“Un giorno dopo l’altro” di Luigi Tenco

Luigi Tenco compose nel 1966 una bella e struggente canzone intitolata “Un giorno dopo l’altro”, che diventò la sigla di apertura della seconda serie dello sceneggiato RAI “Le inchieste del commissario Maigret”. Il brano, accompagnato da una melodia dolce e malinconica, si distingue per la profondità poetica del testo, che riflette una visione disillusa e tragica dell’esistenza.

Eccone il testo: «Un giorno dopo l’altro / il tempo se ne va / le strade sempre uguali / le stesse case. / Un giorno dopo l’altro / e tutto è come prima: / un passo dopo l’altro / la stessa vita. / E gli occhi intorno cercano / quell’avvenire che avevano sognato, / ma i sogni sono ancora sogni / e l’avvenire è ormai quasi passato. / Un giorno dopo l’altro / la vita se ne va. / Domani sarà un giorno uguale a ieri. / La nave ha già lasciato il porto / e dalla riva sembra un punto lontano. / Qualcuno anche questa sera / torna deluso a casa piano piano. / Un giorno dopo l’altro… / la vita se ne va. / E la speranza ormai è un’abitudine»

Il poeta (non mi sento di definirlo diversamente) presenta una vita grigia, che riproietta lo stesso identico film “un giorno dopo l’altro”: «le strade sempre uguali, / le stesse case»; intanto «il tempo se ne va», ma «tutto è come prima», sempre «la stessa vita». Immobilità assoluta in un contesto ripetitivo e privo di senso.

E l’avvenire che, leopardianamente, ci si immaginava?

E lo splendido futuro tante volte sognato?

Niente, «i sogni sono ancora sogni» e «l’avvenire è ormai quasi passato». Inutile, allora, farsi illusioni e sperare che qualcosa possa mai cambiare: «domani sarà un giorno uguale a ieri». Inevitabilmente, istante dopo istante, «la vita se ne va» (con una minima “variatio” che costituisce un’aggravante rispetto all’inizio, dove era “il tempo” a fuggire via).


Luigi Tenco, nato in provincia di Alessandria, fin dall’età di dieci anni era vissuto a Genova: e Genova è città di mare, di mare veramente vissuto, ascoltato, condiviso. Il mare, lì, te lo porti dentro perché sai che fa parte comunque di te. E proprio dal mare viene un’altra immagine allusiva, quella della nave che «ha già lasciato il porto», che ormai «dalla riva sembra un punto lontano»: è la nave dei sogni, delle speranze, di quel futuro che non è mai diventato un presente ed è rimasto una vana, utopistica immaginazione del passato.

Un’altra giornata inutile, fotocopia sempre più sbiadita delle altre, è archiviata. E nella sera di quell’inutile giorno, «qualcuno… torna deluso a casa piano piano». Si cammina piano, svuotati e privi di motivazioni, quando si è stanchi di tutto.

Dunque, «un giorno dopo l’altro / la vita se ne va», mentre «la speranza ormai è un’abitudine», un rituale stanco e inefficace.

Questo senso di stagnazione e di attesa vana ricorda le poesie di Cesare Pavese, autore molto amato da Tenco, che nelle sue opere esprimeva un’analoga inquietudine esistenziale. In particolare, la riflessione amara sulla speranza come abitudine trova un parallelo diretto nei versi di Pavese, in cui la speranza viene vista come qualcosa che, alla fine, si rivela essere sia la vita che il nulla: “O cara speranza, / quel giorno sapremo anche noi / che sei la vita e sei il nulla” (da “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”).

Sul piano stilistico, “Un giorno dopo l’altro” si inserisce nella tradizione della canzone d’autore italiana, ma si segnala per una sensibilità melodica che guarda anche al jazz e alla “chanson” francese, che erano parte integrante della formazione musicale di Tenco.

La struttura della canzone è lineare, con strofette che si susseguono senza grandi variazioni, nell’intento di sottolineare la ripetitività della vita descritta nel testo. L’armonia, benché semplicissima, è accurata e funzionale: si alternano accordi minori e maggiori che accompagnano la voce senza mai sovrastarla, lasciando spazio alla dolente espressività dell’interprete; questa scelta armonica contribuisce a trasmettere una sensazione di staticità, ma anche di profondità emotiva.

L’arrangiamento è essenziale e raffinato: la strumentazione, tipica della musica leggera italiana del periodo, è sobria; gli archi accompagnano i momenti più intensi del brano, mentre la base ritmica è attenta a non turbare la narrazione intima della canzone. La voce di Tenco è sempre in primo piano, interpretando il testo con una mesta delicatezza che esalta la malinconia delle parole; a volte il canto sembra quasi strozzarsi in un singulto doloroso.

Il pubblico apprezzò la canzone per la sua melodia dolce e malinconica e per la profondità poetica del testo, che esprimeva in quegli anni un malessere esistenziale condiviso e una visione della vita realistica e disillusa.

L’interpretazione intensa di Tenco e la forza evocativa delle immagini contribuirono a renderla una delle sue canzoni più amate. Il successo fu tale che Tenco ne incise versioni anche in francese e spagnolo; la canzone fu tradotta in inglese e interpretata da artisti internazionali come Perry Como.

Furono però successi transitori, che non riuscirono ad accendere il cuore di Luigi Tenco. Un anno dopo, nel 1967, egli a Sanremo chiuse tragicamente il suo cammino: solo l’ultimo giorno della sua esistenza fu drammaticamente “diverso” dagli altri.

A noi rimangono le sue canzoni, anzi le sue poesie, in cui ha saputo trasformare la malinconia personale in un sentimento collettivo, dando voce a chi si sente intrappolato nella routine e nella vana ricerca di una speranza che dia significato all’esistenza; la sua eredità resta viva non solo in campo musicale, ma a livello esistenziale, per la sua capacità di analizzare a fondo il senso stesso della vita.

La canzone si può ascoltare su Youtube, https://www.youtube.com/watch?v=MbhO_4ZabkE.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *