musica provenire dalla vicina “rotonda sul mare” della Zagarella; allora, picciriddu, mi immergevo tra i limoni, camminavo sotto una miriade di stelle (allora non offuscate dalle abbacinanti luci moderne) e arrivavo a un punto dal quale vedevo le coppie dell’hotel che danzavano al suono delle musiche di quell’estate. A quei tempi non esisteva il turismo di massa e gli ospiti degli alberghi erano persone facoltose o turisti stranieri (prevalentemente francesi).
Fino alla metà degli anni ’60, tutti ascoltavano e ballavano la stessa musica negli stessi locali, sia che fossero night sofisticati (come quello della “Zagarella”) sia che si trattasse delle popolari “balere” ove si ballava il “liscio”; le “discoteche” per soli giovani nacquero poi, negli anni Settanta.
Ovviamente, allora, nella “rotonda” della Zagarella non si suonavano i “tormentoni” vivaci, come era – in quella estate del 1964 – “Sei diventata nera” dei Marcellos Ferial (in realtà italianissimi). Le canzoni più eseguite erano i lenti, come appunto “In ginocchio da te” e un brano soft-melodico intitolato “Amore scusami” di John Foster (anche lui italiano: il suo vero nome era Paolo Occhipinti).
Io però avevo solo dieci anni e, anche se il mio animo è sempre stato romanticone, a certe cose non pensavo ancora; e sicuramente alle note un po’ melense di Morandi e John Foster preferivo i Marcellos Ferial (“Sei diventata ne-era ne-era ne-era / sei diventata ne-era / come il carbon”) o il twist incalzante di Nico Fidenco arrangiato dal maestro Enriquez, con la voce solista contrappuntata da un birichino coretto femminile, che all’inizio di ogni strofa faceva “eh eh eh eh”: “Eh, eh eh eh / No, quest’anno al mare non andrò / con te sulla spiaggia, con te sulla spiaggia / No, l’altr’anno visto come andò / Con te sulla spiaggia, con te sulla spiaggia / Non ci sto / Eh, eh eh eh”.