“Romiosìni” (Pωμιοσύνη, “Grecità”) è un poemetto di Yannis Ritsos in sette sezioni, composto negli anni dal 1945 al 1947, ma pubblicato nel 1954. Ritsos tenta, come farà pochi anni dopo Elytis nell’Ἄξιον ἐστί, di sintetizzare gli eventi della recente storia greca in forma di epica moderna.
Tema centrale è la resistenza, lo spirito di indipendenza dei Greci, la loro “grecità”: è questo è il significato di ρωμιοσύνη, termine che indica, nella sua polivalenza semantica, il modo di essere e di sentirsi greci, nella concreta attualità dell’oggi e nella sopravvivenza del mito, in consonanza con tutti gli elementi della natura greca.
Facciamo preliminarmente un doveroso breve excursus su questo tema, proprio per sottolineare con forza la “continuità” fra antico e moderno.
Il termine Ἕλληνες in età cristiana-bizantina indicava i pagani e i greci antichi, per distinguerli dai cristiani; Ῥωμαῖος (pron. “romèos”) era invece il greco moderno, il “civis Romanus” dell’impero. Il vocabolo Ῥωμιοσύνη indicò dunque l’essere Ῥωμαῖος, figlio della resistenza contro il nemico (si trattasse dell’arabo, del turco, del crociato o, in epoca recente, del nemico politico).
Nelle tradizioni popolari Ῥωμαῖος (popolarmente Ῥωμιός) corrisponde a λεβέντης (pron. “levèndis”) “giovane bello e gagliardo”, uomo forte fisicamente e moralmente; questo vocabolo deriva forse da “uomo del levante”: nell’uso orientale gli occidentali erano considerati intriganti, falsi ed effeminati; i Greci invece si consideravano forti, arditi, sinceri.
Con ρωμαίικος si intende “neogreco, della Grecia moderna”, per cui ῥωμιοσύνη è reso senz’altro con “grecità moderna” nel Vocabolario greco moderno-italiano dell’Istituto siciliano di studi bizantini e neoellenici (G.E.I., Roma 1993). Il termine maschile singolare Ἕλληνας (pron. èlinas, maschile singolare) ha invece una connotazione più sentimentale e patriottica. Quanto a Γραικός (cfr. lat. Graecus), è un termine di origine latina, che in greco è attestato in Tucidide, ma – come è noto – non si è mai più usato in Grecia e anzi suona piuttosto sgradevole e sgradito.
Tornando al poema di Ritsos, nella I sezione il poeta descrive un paesaggio brullo, calcificato, solare, pregno di ricordi passati ma vigorosamente ancorato al presente; questo paesaggio, poi, è proiezione delle anime, poiché come i suoi abitanti, è restio ai “passi stranieri” e “stringe i denti” contro l’oppressione: “Questi alberi non s’adattano a meno cielo, / queste pietre non s’adattano sotto i passi stranieri, / questi volti non s’adattano che solamente al sole, / questi cuori non s’adattano che solamente al diritto. / Questo paesaggio è duro come il silenzio, / stringe al suo seno i suoi infuocati sassi, / stringe alla luce i suoi orfani olivi e le sue viti, / stringe i denti. / Non c’è acqua. Soltanto luce. / La strada si perde nella luce e l’ombra del recinto è ferro” (I 1-9; uso qui la traduzione di Vincenzo Rotolo; testo originale: Αὐτὰ τὰ δέντρα δὲ βολεύονται μὲ λιγότερο οὐρανό, / αὐτὲς οἱ πέτρες δὲ βολεύονται κάτου ἀπ᾿ τὰ ξένα βήματα, / αὐτὰ τὰ πρόσωπα δὲ βολεύονται παρὰ μόνο στὸν ἥλιο, / αὐτὲς οἱ καρδιὲς δὲ βολεύονται παρὰ μόνο στὸ δίκιο. / Ἐτοῦτο τὸ τοπίο εἶναι σκληρὸ σὰν τὴ σιωπή, / σφίγγει στὸν κόρφο του τὰ πυρωμένα του λιθάρια, / σφίγγει στὸ φῶς τὶς ὀρφανὲς ἐλιές του καὶ τ᾿ ἀμπέλια του, / σφίγγει τὰ δόντια. Δὲν ὑπάρχει νερό. Μονάχα φῶς. / Ὁ δρόμος χάνεται στὸ φῶς κι ὁ ἴσκιος τῆς μάντρας εἶναι σίδερο).
Il linguaggio riconduce alla poesia popolare greca ed è ispirato ai canti dei clefti e ai “rizitika” cretesi; comune è il desiderio di riscossa nazionale, di libertà (λευτεριά), di lotta contro ogni oppressione; i combattenti hanno nel fucile la continuazione delle loro mani e nelle mani la continuazione delle loro anime, con “la collera” sulle labbra e il καημός, la “pena”, nel cuore: “I loro occhi sono rossi per la veglia, / una riga profonda incuneata fra le loro sopracciglia / come un cipresso a mezzo di due monti al tramonto. / La loro mano è attaccata al fucile, / il fucile è continuazione della loro mano, la loro mano è continuazione della loro anima – / hanno sopra le loro labbra la collera / e hanno la pena in fondo ai loro occhi / come una stella in una buca di sale” (I 14-22; testo originale: Τὰ μάτια τους εἶναι κόκκινα ἀπ᾿ τὴν ἀγρύπνια, / μία βαθειὰ χαρακιὰ σφηνωμένη ἀνάμεσα στὰ φρύδια τους / σὰν ἕνα κυπαρίσσι ἀνάμεσα σὲ δυὸ βουνὰ τὸ λιόγερμα. / Τὸ χέρι τους εἶναι κολλημένο στὸ ντουφέκι / τὸ ντουφέκι εἶναι συνέχεια τοῦ χεριοῦ τους / τὸ χέρι τους εἶναι συνέχεια τῆς ψυχῆς τους – / ἔχουν στὰ χείλια τους ἀπάνου τὸ θυμὸ / κ᾿ ἔχουνε τὸν καημὸ βαθιὰ-βαθιὰ στὰ μάτια τους / σὰν ἕνα ἀστέρι σὲ μία γοῦβα ἁλάτι).
La resistenza è disperata, eterna, incrollabile; e quando mancano i viveri e mancano le munizioni, i cannoni vengono caricati con il cuore: “Il pane è finito, i proiettili sono finiti, / caricano ora i loro cannoni solo col loro cuore” (vv. 38-39, Tο ψωμί σώθηκε, τα βόλια σώθηκαν, / γεμίζουν τώρα τα κανόνια τους μόνο με την καρδιά τους).
E tuttavia, anche quando “tutti sono uccisi”, è come se nessuno fosse morto, perché dal sangue dei caduti rinasce la speranza: “Da tanti anni assediati per terra e per mare, / tutti hanno fame, tutti sono uccisi e nessuno è morto – / sulle vedette brillano i loro occhi, / una grande bandiera, un gran fuoco tutto rosso / e ad ogni aurora migliaia di colombe partono dalle loro mani / per le quattro porte dell’orizzonte” (I 40-45; testo greco: / Tόσα χρόνια πολιορκημένοι από στεριά και θάλασσα / όλοι πεινάνε, όλοι σκοτώνονται και κανένας δεν πέθανε – / πάνου στα καραούλια λάμπουνε τα μάτια τους, / μια μεγάλη σημαία, μια μεγάλη φωτιά κατακόκκινη / και κάθε αυγή χιλιάδες περιστέρια φεύγουν απ’ τα χέρια τους / για τις τέσσερις πόρτες του ορίζοντα).