Callimaco di Cirene (III sec. a.C.) costituisce, nella storia della letteratura greca, ma anche della letteratura occidentale, un punto di non ritorno: con lui si infrangono gli schemi tradizionali, vengono modificati o rinnovati i generi letterari, viene creata un’arte dotta ed erudita, lontana dai temi politici e civili; con lui nascono le polemiche letterarie, gli scontri fra intellettuali, i “manifesti” di poetica che si contrappongono alle obsolete concezioni dei rivali; con lui la Musa “leggera” (in greco “leptòtēs”, λεπτότης), conseguita attraverso la “brevitas” e la cura formale (l’“ars” dei Latini), diventa emblema di un nuovo modo di fare letteratura in un contesto nuovo, caratterizzato dalla fruizione libresca dei testi da parte di poche persone dotte e competenti (i cosiddetti “synetòi”, συνετοί, “quelli che capiscono”).
L’opera fondamentale del poeta fu il suo poema “Le cause” (“Àitia”, Αἴτια), che inaugurò il genere “eziologico”, cioè la ricerca erudita di “cause”, origini e motivazioni di culti, riti, usi, costumi, istituzioni, monumenti, leggende, ecc.
A Callimaco sono anche attribuiti sessantrè epigrammi, quasi tutti conservati nell’“Antologia Palatina”, di argomento vario e legati alle varie tipologie del genere (ad es. epigrammi erotici, simposiali, sepolcrali, letterari). In questo settore della produzione callimachea si sono voluti trovare accenti più sinceri, ritenuti insoliti in questo poeta spesso freddamente erudito e “oggettivo”: pur non potendosi escludere questa opinione, l’impressione prevalente resta però quella di una scrittura “arte-fatta”, in cui una latente ironia e l’eccessivo “background” culturale limitano inevitabilmente l’esternazione radicale dei sentimenti.
Come esempio, si può esaminare l’epigramma V 6, in cui il poeta dimostra come i giuramenti d’amore siano destinati ad essere infranti: il giovane Callignoto aveva giurato alla sua Ionide che non avrebbe mai amato nessuno/nessuna più di lei, ma ora brucia d’amore per un ragazzo e ha scordato la povera fanciulla.
Ecco anzitutto il testo originale dell’epigramma, seguito da una mia traduzione:
Ὤμοσε Καλλίγνωτος Ἰωνίδι μήποτ’ ἐκείνης / ἕξειν μήτε φίλον κρέσσονα μήτε φίλην. / Ὤμοσεν· ἀλλὰ λέγουσιν ἀληθέα τοὺς ἐν ἔρωτι / ὅρκους μὴ δύνειν οὔατ’ ἐς ἀθανάτων. / Νῦν δ’ ὁ μὲν ἀρσενικῷ θέρεται πυρί, τῆς δὲ ταλαίνης / νύμφης ὡς Μεγαρέων οὐ λόγος οὐδ’ ἀριθμός.
«Ha giurato Callignoto a Ionide:
non avrà mai nessuno
più caro di lei,
né amico né amica.
Sì, ha giurato; ma dicono (ed è vero)
che i giuramenti d’amore
non entrano nelle orecchie
degli dèi immortali.
Ora lui brucia,
infuocato d’amore
per un ragazzo.
E della povera ragazza
non gli importa più niente,
proprio come si fa con i Megaresi».
Il componimento sviluppa un luogo comune dell’epigramma erotico, cioè il giuramento d’amore (ἀφροδίσιος ὅρκος).
Per i Greci tale giuramento era sacro, poiché Zeus ne era testimone e garante; in caso di spergiuro, il dio avrebbe vendicato l’offesa arrecata al partner “tradito”. Ma non mancavano eccezioni alla regola, eccezioni introdotte anzitutto proprio dallo stesso Zeus; questi, infatti, come si legge in un frammento di Esiodo, dopo essersi unito ad Io, giurò ad Hera di non averlo fatto: «per questo dice Esiodo che i giuramenti di amore non determinano lo sdegno degli dèi» (fr. 124 M. W., trad. Colonna).
L’idea della vanità dei giuramenti pronunciati dagli innamorati era così diffusa da essere diventata un proverbio, citato anche nel Simposio di Platone: “dicono che non esiste giuramento d’amore” 183b, ἀφροδίσιον γὰρ ὅρκον οὔ φάσιν εἶναι).
Callimaco riprende dunque un tema tradizionale, creando una poesia molto ricercata, come dimostra la presenza di raffinati espedienti stilistici, evidenti nel testo originale: la ripetizione (“anafora”) del verbo “ha giurato” (ὤμοσε), rafforzata anche dalla posizione all’inizio dei vv. 1 e 3; l’assonanza (“paronomasia”) “amico/amica” (φίλον… φίλην, v. 2); la metafora del fuoco per indicare l’amore, frequente nella letteratura greca già a partire dall’età arcaica; la scelta del nome “Ionide” (Ἰωνίς), che potrebbe essere un’allusione ad Io, menzionata nel citato frammento esiodeo.
Sembra che il momento di massima intensità emotiva si raggiunga nell’ultimo distico, con il riferimento alla “povera ragazza” (τῆς δὲ ταλαίνης / νύμφης); ma l’ultimo verso inserisce una nota ironica sulla considerazione pari a zero di cui gode ormai la fanciulla, con la citazione di un proverbio (estraneo al contesto erotico) che mira a ridurre il pathos. Esisteva infatti un’espressione proverbiale per indicare che qualche cosa era “tenuta in nessun conto”: infatti ai Megaresi, che avevano consultato l’oracolo di Delfi per sapere che posto essi occupassero fra i popoli greci, la Pizia rispose: “Voi, o Megaresi, non siete né al terzo posto né al quarto né al dodicesimo ma fuori del computo” (scolio a Teocrito XIV 8). I megaresi dunque, nella considerazione dei loro connazionali, contavano meno del due di briscola…
Quanto alla contrapposizione tra il precedente amore eterosessuale e la nuova passione omosessuale di Callignoto, qui si ha anche un preciso schema letterario, di cui si coglie un’eco nel seguente epigramma di Meleagro di Gàdara (II-I sec. a.C.): «Scatena Cipride fuoco d’amore/ per le femmine ed Eros per i maschi. / A chi mi volgerò? Al figlio o alla madre? / So che la stessa Cipride dirà: “Vince il fanciullo audace”» (A. P. XII 86, trad. Quasimodo).
A questo epigramma di Callimaco si ispirerà il poeta latino Catullo, che nel carme LXX riprenderà lo stesso motivo anche se con toni molto più seri, alludendo alle fallaci dichiarazioni d’amore della sua Lesbia: «Nulli se dicit mulier mea nubere malle/ quam mihi, non si se Iupiter ipse petat./ Dicit; sed mulier cupido quod dicit amanti/ in vento et rapida scribere oportet aqua» (“La mia donna dice di non voler fare l’amore con altri,/ se non con me, neppure con Giove, se la corteggiasse./ Dice così; ma quel che la donna dice all’amante folle di passione/ bisogna scriverlo sul vento, sull’acqua che scorre veloce”, trad. Della Corte).