34 anni fa, il 20 marzo 1989, era lunedì come quest’anno. Quella sera in TV andò in onda l’ultima puntata dello sceneggiato “La Piovra 4”, che fu seguita da 17 milioni di telespettatori (record d’ascolto ancora oggi imbattuto per una fiction televisiva italiana).
Che si trattasse del facile successo di un minestrone nazional-popolare possono pensarlo solo coloro che hanno pregiudizi e/o non hanno mai visto questo sceneggiato. Si trattava invece di una serie caratterizzata da un altissimo impegno civile (e non a caso fu osteggiata apertamente da certe correnti politiche che non gradivano che si toccassero certi argomenti…).
La prima serie de “La Piovra” aveva avuto inizio l’11 marzo 1984, con la regia di Damiano Damiani e la sceneggiatura di Ennio De Concini. Ambientata in una Trapani non nominata esplicitamente ma fin troppo riconoscibile, presentava la vicenda di un commissario di polizia, Corrado Cattani, che – dirigendo la squadra mobile – indagava sugli intrecci criminali mafiosi che dominavano la città; il rapimento della figlia dodicenne e la violenza da lei subìta fermavano solo temporaneamente la lotta del coraggioso commissario contro la criminalità organizzata.
Le edizioni successive, dirette da Florestano Vancini (“La Piovra 2”) e poi da Luigi Perelli (diverse successive edizioni), consolidarono il successo dello sceneggiato, che aveva il merito di porre in modo esplicito un tema attuale, troppe volte negato o rimosso.
Sulla scia del cinema civile impegnato di Elio Petri, Francesco Rosi e dello stesso Damiani, la fiction metteva sotto gli occhi di un pubblico vastissimo la realtà di un contesto mafioso radicato non solo in Sicilia ma nell’intero Paese, infiltrato nelle istituzioni e nella grande finanza. Tutto questo, mentre era in corso in Sicilia la guerra di mafia e mentre nel Paese emergeva sempre più chiaramente il quadro di corruzione e connivenze che esplose pochi anni dopo con “Tangentopoli” (profeticamente in una puntata de “La Piovra 4” il commissario Cattani arrestava un intero consiglio comunale lombardo!).
In particolare, “La Piovra 4” diretta da Luigi Perelli, dal ritmo serratissimo, ottimamente recitata da Michele Placido (Cattani), Remo Girone (il suo antagonista Tano Cariddi), Patricia Millardet (la giudice Silvia Conti), Marcello Tusco (il “Puparo”), Adriano Pappalardo (lo spietato killer Santuzzo), Bruno Cremer (il faccendiere Espinosa) e tanti altri validissimi interpreti, accompagnata dalle musiche di Ennio Morricone, solidissima e attuale (ancora oggi!) nella sceneggiatura di Sandro Petraglia e Stefano Rulli, resta uno dei più riusciti sceneggiati italiani mai prodotti (che ebbe fra l’altro un successo straordinario anche all’estero, in oltre 80 Paesi).
Oltre all’impegno civile e – direi – etico di questa fiction, fra i motivi del successo vi fu innegabilmente la presa enorme che il personaggio del protagonista ebbe nel pubblico. Michele Placido, bravo e sensibile attore pugliese già affermatosi in film come “Romanzo popolare” di Monicelli (1974), “L’Agnese va a morire” di Giuliano Montaldo (1976) e “Il prato” dei fratelli Taviani (1979), diede anima e vigore al personaggio di Cattani, divenendo famosissimo e universalmente identificato con quel commissario onesto, leale, coraggioso, generoso, intransigente e ostinato nella lotta contro l’ingiustizia ma amaramente chiuso nel suo dolore e nel suo disinganno dopo la perdita di tutti i suoi cari.
Non a caso, la puntata conclusiva della “Piovra 4”, che terminava con l’assassinio del commissario, fu un colpo al cuore per milioni di spettatori; basti dire che nel “Corriere della Sera” dell’indomani, 21 marzo 1989, venivano riportati i commenti dei poliziotti della Questura di Palermo, commossi e affranti per la “morte” del loro “collega” televisivo: «È morto come Ninni, lo hanno ammazzato come il povero commissario Cassarà» diceva “con un filo di voce” un anziano poliziotto che ricordava l’estate di fuoco di pochi anni prima.
