Un’antica storia d’amore genovese: l’ “amore perfetto” di Tommasina e del re di Francia

Nel cuore del centro storico di Genova, a pochi passi da Campetto e piazza Banchi, vicino alla Chiesa di Santa Maria delle Vigne, esiste una piccolissima piazzetta cui si accede da uno stretto vicolo: vicolo e piazza si chiamano entrambi “dello Amor Perfetto”.

Secondo alcuni il nome deriverebbe dalle attività di prostituzione che lì si sarebbero svolte in passato; altri, al contrario, ricordando la presenza in loco di un’immagine della Madonna, hanno supposto che il nome potesse alludere all’amore divino ed avere quindi una valenza religiosa. Ma per la maggioranza degli interpreti l’origine del nome è diversa e suggestiva, poiché deriverebbe da una bella e struggente storia d’amore, che risale agli inizi del XVI secolo.

Il 26 agosto 1502, in una giornata molto calda, il re di Francia Luigi XII di Valois-Orléans entrò a Genova, accolto trionfalmente. Si trattava di una visita diplomatica per persuadere i genovesi ad appoggiarlo nella guerra contro la Spagna; il re soggiornò nella città ligure per una decina di giorni, cogliendo l’occasione anche per visitare gli “scrofolosi” che, secondo le credenze del tempo (risalenti al medioevo), i re potevano “guarire”.

Luigi XII re di Francia (1462-1515)

Luigi XII di Valois-Orléans, nato a Blois quarant’anni prima, era salito al trono alla morte di Carlo VIII, che era deceduto il 7 aprile 1498 senza lasciare eredi. Dopo una lunga trattativa con papa Alessandro VI, aveva ottenuto lo scioglimento di un precedente matrimonio con Giovanna di Valois (donna pia ma disabile) e aveva sposato la vedova di Carlo VIII, Anna di Bretagna, poco più che ventenne. Nel 1499-1500 aveva intrapreso una spedizione in Italia, conquistando il ducato di Milano.

Nonostante fosse legittimamente coniugato, il re di Francia era un ammiratore delle belle donne; non a caso al suo arrivo a Genova, le gran dame della città fecero a gara per attirare la sua attenzione.

In onore del re fu preparato uno sfarzoso ricevimento nella villa di Francesco Cattaneo a Terralba, l’attuale Villa Imperiale (secondo altre fonti, nella villa Fieschi di Carignano).  La carrozza del sovrano, accompagnata da un lungo corteo con la nobiltà locale, entrò nella villa salutata dalla folla festante. Iniziarono le imbandigioni, le danze, le conversazioni.

A un certo punto, come narra il cronista ufficiale Jean d’Auton (fonte quindi molto attendibile), l’attenzione del sovrano fu attirata dall’arrivo di una donna di meravigliosa bellezza: «Et, entre autres, fut la une dame genevoise, nommèe Thommasine Espinolle, l’une des plus belles de toutes les Italles». Il re chiese subito chi fosse e apprese che si trattava di Tommasina Lomellini, figlia del nobile e ricco Ambrogio e sposa del marchese Giovanni Battista Spinola di San Luca: aveva allora 27 anni.

Da quel momento, per tutta la festa, Luigi XII dimenticò del tutto le altre donne e si intrattenne costantemente con Tommasina, scoprendo in lei – oltre alla bellezza – una profonda cultura artistica e filosofica; i due danzarono insieme per tutto il tempo della festa, fino a tarda notte.

Dopo quel primo incontro, Tommasina chiese al re di “regolarizzare” il loro rapporto agli occhi del mondo, non pensando minimamente a un divorzio, ma chiedendo al re di diventare la sua “intendyo”, termine genovese che indicava un vincolo affettivo di carattere platonico (riconducibile in qualche modo agli antichi canoni dell’amor cortese): “qui est a dire accointance  honnourable et amyable intelligence”, come scrive d’Auton, cioè “conoscenza onorevole e amichevole comprensione”; il vocabolo è noto anche a Boccaccio (che lo cita nella novella di fra’ Rainaldo e madonna Lisetta) e a Matteo Bandello (novella XXVI).

