Il pianeta degli orsi

Nell’agosto del 1982 ero andato a trovare a Molveno (in provincia di Trento) la mia “zita” ormai ufficiale, Silvana, che era lì in vacanza con i suoi. Io non ero mai stato in montagna, tanto meno sulle Dolomiti; e rimasi affascinato ed ammaliato dalla bellezza dei paesaggi, dalla cortesia e semplicità degli abitanti, dalla bontà dei cibi, dal clima meravigliosamente fresco.

Una mattina Silvana mi propose di fare a piedi il giro del lago; erano in tutto 13 km di sentieri con splendidi squarci panoramici, attraverso boschi ricchi di vegetazione; solo negli ultimi 5 km si entrava in un tratto di strada nazionale asfaltata. Scattammo delle foto, io girai alcune scene di un filmino super 8, non mancò una sosta ricreativa con relativo spuntino alla baita “Fortini di Napoleone”.

Mi è tornata in mente questa giornata felice leggendo ieri su “Repubblica” che, proprio in questo percorso, la scorsa settimana è accaduto un episodio spiacevole: “Sulle rive del lago di Molveno, ai piedi delle Dolomiti di Brenta, […] un’orsa accompagnata almeno da un cucciolo ha sfiorato una turista svizzera. La donna, avvistati gli animali a bordo strada, si era girata per proteggere i tre figli: mamma orsa aveva interrotto la carica, limitandosi a toccare gli abiti della turista prima di sparire nel bosco”. Si è trattato, precisa il rassicurante quotidiano, di un “attacco falso”, che va distinto dagli “attacchi veri” (definiti ottimisticamente “rarissimi” e che “non lasciano scampo alle persone”).

Nella stessa pagina viene data la notizia di un ben più grave episodio avvenuto martedì mattina, allorché un turista francese di 43 anni “è stato ferito da un orso mentre faceva jogging nel bosco, lungo il sentiero degli Scaloni” in località Naroncolo (Dro) nell’Alto Garda; lo sfortunato “runner” ha chiamato aiuto col cellulare, è stato soccorso e trasportato in elicottero all’ospedale S. Chiara di Trento; per fortuna ha solo riportato ferite a gambe e braccia, con venti giorni di prognosi. Anche in questo caso gli esperti formulano l’ipotesi che si sia trattato di un “falso attacco”, “teso a non uccidere, ma a allontanare il pericolo-uomo dai piccoli”.

I due episodi, fortunatamente, non hanno replicato quello ben più tragico avvenuto il 5 aprile 2023 a Caldes, in Valle di Sole, allorché il runner trentino Andrea Papi era rimasto ucciso da un’orsa, la famosa JJ4, ora rinchiusa.

In nessuno di questi casi, va detto chiaramente, le vittime si erano inoltrate imprudentemente in zone “proibite” all’uomo; anzi, in tutti i casi è avvenuto il contrario e gli orsi si erano inoltrati in centri abitati o comunque in prossimità di essi.

Nella stessa pagina di “Repubblica” viene pubblicato un prontuario che spiega che fare se si incontra un orso nel bosco (eventualità, come si vede, ormai tutt’altro che remota):

1) parlargli con calma;

2) agitare le braccia sopra la testa;

3) allontanarsi senza correre;

4) andare senza cani.

Certo, sembra surreale la scena di uno sventurato che, incontrando un orso, comincia a “parlargli con calma” (di che argomenti?), contestualmente agitando “le braccia sopra la testa” (maniera per lo meno strana di parlare) e al tempo stesso allontanandosi “senza correre”.

Cose da NON fare assolutamente sono invece:

1) correre (lui è più veloce);

2) arrampicarsi sugli alberi (lui lo fa meglio);

3) guardarlo negli occhi (lo considera una sfida);

4) lasciare cibo in giro (li attira).

In altre parole, meglio raccomandarsi alla bontà celeste e sperare in un miracolo o in un benevolo “attacco falso”, sperando che non diventi sin troppo “vero”.

La cosa surreale (ma surreale è ormai la nostra epoca) è che un problema del genere, accentuato dalla politica europea di “ripopolamento dei plantigradi sull’arco alpino”, è diventato un ennesimo terreno di scontro politico.

