Altri quattro vocaboli siculo-italiani

Continuiamo la rassegna di vocaboli ed espressioni del dialetto siciliano che vengono compresi e utilizzati anche nell’italiano regionale dell’isola e quindi nella conversazione quotidiana.

Eccone altri quattro.

1) “Pacchione” – Si dice di persona grassa e corpulenta, con derivazione sicura dal greco “pachys” (παχύς), che voleva dire “grosso, robusto, vigoroso” (è attestato fin dall’Iliade a proposito di Menelao: “e prese l’asta con la mano forte”, δόρυ δ’ εἵλετο χειρὶ παχείῃ, X 31).

Il termine non ha nulla di spregiativo, anzi dimostra un’affettuosa simpatia per la persona che ha molti chili di troppo e che immancabilmente ama la buona cucina; quando poi si parla di un bambino o di un ragazzino, lo si definisce “pacchionello” con un sorriso (in dialetto “pacchiuneddu”, che Mortillaro nel suo improbabile italiano riferisce a un “ragazzetto carnacciuto”).

2) “Pillicuso” – Quando qualcuno è fin troppo preciso e pedante, rendendosi antipatico per la sua pignoleria e finendo per paralizzare ogni iniziativa, lo si definisce “pillicuso”, proprio perché caratterizzato da grande “pillicusarìa”. Come spiega infatti Roberto Alajmo nel suo breve ma interessante “Abbecedario siciliano” (Sellerio 2023), «il pillicuso (detto anche “appricùso”) è persona estremamente attenta alla forma, al punto da rendersi molesta, se non addirittura portatrice di immobilismo. […] A titolo di esempio: sebbene pillicuso sia chi pretende l’osservanza delle regole, spesso la burocrazia adopera proprio l’arma dell’estrema pillicusarìa per procurare la paralisi degli uffici pubblici». Riflessione divertente, in cui però sostituirei la proposizione finale (“per procurare”) con una strumentale (“procurando”), perché la burocrazia non ha la paralisi come fine, ma come mezzo.

3) “Preso dalla botta” – Espressione colorita, che si riferisce a chi è sotto l’effetto di uno shock improvviso (una brutta notizia, un incidente inaspettato, una sorpresa eclatante).

Il sito www.siculopedia.it ne dà una definizione dettagliata, ma alquanto riduttiva: «Stato fisico e mentale mattutino conseguenza di attività godereccia notturna svolta generalmente il giorno prima, che consiste nella sensazione che qualcuno ti abbia dato una martellata in testa provocandoti giramenti di testa. Tale stato tende a tenerti lontano da qualsiasi specchio poiché potrebbe incrinarsi, da qualsiasi alimento poiché potrebbe causarti reflussi gastrici, da qualsiasi individuo che abbia una tonalità di voce più alta di un sussurro». In realtà il “pigliato dalla botta” può anche essere innocente e alieno da ogni “attività godereccia”: la “botta” può colpire chiunque in qualunque momento; e che si resti in questi casi “pigghiati r’a buotta” o “ammammaluccùti” (come si dice da queste parti) è assolutamente normale.

4) “Turilla” –  Mortillaro nel suo vocabolario (1876) spiega molto minuziosamente il termine “turilla”: «neologismo plebeo, che equivale a bugia pregiudicievole [sic!], calunnia contro una o più persone, e capace di produrre un serio disturbo». Oggi l’espressione “attaccare turilla” si usa abitualmente per indicare qualcuno che fomenta una “sciarra” (cioè un furioso litigio), che provoca gli altri spingendoli a reagire, che fa perdere la pazienza ai santi: ad “attaccare turilla” può essere un piagnucoloso e dispettoso bambino, un condòmino suscettibile, un automobilista nevrotico, ecc.

Il termine è usato spesso da Andrea Camilleri: ad es. nel racconto “Ferito a morte” il commissario Montalbano, vittima di un “travolgente spinno” (cioè di un irrefrenabile desiderio) di pasta condita con il pesto alla trapanese, deve fare i conti con l’ostruzionismo della sua cameriera Adelina che, “per imperscrutabili ragioni”, si rifiuta di cucinargliela; allora un giorno nella sua casa di Marinella si cucina da sé la proibitissima pasta, “scialandosela” alla grande; alla fine «lavò accuratamente i piatti per non lasciare segno del pesto alla trapanese; se Adelina l’indomani se ne addunava capace che avrebbe attaccato turilla» (da “La paura di Montalbano”, ed. Mondadori 2002, p. 49).

Qui mi fermo: non vorrei risultare troppo “pillicusu”, inducendovi ad “attaccare turilla”; il fatto è che sono “preso dalla botta” per la contentezza, perché a Palermo piove: bisognerà festeggiare con un buon pranzo, a rischio di diventare “pacchione”…

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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