Anche quest’anno mia moglie, con la sua pazienza certosina e la sua consueta efficienza, ha tirato giù gli scatoloni e ha preparato il presepe e l’albero di Natale.
Oggi le luci di Natale sfolgorano e illuminano il salone: ecco infatti l’albero (rigorosamente artificiale) con le palle rosse contro il malocchio; ed ecco l’affollatissimo presepe con la sua popolazione variegata: venditori e venditrici di generi vari, ambulanti troneggianti nei loro “stand” stracolmi (in particolare con una pantagruelica esibizione di alimentari, più o meno alieni dalla realtà giudaica dell’Anno Zero e vicini semmai a un odierno “mercato del contadino”), abili artigiani (ce n’è uno che si muove alzando e abbassando un martelletto, c’è un ciabattino, c’è un fabbro), umili pastori (un paio con zampogne) e argute contadinelle, vari animali (maialini, pecore e colombi, oltre agli immancabili bue ed asinello), persino un soldato romano (l’equivalente dei carabinieri odierni, addetto all’ordine pubblico: e ci sta, con un simile assembramento di gente, alla faccia di ogni residua norma anticovid). In un angolo i tre re Magi stanno defilati, in attesa di entrare dallo svincolo del paese.
Quanto al Bambino Gesù, per ora attende pazientemente, celato in un cassetto, di scendere dalle stelle.
Del resto, secondo me, la cosa più bella del Natale è proprio la sua attesa, sono i preparativi che facciamo: i regali, gli addobbi, l’organizzazione dei pranzi (inflazione permettendo), i progetti per le feste. E dopo Natale si aspetta Capodanno in una settimana interlocutoria, sempre “in attesa”. Poi inizia il declino, il mesto ritorno verso la realtà e i problemi di sempre (e l’Epifania stenta – con le dovute eccezioni – a riscuotere grandi simpatie, se non altro per il reato imperdonabile di portarsi via tutte le feste).
Nel nostro presepe non mancano ben due “spaventati”, con le braccia spalancate, terrorizzati e sbigottiti.
Qui in Sicilia lo “spaventato” (o “scantatu” o “spirdatu”) è un personaggio indispensabile: si tratta di un pastore che allarga le braccia con gli occhi sbarrati, stupito o (appunto) intimorito da ciò che sta vedendo. Al contrario delle altre statuine, lo “spaventato” non svolge nessuna attività: non vende niente, non bada alle pecore, non suona la zampogna, non porta legna o altro; se ne sta davanti alla capanna con le braccia aperte e lo sguardo rivolto verso il cielo, con la testa reclinata all’indietro e l’aria stupefatta e turbata.
Siccome non sembra che la capanna con il bue e l’asinello possa costituire una visione così terribile, si è ipotizzato che il timore del poveraccio derivi dalla vista di qualcosa di soprannaturale (l’angelo o, soprattutto, la cometa: da qui l’espressione “spavintatu ra stidda” che si sente in certe zone della Sicilia o “‘ncantatu d’a stija” in Calabria)
Il pastore timoroso qui in Sicilia è passato anche in proverbio: quando qualcuno si mostra pavido o eccessivamente preoccupato per qualcosa, viene senz’altro definito “scantatu r’u prissepe”.
Alcuni anni fa, essendo rimasto momentaneamente sprovvisto di uno “spaventato” per il presepe, sono andato in un noto negozio di corso Vittorio Emanuele per acquistarlo. Ebbene, quando ho detto a una giovane commessa che cercavo “lo spaventato”, mi ha guardato come se parlassi in cinese o come se fossi un marziano, rimanendo interdetta o (più probabilmente) ritenendo che fossi io a dover essere “interdetto” per incapacità mentale.
Fu necessario convocare il proprietario in persona, che conosceva (almeno lui) il pastore richiesto, ma non ne aveva in negozio.
Per fortuna il mio carissimo amico Toti provvide poi a regalarmi uno “spaventato” perfettamente in regola con i requisiti necessari; io stesso poi, presso un altro “presepivendolo” di via Marchese di Roccaforte, ne ho trovato un altro altrettanto allucinato e sconvolto.
Ora dunque nel nostro presepe natalizio compaiono ben due “scantati”, che allargano le braccia l’uno accanto all’altro davanti alla capanna: e sembrano immagine e proiezione della realtà odierna, nella quale siamo assillati da mille concrete paure (altro che la stella cometa…). Per fare un triste e desolato esempio, il terribile disastro avvenuto ieri a Ischia ci fa mestamente riflettere su quello che dobbiamo realmente temere al giorno d’oggi, spesso per colpe in gran parte nostre…
Non solo, però. Lo “spaventato” sembra darci un altro messaggio importante: ci invita a “stupirci” ancora, a riuscire a meravigliarci ancora, a liberarci dalla nostra cinica scorza di persone omologate, inaridite, abituate o rassegnate a tutto, incapaci di provare mai un briciolo dello stupore incantato che sapevamo provare da bambini.
Comunque sia, possiamo solo augurarci, come si dice da queste parti, che quello dello spaventato “sia scantu e sia nenti”, cioè che in futuro (magari!) ogni paura si riveli infondata.
Prepariamoci dunque al Natale con una forte aspirazione alla serenità e alla pace: pronti magari ad allargare le braccia e a “stupirci” per la sorpresa inattesa di un periodo migliore.
Scantatizzu d’u prissepe,
nun scantàriti pi nenti:
semu tutti cchiù cuntenti
ora ca veni Natali.
Cu li vrazza sbarrachiati,
cu sti occhi tò alluciati,
ora ammàtula ti scanti.
È Natali, c’è Giasuzzu:
e stu munnu sempri spera
di putìri scutulari
tuttu u pisu d’u duluri
e di ridiri cuntentu
senza pena né turmentu.
Siddu cascanu i muntagni
quannu chiovi e tira ventu,
siddu muorunu li genti
pi la raggia d’a Natura,
pi miserii e intrallazzi,
tu talìa dda bedda stidda
ca ‘nto celu veni e brilla!
Idda porta tanta luci:
‘nni purtassi gioia e paci!
Nun scantàriti, pasturi:
si ora tu, ammammaluccùtu,
talii bonu ‘u Bambineddu,
nun ci vidi nenti ‘i tintu,
ma sultantu la prumissa
di ‘na vita cchiù filici.
Veni ancora lu Signuri
comu ogni annu ‘nto presepi:
tu talìalu senza scantu,
chiui lu chiantu dintra u cori,
sona lu tò friscalettu
e surridi letu e allegru.
Quannu a casa ti ‘nni torni,
nun purtari pena e scantu:
porta sulu meravigghia
(ca n’avemu di bisognu),
porta ‘a luci d’a spiranza
ca nni allustra l’esistenza.