Il governatore leghista del Trentino, Maurizio Fugatti, è finito sotto scorta in seguito a minacce di morte da parte di sedicenti animalisti per aver autorizzato la provincia autonoma a uccidere “un massimo di 8 orsi ‘confidenti’ all’anno”. E mentre i partiti di destra invocano “immediate azioni concrete e risolutive per tutelare la vita dei cittadini, ponendo fine a un’emergenza sociale”, centrosinistra e ambientalisti invitano a “non cedere all’inutile logica del fucile”, denunciando “il gravissimo ritardo di aziende strutturate e di comunicazioni che favorirebbero la convivenza uomo-orso”. Se ne dovrebbe dedurre, semplificando (ma non troppo), che chi è di destra difende la vita umana e chi è di sinistra no??!!

In questo dibattito si inserisce il consulente scientifico della LAV (la Lega Anti Vivisezione, associazione ambientalista), che afferma (alla faccia dei poveri disgraziati rimasti feriti o uccisi dagli orsi): “Non è tollerabile che la responsabilità degli incidenti sia sempre addossata agli animali: spesso sono i nostri comportamenti ad esporci al rischio”. Come se passeggiare a pochi metri dal lago sia un comportamento irresponsabile e come se debba essere normale la scena di un orso che si aggira per un parcheggio gremito di auto di turisti in un centro abitato.

Il problema ha ripercussioni anche economiche: contadini e allevatori giovedì 11 hanno manifestato a Trento; e per il presidente regionale di Coldiretti, “la presenza non gestita di orsi e lupi è un problema serio con un impatto economico pesante”.

Che il mondo di oggi sia scivolato verso un animalismo estremo è comprovato da un altro episodio per lo meno curioso. Un esperto, consultato sul triste episodio della morte di un carabiniere di 52 anni del servizio scorte del tribunale di Palermo, avvenuta venerdì notte all’ospedale Cervello dopo il morso di un ragno violino, ha dichiarato che, se si trova in casa uno di questi micidiali animaletti, occorre “accompagnarli alla porta” e condurli fuori dall’abitazione (!!). Di schiacciare il ragno omicida manco a parlarne, ovviamente; sarebbe anche, in questo caso, una manifestazione di scarsa sensibilità (musicale?).

Intendiamoci.

Nessuno auspica l’abbattimento indiscriminato di orsi e animali pericolosi.

Nessuno può negare che esistano comportamenti umani dissennati che hanno assassinato l’ambiente e scardinato l’ecosistema.

Nessuno può dire che non ci siano scelte colpevoli che hanno causato e aggravato il problema (mancate segnalazioni di aree divenute a rischio, mancata attivazione dell’app per cellulari che dovrebbe indicare i luoghi ove si trovano femmine di orso con i cuccioli, ecc.).

Ma che si debba arrivare a leggere (specie nei commenti dei social) che le vittime sbranate dagli animali se la siano cercata e siano colpevoli di ciò che è loro capitato, è francamente poco digeribile.

Che fare, allora? “Repubblica” tra le proposte elenca “la dotazione di spray anti-orso a chi lavora in montagna e la ridefinizione Ue della direttiva Habitat, che tutela rigidamente orsi e lupi in quanto specie a rischio estinzione”.

Benissimo; purché non ci si dimentichi che a rischio estinzione sono anche tutti gli esseri umani che possono fare questi pericolosi incontri.

Episodi del genere mi ricordano il famoso film di fantascienza “Il pianeta delle scimmie” (1968), diretto da Franklin J. Schaffner, basato sull’omonimo romanzo scritto nel 1963 dall’autore francese Pierre Boulle e interpretato da Charlton Heston.

In quel film, il primo di una serie con numerosi sequel, le scimmie avevano sostituito gli uomini nel dominio sulla Terra.

La vicenda si prestava a serie riflessioni sulla violenza cieca del genere umano e sull’incapacità di gestire il progresso senza autodistruggersi; le scimmie infatti avevano sostituito gli uomini in seguito a un devastante conflitto nucleare.

L’immagine conclusiva, sconvolgente, dei ruderi della Statua della Libertà che emergevano da una spiaggia del pianeta era un potente monito contro la dissennatezza dell’umanità.

Però oggi, in questo mondo in cui la vita umana diventa oggetto di discussione e di sofismi, in nome di una tutela radicale dei diritti degli animali (negando i diritti degli uomini), mi torna in mente quel film in cui le scimmie tengono al guinzaglio gli uomini rendendoli loro schiavi.

Non vorrei che fossimo presto costretti a vivere, non senza preoccupazione, nel “pianeta degli Orsi”.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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