Chiuso per Turno

Turno, nella mitologia latina, è il re dei Rùtuli, antica popolazione dell’Italia centrale. Era ritenuto figlio di Dauno e Venilia e fratello della bellicosa Giuturna.

Nell’“Eneide” di Virgilio Turno è un giovane impulsivo e violento, al quale la zia Amata, moglie del re Latino, intende far sposare la figlia Lavinia; quando però Lavinia viene promessa in sposa ad Enea, che è sbarcato nel Lazio con i superstiti provenienti da Troia, Turno inizia un aspro conflitto con il rivale. Come è noto, il poema si conclude con il duello fra Enea e Turno e con la spietata uccisione di quest’ultimo da parte dell’eroe troiano.

Ora, non c’è dubbio che Turno non sia stato fortunato e che avesse più di un motivo di recriminare; tuttavia la sua sorte avversa continua tuttora, rendendolo di fatto un discriminato e uno sciagurato.

Basta leggere, andando in giro per i centri abitati, le innumerevoli scritte “CHIUSO PER TURNO”, che sono ancora peggio delle antiche scritte razziste nel Nord Italia (“Non si accettano cani e meridionali”), dato che qui la discriminazione risulta personalizzata e assolutamente intransigente.

Per gli altri un negozio, un ufficio, un locale è aperto; per Turno, invece, è immancabilmente chiuso.

Vengo anch’io: no, tu no.

Vero è che, a volte, c’è chi Turno lo cerca.

Infatti, se ci si reca in uno degli innumerevoli uffici pubblici dove si fa la fila (la posta, il catasto, gli uffici comunali, l’agenzia delle entrate, le strutture sanitarie, ecc.), quando qualcuno arriva e trova una massa enorme di persone in fila, in attesa di essere ricevute, immancabilmente chiede: “C’è Turno?” (anzi, qui a Palermo: “Turno c’è?”).

La risposta è in genere positiva; ma qui a Palermo domina spesso il “Turno fisico”, in carne e ossa, quasi a riesumare l’antico guerriero, rimandandolo in campo contro i mulini a vento della burocrazia e contro chi tenta di insidiare la nostra posizione nella fila.

Esiste anche un’espressione idiomatica apposita, “mettersi a Turno”, che idealizza il nostro eroe rendendolo tutore di un ordine, fisico e mentale, spesso difficilmente realizzabile.

Infine Turno, nella coscienza collettiva, viene spesso moltiplicato e trasformato in migliaia di entità che ognuno può fare sue: “è il mio Turno”, infatti, è il grido di gioia più straordinario che uno sventurato in attesa da ore (se non da mesi) può lanciare al cielo.

Forse, in questo modo, lo sfortunato e discriminato eroe rùtulo viene in parte compensato per il modo violento in cui perse la vita, ucciso da un Enea molto meno pio del solito: “Nel dir questo, gli affonda furiosamente la lama / in mezzo al petto; a quello le membra si sciolgono / nel gelo, e la vita in un rantolo fugge adontata fra le ombre” (“vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras”, “Eneide” XII 948-950, trad. Sermonti).

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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