In un vecchio libro del 1957, “Liguria” (della collana “Meravigliosa Italia – Enciclopedia delle regioni”, a cura di Valerio Lugani, edizioni Aristea Milano) trovo un’interessante riproduzione di un caratteristico scialle genovese, chiamato “mésero”: era largo due metri e mezzo e lungo m. 2,80; era adorno di smaglianti colori e portava nel centro un grande albero fiorito.
La parola derivava da “mizar”, termine arabo che significava “coprire, nascondere”; in genovese divenne “mesar” e poi “mézzaro” (o “mésero”) per indicare appunto la pezza di stoffa usata dalle donne per coprirsi il capo. In origine si trattava solo di un grande quadrato di stoffa, in cotone o lino, riccamente decorato con disegni di alberi (il più conosciuto è “L’Albero della vita”) e con fiori; le donne liguri se ne drappeggiavano già nel Duecento.
Il testo ricorda poi che le signore genovesi un tempo giravano con i “pezzotti”, superbi scialli bianchi. L’elegante “mésero”, lo scialle indossato dalle nobili signore genovesi, diventò in breve un grande simbolo di potere e ricchezza (Casanova ne parla nelle sue memorie e racconta di averne comperato uno).
In seguito alla sua grande diffusione in città, sorsero nella Val Polcevera numerose filande e stamperie artigiane che, imparata dall’India la tecnica degli stampini, iniziarono la produzione locale dei mézzari; da qui le pezze genovesi erano poi esportate in tutta Europa, soprattutto in Inghilterra. Alla fine del Settecento il mézzaro fu abbandonato dall’aristocrazia, ma rimase elemento fondamentale del costume popolare genovese, piegato in due a coprire la testa e le spalle.