In questo mese di aprile 2025 intendo commemorare mio padre, il Maestro Salvatore Pintacuda (Bagheria 1916-1995), in occasione dell’imminente trentesimo anniversario della sua morte. Dedicherò quindi alcuni articoli al suo ricordo, cogliendo al tempo stesso l’occasione (spero) per offrire momenti di lettura interessanti.
Dopo la guerra (in cui aveva combattuto per tre anni in Corsica e in Sardegna), dal 1946 al 1950 mio padre fu critico musicale del “Giornale di Sicilia”; dal ‘48 al ‘50 fu anche critico musicale alla RAI (stazione regionale della Sicilia). I suoi articoli, che spesso uscivano anche sul supplemento domenicale del “Sicilia”, comprendono, oltre che recensioni degli spettacoli musicali palermitani, una serie di articoli divulgativi, che narravano aneddoti curiosi legati a insigni musicisti.
Qualche titolo: “Verdi bocciato. Uno storico esame ed un giudizio troppo frettoloso” (10 giugno 1945) – “Paisiello prende moglie. 1800 ducati che sfumano. Denunce, ricorsi e querele. Le fauste nozze in prigione” (1° luglio 1945) – “Parabola delle canzonette” (19 agosto 1945) – “Quelli del loggione” (7 ottobre 1945) – “Bizzarrie musicali vecchie e nuove” (2 dicembre 1945) – “Piccola storia del jazz” (6 gennaio 1946) – “Grandezza e decadenza del fonografo” (9 giugno 1946) – “Una storia d’amore di Franz Liszt” (8 settembre 1946) – “Fiasco del Mefistofele di Boito” (10 novembre 1946) – “Bellini al monastero di S. Caterina” (24 novembre 1946) – “La notte dell’Innominato. Un poema sinfonico che verdi sognò di scrivere ma non scrisse” (19 gennaio 1947) – “Butterfly rinnegata e felice” (16 febbraio 1947).
Riporto oggi quest’ultimo articolo, in cui viene narrato il catastrofico debutto della “Madama Butterfly” di Giacomo Puccini, che avvenne il 17 febbraio 1904 al Teatro alla Scala di Milano. Nonostante la protagonista fosse interpretata dalla soprano Rosina Storchio, allora quanto mai in auge, e nonostante la direzione fosse affidata al bravissimo Cleofonte Campanini, il “fiasco” fu assoluto. Ecco come viene rievocato questo clamoroso flop.

La composizione dell’opera, procede alacremente e con ritmo febbrile. Puccini è proprio innamorato della sua piccola Butterfly: la giapponesina è diventata ormai la sua creatura prediletta. Il tenero candore di Cio-cio-san, ia sua fedeltà d’innamorata tradita che non sa sopravvivere all’angoscia del disinganno, lo avvincono e lo commuovono sempre più; e vedendo, nel furore dell’estro creativo, le pagine accumularsi vertiginosamente le une sulle altre, benedice quasi quella sciagurata frattura alla gamba sinistra – prodotta da un incidente automobilistico – che, vietandogli di recarsi a caccia, lo tiene immobilizzato giorno e notte a tavolino.
La sera poi il Maestro chiama attorno a sé cacciatori, traghettatori, boscaioli, tutti i suoi carissimi amici di Torre del Lago e li trattiene fino a tarda ora, non per favellare come prima, al roseo spumeggiare del vino e alla fiamma del ciocco, delle immense stragi di folaghe e colombacci, bensì per far sentire loro le fresche melodie composte durante la giornata. E mentre Puccini suona e canta con voce tremula e commossa, quella musica pervasa di sottile malinconia e d’intensa drammaticità, i palpiti e l’umano tormento della piccola Butterfly prendono il cuore di tutti: “Giacomo, la tua musica è divina! – Queste pagine ti renderanno immortale! – Non è possibile che qualunque pubblico, anche il più ostilmente prevenuto, possa resistere a tanto strazio. – Io ci metto la mano sul fuoco: sarà un trionfo strepitoso».
Niente trionfo; son fischi, proteste e risa di scherno.
Alle prove non si sarebbe proprio detto: regnava un’atmosfera di fiducia e di entusiasmo; tutti eran d’accordo nel prevedere un lieto successo. Rosina Storchio, la protagonista, nelle scene culminanti aveva i singhiozzi nella voce, Tito Ricordi, direttore dell’allestimento scenico, Illica e Giocosa, i due librettisti, appiattati nelle poltrone si asciugavano di nascosto gli occhi lustri di pianto, mentre Giacomo, reggendosi con un bastone sulle gambe ancora malferme, girava come una trottola dal palcoscenico in orchestra, dall’orchestra in platea e, leggendo in ogni viso l’interna commozione, sentiva allargarsi l’animo alle più rosee speranze.

