Altri tre vocaboli siculo-italiani

Continuiamo la rassegna di vocaboli ed espressioni del dialetto siciliano che vengono compresi e utilizzati anche nell’italiano regionale dell’isola e quindi nella conversazione quotidiana.

Eccone altri tre.

1) “Incudduriuni” – Da non augurare a nessuno, sono i “contorcimenti” di uno stomaco in subbuglio. Ad esempio, quando un siciliano ha ultimato uno dei suoi colossali pranzi (che sono il necessario contrappasso per i secoli passati di fame nera), spesso deve ricorrere a una Bivitasi per placare gli “incudduriuni” che lo tormentano. Il termine deriva dal verbo “’ncudduriari” che significa “attorcigliare, avvolgere” e rende alla perfezione l’immagine delle budella tormentate e contorte. In dialetto, “’ncudduriatu” è un nodo che non si riesce a sciogliere, ma anche (metaforicamente) un problema difficile da risolvere (come certe versioni appioppate dai docenti di Latino e Greco o come certi problemi di Matematica).

2) “Sconcertato” – In italiano è participio passato del verbo “sconcertare” e, detto di persona, significa “turbato, disorientato, sorpreso, sbigottito”. Completamente diverso è il valore che assume qui in Sicilia: “mi sento sconcertato” si dice quando si ha la nausea, quando si è mangiato qualcosa che ci ha fatto male, quando si ha il mal di mare. Lo “sconcerto” è una sensazione fisica fastidiosa, che provoca disagio e malessere (andando ben oltre il valore italiano di “turbamento, profondo disorientamento”).

In realtà l’affinità fra le due accezioni (italiana e siciliana) esiste, perché in entrambi i casi si tratta di un “disordine” che turba un equilibrio preesistente.

Va detto però che i due principali vocabolari siciliano-italiano (Mortillaro e Traina) non riportano la suddetta accezione di “nauseato”: Mortillaro spiega “sconcertàri” “all’italiana” (con “disordinare, turbare, confondere”), mentre Traina dà al verbo “scuncirtari” il valore di “far traviare la testa, innamorare” (“scuncirtatu” diventa quindi chi è “mezzo innamorato”). In questo caso, dunque, l’uso orale manca di un’attestazione ufficiale: ma confermo che tutti qui a Palermo capiscono benissimo quando uno dice “mi sento sconcertato” (se poi la nausea gliela abbia procurato qualche “mezzo amore” andato male, fatti suoi).

Una piccola variante può essere “mi sento schifiato” (che rende forse ancora meglio la nauseabonda sensazione di fastidio).

3) “Stulusu” – Lo “stulusu” (o “strurusu”) è una persona fastidiosa e scocciante, che tende a fissarsi testardamente su qualcosa rendendosi antipatico e (come si dice qui) “facendosi nuocere”; sua massima gioia è quella di cogliere le imperfezioni altrui, con un tono saccente e indisponente. Chi fa “una struruserìa” intende fare un dispetto agli altri, creando loro dei fastidi per il puro piacere di vederli nei guai.

Certo, esiste anche in questo caso un diminutivo-eufemismo: definire qualcuno “stuluseddu” (o “struruseddu”) attenua in parte la sua odiosità, senza peraltro esorcizzarla del tutto.

A difesa parziale degli “stulusi” va detto che tale epiteto si può anche affibbiare a chi pretende (pretesa assurda, da queste parti) di far rispettare puntualmente una regola, a chi vuole che una cosa si faccia assolutamente a norma di legge, a chi non tollera eccezioni e detesta la manica larga. Il fatto è che qui, se non si vuol essere “stulusi”, è meglio farsi i fatti propri.

Tanto basti per oggi: non vorrei risultare “stulusu” e provocare nei lettori domenicali qualche “incudduriuni”; e non auguro a nessuno di sentirsi “sconcertato” (anche se questo caldo asfissiante che tormenta la Sicilia fa davvero “sconcertare”).

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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