A mio parere, però, il culmine lirico di quella indimenticabile puntata non è la scena finale dell’assassinio del commissario, bensì la scena immediatamente precedente.
Cattani, dopo un incontro con il faccendiere Espinosa (che in modo arrogante gli ha rivelato esplicitamente l’inestricabile intreccio fra mafia, politica e finanza), ha capito che il suo tempo è finito e che la sua morte è questione di ore.
Senza scorta per sua esplicita volontà, si reca un’ultima volta nell’ospedale dove è ricoverato, paralizzato e non più in grado di parlare, Salvatore Frolo detto “Acidduzzu” (un bravissimo Mario Adorf), un ex mafioso pentito che lo ha aiutato nell’ultima indagine e che gli è diventato particolarmente caro, perché accomunato dall’esperienza devastante del dolore.
Standogli seduto nella camera d’ospedale, Cattani (che porta nel viso i segni delle ultime battaglie affrontate), con un mesto sorriso e in tono sommesso, racconta ad Acidduzzu un bellissimo e struggente episodio della sua infanzia: «Una volta la maestra ci parlò della Stella Polare. Mi ricordo che era il mese di maggio e io quella notte stessa invece di andare a dormire, zitto zitto piano piano, mi arrampicai sino alla soffitta, poi attraverso una scala sul terrazzino. Avevo in mente ancora le parole della maestra: “Dovete cercare il Piccolo Carro che si trova fra il Drago, Cefeo e l’Orsa maggiore e poi risalire, su su su, tutto il timone; e lassù c’è la Stella Polare, che è fissa: ha indicato la strada per secoli e secoli ai marinai, ai viandanti”. Ma… quella notte in cielo c’erano miliardi di stelle! E io mi sentivo così… così piccolo, così confuso: avevo 8 anni. E dov’era il quadrato di Pegaso? e Orione? e le Pleiadi? Dov’era il carro? Mi sembrava… Come potevo io trovare una cosa tanto piccola ma così importante? Da solo… Come si fa?».
Da solo, come si fa? Come si raggiunge la Stella lontana (la stella della verità e della giustizia) da soli? Come si fa a combattere, da soli, la Piovra? Quando si è da soli e si è “così piccoli”, come si fa ad affrontare il crimine organizzato e a far trionfare il bene?
Quanti “eroi” che hanno sfidato la mafia sono rimasti “soli”, incompresi se non espressamente sgraditi?
I Cattani non li ha inventati la fiction, sono esistiti ed esistono ancora in questo ingrato Paese.
Dopo l’ultimo sfogo, sotto lo sguardo commosso di Acidduzzu (che è la risposta più forte e commovente che si potesse dare), Cattani si alza dando l’addio al suo amico: «Per un po’ non ci vedremo. Devo andare lontano».
Si avvia dunque verso l’uscita, dove l’attendono i suoi assassini. Così lo descrive l’articolo del “Corriere della Sera”: «Percorre un lungo corridoio, in un silenzio irreale, scende le scale, tiene le mani nelle tasche di un eskimo verde, liso, ha gli occhi bassi. Ormai è in cortile. Si guarda intorno, sa che qualcosa sta per accadere. I killer lo aspettano, non si distinguono i loro volti. Sono lì, pronti a colpirlo: nascosti in due ambulanze, appostati sul tetto dell’ospedale, su una motocicletta. Cattani li sfida, non vuole più reagire: “Sono qua!”, grida. Le raffiche lo abbattono, cade riverso, la schiena appoggiata al muro dell’ospedale».
“La Piovra 4”, per chi non l’avesse mai vista, si trova su Raiplay; posso ipotizzare facilmente che chi inizierà a seguirla non riuscirà a staccarsene fino all’ultima puntata.
Chi volesse vedere il video di questo ultimo monologo-dialogo del commissario Cattani, per apprezzare la splendida interpretazione di Michele Placido, lo trova su Youtube al link https://www.youtube.com/watch?v=MhNhXwDKnUc.