Come spiega  Gianfranco Bettin Lattes, «L’intendyo è l’assunzione concordata di un impegno affettivo reciproco ed esclusivo – forse non del tutto corretto perché entrambi erano legati da un vincolo matrimoniale solido – con un’altra persona, ma comunque non del tutto disancorato dalla cultura amorosa del tempo, così come si viveva nella Genova aristocratica che ammette una specie di devozione affettuosa anche con il consenso del coniuge che, in questo modo, è parte consapevole di un triangolo sentimentale. L’intendyo non prevede una dedizione amorosa completa e soprattutto un incontro sul piano fisico» (“Un caso d’amour fou nella società aristocratica genovese del secolo XVI”, SocietàMutamentoPolitica, 2011, vol. 2, n. 4, pp. 144-145).

Il re “cristianissimo” accettò la proposta di Tommasina. Non sappiamo invece come l’abbia presa il marito di Tommasina (quanto alla moglie del sovrano, era lontana e ignara): certo dovette inchinarsi alla volontà regale se non a quella di sua moglie. A quanto pare, a suggello dell’intesa raggiunta, il re donò a Tommasina un cofanetto prezioso contenente un nastro di seta con i suoi colori, mentre lei ricambiò con un anello con cammeo.

Lodovico Domenichi (umanista piacentino) racconta nel suo “Dialogo sui rimedi d’amore” un ulteriore incontro fra i due innamorati (che fu anche l’ultimo): ai primi di settembre del 1502, al momento della sua partenza da Genova, Luigi volle rivedere Tommasina e si appostò sotto le sue finestre, per avere conferma della sua bellezza e dei suoi sentimenti («per non essere, come molti altri, ingannato dalle arti et malitie domestiche, disegnò di volerla cogliere alla sprovvista sì che ella non havesse agio, né comodità di lisciarsi, et con arti ciò accrescere la sua naturale bellezza», Dialoghi, Venezia 1562, p. 120). La conferma fu totale: «Et passando con tutta la sua corte dalla casa di lei, che era ancora nel letto a lato del marito, et fattala chiamare in fretta, et venuta alla fenestra, conobbe fermamente che chi l’haveva lodata et datole titolo di bellissima donna non havea punto mentito; anzi confessò che la fama di lei era assai minore del vero. Et di ciò fu certissimo, perché cogliendola all’improvviso, non le haveva dato spatio d’immascherarsi».

Tuttavia quell’“appostamento” finì per spezzare qualcosa nel difficile equilibrio emotivo di Tommasina: Jean d’Auton scrive che la donna riteneva di aver ricevuto, con quel legame di “intesa”, “tutto l’oro del mondo” (“tout l’or du monde”); aggiunge poi che da quel momento non volle più andare a letto con suo marito. Non solo: finì per abbandonare il tetto coniugale, ritirandosi in un’umile dimora (vicino al porto, nella zona della Maddalena tra l’attuale piazza Banchi e piazza Soziglia), in compagnia della propria nutrice. Si trattò di una specie di volontaria clausura, consolata solo in parte dal successivo scambio epistolare con il re (uno scambio di cui però a noi non resta alcun documento).

Nel 1505 giunse a Genova la notizia della morte del re di Francia, che sarebbe avvenuta nel suo castello di Blois in seguito a una forte depressione, provocata a sua volta dalla sconfitta subìta a Cerignola contro gli Spagnoli (1503); secondo altre fonti, la morte sarebbe stata provocata invece da un morbo misterioso (ma non troppo, cioè la sifilide, a testimonianza del fatto che il re non aveva rinunciato alle sue avventure erotiche…).

Si trattava in realtà (come si direbbe oggi) di “fake news”: Luigi era soltanto malato e poi guarì. Ma per Tommasina fu un colpo terribile; disperata, si chiuse nella sua camera e si lasciò morire di fame: «È inerte, incapace di una qualsiasi reazione fosse anche la decisione estrema del suicidio. Entra in un clima di auto-annientamento progressivo: la sola via di uscita per lei sarà una lenta graduale rinuncia a vivere. Fa addobbare con panni scuri la sua stanza, si sdraia sul letto e da lì non si alzerà più. Questo tuffo profondo nel nulla, si accompagna ad un deperimento rapido dovuto anche al rifiuto di ogni cibo e di ogni bevanda: nel giro di pochi giorni, otto per la precisione secondo la narrazione di d’Auton, Tommasina muore “par laxès de melen colye”» (G. B. Lattes, art. cit., pp. 148-149).

