Ricordo che a Bagheria, quando da ragazzo venivo per le vacanze natalizie, nessuno parlava della Befana; la festività odierna era chiamata “I Tre Re”. E a noi chiedevano, immancabilmente: “P’i Tri Re ancora ccà siti?”; allora mio padre immancabilmente rispondeva, con un po’ di disappunto: “No, saremo già ripartiti”. Infatti il 5 gennaio mattina prendevamo il Treno del Sole; e l’indomani mattina presto eravamo già a Genova ove trascorrevamo il giorno dell’Epifania.
Intanto a Bagheria si celebrava la festa dei “Tre re”, limitata però in genere alla Messa e all’ultimo pranzo solenne prima del ritorno alla vita di sempre.
In alcune località siciliane esistono feste in onore dei Magi: ce ne sono a Canicattì, a Mussomeli, a Castelvetrano, a Piana degli Albanesi e nei paesi in cui si pratica il rito greco-bizantino (Contessa Entellina, Mezzojuso, Palazzo Adriano, Santa Cristina Gela).
Una sfilata storica dei Re Magi a cavallo percorre il centro di Aci Platani (Acireale) con un corteo di circa 300 figuranti.
In provincia di Agrigento, a Sant’Angelo Muxaro, i protagonisti dell’Epifania sono due pastori in costumi tradizionali, Nardu e Riberiu, che mettono in scena una “vastasata”, cioè una farsa comica (con tanto di appetitosa “sagra della ricotta”).
Molto particolare anche la celebrazione che si fa a Cassaro (in provincia di Siracusa), chiamata “I Tre Re sulla via dell’olio”; la sera del 5 viene rappresentato l’arrivo dei Magi dall’Oriente: si spengono le luci del paese e i re a cavallo sono seguiti da un corteo di fiaccole, attraversando il paese fino alla chiesa di Sant’Antonio Abate, dove ad attenderli è il Bambinello. Ovviamente, come sempre in Sicilia, si associano sacro e profano: infatti si allestiscono dei padiglioni enogastronomici dove dominano l’olio locale e le specialità della tradizione gastronomica iblea.
A Palermo non ci sono feste analoghe; esiste però un’antica chiesa dedicata ai Tre Re, che si trova nel centro storico nel mandamento Monte di Pietà in via Montevergini, all’angolo con la via del Celso. Esisteva anche, dal 1431, una “Compagnia dei Tre Re” o “Compagnia dei Putiari” (cioè una corporazione di bottegai).
Quando sono stato per un fine anno in Spagna ho scoperto che da quelle parti la figura della Befana è pressoché sconosciuta e che nemmeno Babbo Natale è importante, mentre protagonisti principali delle feste sono i Magi, cioè Gaspare, Baldassare e Melchiorre. I bambini spagnoli scrivono una lettera ai Magi chiedendo i doni che vorrebbero ricevere; inoltre prendono le loro scarpe e le mettono davanti alla porta di casa, per far sapere chiaramente quanti bambini ci sono là dentro.
Il 5 gennaio in Spagna si organizzano sfilate di carri allegorici, un po’ come il Carnevale in Italia; queste sfilate vengono chiamate ”Cavalcate dei Re Magi” e al comando dei carri ci sono appunto i tre re, che distribuiscono caramelle e dolciumi a tutti. In questa giornata, poi, si mangia un dolce chiamato ”Roscòn de los Reyes Magos” (una ciambella ricoperta di glassa e guarnita con frutta candita).
E la Befana? Non vorremmo che si offendesse della minore attenzione che qui le stiamo dando; ma in effetti Palermo non è Roma, non ha una sua Piazza Navona.
Tuttavia anche in Sicilia la Befana ha un suo spazio: per citare un solo esempio, a Gratteri, sulle Madonie, esiste la tradizione della “Vecchia”, che però va in scena il 31 dicembre. Quella sera la “Vecchia” scende dalla grotta Grattara, accompagnata da un corteo di ragazzi e ragazze in abiti tradizionali muniti di torce; a dorso di un asino e avvolta in un lenzuolo bianco, la Vecchia attraversa le viuzze del paese, distribuendo doni e dolciumi a tutti i bambini. Il corteo si conclude nella piazza principale con danze, degustazioni di dolci e spumante per tutti, mentre i giochi pirotecnici illuminano le Madonie.
Come è noto, l’etimologia della parola “befana” è frutto della progressiva corruzione (lessicale e culturale) del termine greco “epiphàneia” (ἐπιφάνεια), cioè “manifestazione, apparizione (della divinità)”. Il personaggio della Befana è nato dal folklore popolare, derivando probabilmente da antichissimi riti pagani propiziatori, legati all’agricoltura ed ai suoi cicli stagionali. Gli antichi Romani nella dodicesima notte dopo il solstizio invernale celebravano la morte e la rinascita della natura; e credevano che in queste dodici notti alcune figure femminili volassero sui campi coltivati, per propiziare la fertilità dei futuri raccolti; da qui nacque il mito della figura “volante”, variamente identificata con la dea “lunare” Diana, o con altre divinità minori. Analoghe leggende nacquero nel centro e nel nord Europa, con simili figure femminili che personificavano la Natura invernale, rappresentata come una vecchia gobba con naso adunco, arruffati capelli bianchi ed enormi piedi, vestita di stracci e con le scarpe rotte, che di notte volava sui campi propiziandone la fertilità.
La leggenda della Befana che, a cavallo della sua scopa, distribuisce doni ai bimbi buoni o carbone a quelli birichini (ma ce ne sono ancora? se ce ne fossero, avrebbero diritto di denunciare i genitori per stalking…), ha trovato nella tradizione popolare uno strano collegamento con la storia dei Magi.
Una leggenda afferma infatti che i tre re, diretti a Betlemme con i doni, non riuscendo a trovare la strada (alla faccia della cometa, forse per un problema di GPS) chiesero informazioni a una donna anziana. Questa però, arcigna e sgarbata, si mostrò riluttante a rispondere (che fosse una simpatizzante di Erode?); ma poi, pentitasi del suo silenzio, preparò un cesto di dolci, uscì e cercò i re, senza però trovarli più; decise allora di fermarsi a ogni casa lungo il suo cammino, donando qualcosa ai bimbi, sperando che uno di essi fosse Gesù. Da allora la vecchietta porta regali a tutti i piccoli: si vede che con la sua omertà si era guadagnata l’immortalità (e se così fosse non sarebbe una grande lezione di vita).
In definitiva, che ne siano protagonisti i Tre Re o Befana, che ci sia o non ci sia la pandemia, la festa odierna dell’Epifania si mantiene fedele almeno per un aspetto alla sua etichetta tradizionale: “L’Epifania tutte le feste si porta via”. E questa sua caratteristica, lo confesso, me l’ha resa cordialmente antipatica da sempre, soprattutto nella mia duplice veste di scolaro prima e di insegnante poi, visto che inevitabilmente dal 7 si tornava a scuola.