Ma quella sera del 17 febbraio 1904 il Pubblico della Scala è irrequieto, tumultuoso ed accigliato come un nuvoloso cielo autunnale che non sa ancora cosa promettere tra il bello ed il cattivo tempo; e già dopo le prime scene la tempesta è nell’aria. Comincia una voce dal loggione: “Questa l’abbiamo sentita: è la Bohème!”. Altre voci fanno eco: “Bohème, Bohème, la conosciamo già! – È la solita minestra, ne siamo stufi! – Smettetela! – Silenzio!”.
Il primo atto è lunghissimo e il pubblico, distratto, comincia ad annoiarsi e ad ammusonirsi. Quando scende giù il velario si odono pochissimi applausi e molti zittii.
Puccini, nervoso, fuma una sigaretta dietro l’altra, la Storchio è desolata, Tito Ricordi, impassibile, cerca di rincuorare tutti: “Coraggio, ragazzi! Ora si sono già sfogati; al secondo atto riusciremo a commuoverli, questi dannati!”
Al secondo atto invece scoppia il temporale. Gli accaniti nemici di Puccini sono fermamente decisi a sabotare ogni scena e prendono pretesto da qualsiasi occasione per far gazzarre, schiamazzi e tumulti indiavolati. La celebre romanza «Un bel di vedremo», cantata dalla Storchio con appassionato fervore, è accolta alla fine con il solito ritornello: “Bohème, Bohème!”; il coro a bocca chiusa passa tra la più glaciale indifferenza; il cinguettio degli uccelli che saluta il sorgere del sole sulla collina di Nagasaki suscita nel loggione un coro di latrati, chicchiricchì, grugniti, ragli d’asino, muggiti di mucche, come se in quell’alba giapponese si risvegliasse tutta l’arca di Noè; il suicidio non desta alcuna commozione, Butterfly muore in un furore di fischi.
Il pubblico dopo lo spettacolo esce dal teatro soddisfatto: “Che bel fiasco! – Una baraonda dal principio alla fine! – Come si osa presentare al pubblico una simile porcheria? Per me Puccini ha già detta la sua ultima parola!”.
L’ultima parola che Puccini dice agli amici che l’accompagnano taciturni a casa è invece di fede e di speranza: “Io sono sereno e sicuro, la mia coscienza d’artista è tranquilla. Butterfly è viva e vera: presto risorgerà”.
E così avverrà, con una clamorosa rivincita, al teatro Grande di Brescia, il 28 maggio dello stesso anno, presenti letterati, musicisti, artisti e tutti i maggiori critici d’Italia
SALVATORE PINTACUDA
L’articolo, benché di chiara intenzione divulgativa, si basava su ricerche accurate e su fonti di prima mano.
In queste righe si coglie una scrittura volutamente enfatica, che intende sottolineare ironicamente il clima paradossale di quella serata. I personaggi risaltano pienamente nei loro atteggiamenti: Rosina Storchio che ha “i singhiozzi nella voce”, i librettisti che “si asciugavano di nascosto gli occhi lustri di pianto”, Puccini frenetico che gira “come una trottola dal palcoscenico in orchestra, dall’orchestra in platea”;il pubblico “irrequieto, tumultuoso ed accigliato come un nuvoloso cielo autunnale che non sa ancora cosa promettere tra il bello ed il cattivo tempo”. Il “temporale” esplode al secondo atto, quando “il cinguettio degli uccelli che saluta il sorgere del sole sulla collina di Nagasaki suscita nel loggione un coro di latrati, chicchiricchì, grugniti, ragli d’asino, muggiti di mucche, come se in quell’alba giapponese si risvegliasse tutta l’arca di Noè”.
La lettura scorre piacevole, fino al finale rasserenante, che preannuncia il futuro successo (che dura ancora in tutto il mondo) del capolavoro pucciniano.
Una conseguenza del fiasco milanese tuttavia ci fu, dato che, finché Puccini visse, nessun’altra delle sue opere venne data in prima assoluta alla Scala.
“E ancor l’irata / voce mi maledice…
Butterfly rinnegata… / rinnegata… e felice” (dal libretto dell’opera)
7 aprile 2025