Alla metà di agosto del 1505, Luigi XII apprese la notizia della morte di Tommasina da alcuni ambasciatori genovesi, venuti espressamente per comunicargliela. Ne fu profondamente addolorato e chiese al suo cronista Jean d’Auton di scrivere un lungo “Compianto” (che ci è pervenuto) per la sua “intendyo” (374 versi, compresi un epitaffio e un “regret du roy”). Nel “Regret” il sovrano rimprovera la Morte spietata, che gli ha tolto prematuramente la sua amica devota, che era ancora “nella primavera della sua età fiorente; bella, buona, saggia, ricca e discreta” («au le printemps de son florissant age, Belle, bonne, sage, riche et discrète”). Inviò poi il Compianto a Genova, affinché fosse sepolto insieme al corpo della donna.

La salma dell’infelice donna subì però molte traversie: fu dapprima tumulata nell’abbazia suburbana di S. Nicolò del Boschetto, poi traslata nella chiesa gentilizia degli Spinola (S. Luca) e poi riportata al Boschetto in seguito a tentativi di profanazione perpetrati durante la rivolta antifrancese del 1507.

L’abbazia di San Nicolò del Boschetto, più nota come badia del Boschetto, si trova nel quartiere genovese di Cornigliano

Proprio nel 1507 il re francese tornò a Genova, stavolta da nemico, dopo la repressione della rivolta genovese capeggiata dal doge Paolo da Novi, che fu giustiziato il 10 luglio con orribile crudeltà (gli fu tagliata la testa, che fu appeso alla Torre Grimaldina, mentre il corpo fu squartato in quattro pezzi, che furono esposti come monito per il popolo alle quattro porte della città: Sant’Andrea, porta di Vacca, dell’Arco e di San Tomaso); decisamente in campo politico Luigi XII era ben poco romantico…

Prima di lasciare Genova, però, questo re spietato, travestito da frate, si inginocchiò sui gradini della cappella di San Nicolò dell’Abbazia del Boschetto e si recò sulla tomba di Tommasina; volle poi vedere, in città, il luogo dove lei aveva abitato nell’ultimo periodo della sua vita; e proprio qui pronunciò la famosa accorata frase: “Poteva essere un amore perfetto”. Da qui sarebbe derivato il nome al vicolo e alla piazza, che oggi si chiamano entrambi “dello Amor perfetto”.

Va detto che gli eventi successivi al 1502 risultano confusi e leggendari, poiché incorsero in una sorta di “damnatio memoriae” quando nel 1528 Genova entrò nell’orbita spagnola, per cui le notizie su Tommasina (considerata una “collaboratrice” dell’ormai odiato regime francese) e sulla sua sepoltura furono “censurate” drasticamente.

Luigi XII rimase vedovo nel gennaio del 1514; dopo la morte di Anna di Bretagna, si sposò per la terza volta pochi mesi dopo, ormai cinquantenne, il 9 ottobre 1514, con la giovanissima Maria Tudor d’Inghilterra, sorella di Enrico VII. Ma, come si è detto con un po’ di ironica malignità, «la luna di miele spossante con questa giovane seducente, tutt’altro che malinconica, agevolerà il suo trapasso a miglior vita il 1° gennaio 1515» (G. B. Lattes, art. cit., p. 152).

Ben più a lungo visse il marito di Tommasina, Battista Spinola, che dopo la morte della moglie proseguì la sua attività di mercante e divenne Doge della Repubblica genovese nel 1531; si risposò con una giovane nobildonna, Maria De Marinis, che gli diede anche una figlia, ma conservò sempre un appassionato ricordo della prima moglie. Morì a 66 anni il 30 agosto 1539 nel suo feudo di Belforte Monferrato, nell’Appennino ligure ovadese; volle essere sepolto accanto a Tommasina nell’Abbazia di San Nicolò del Boschetto, ove si trova ancora la sua sepoltura. E qui, sul gradino che dà accesso alla cappella di famiglia, si legge «hic una cum Tomasina priore coniuge quiescit»; tuttavia delle spoglie di Tommasina non si è mai più trovata traccia.

La tomba di Battista Spinola nell’Abbazia di San Nicolò del Boschetto

Ma il viso di Tommasina si è salvato dall’oblìo: lo si può ammirare nella Pala di Ognissanti in Santa Maria di Castello, opera del pittore Ludovico Brea, ultimata nel 1513 su committenza di Teodorina Lomellini; Tommasina vi è raffigurata con sua madre, committente del quadro, e con suo fratello.

Particolare della Pala di Ognissanti di Ludovico Brea. A destra si vede la committente Teodorina Spinola, che ha il capo velato di bianco; alle sue spalle, di profilo, il figlio e la figlia Tommasina.
Dettaglio del volto di Tommasina Lomellini Spinola
La Pala di Ognissanti di Ludovico Brea (S. Maria di Castello, Genova)

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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