La città degli invisibili

Da molti giorni in pieno centro di Palermo, in via Ruggero Settimo fra via Stabile e piazza Politeama, sul marciapiede fra la sede di una banca e un noto negozio di scarpe e abbigliamento, staziona un materasso su cui è sdraiato un “clochard”.

Nelle foto che allego si notano sul materasso un cuscino logoro, alcuni biscotti, un sacchetto di plastica e un rotolo di carta igienica (anche se resta un mistero dove sia il bagno di questo improvvisato monolocale).

Ho avuto modo di vedere questo signore che dorme profondamente sul materasso, anche nella tarda mattinata, con un fitto viavai di clienti della banca e del negozio che entrano ed escono senza vederlo.

Oggi pomeriggio, come si vede dalle foto, il “barbone” era momentaneamente assente, ma non per questo qualcuno si meravigliava o si indignava per quel materasso.

E si badi bene, non dico che ci si debba indignare per questa “occupazione di suolo pubblico” (ben altre sono, in questa città, le “appropriazioni indebite”…).

Ci si dovrebbe indignare, invece, per il fatto che ci possano essere persone che vivono così, senza che nessuno dei loro “simili” (?) notino la loro esistenza; e ci si dovrebbe chiedere come mai nessuno intervenga, nessuno faccia qualcosa, nessuno muova un dito.

Indignazione e domande del tutto inutili, in un contesto sempre più degradato, in una Palermo sempre più violenta e invivibile, in un centro storico in preda alla legge della giungla, in un diffuso stato psicologico di stanchezza e indifferenza che ratifica (se ce ne fosse bisogno) il detto locale per cui “Cù è orbu, surdu e taci, campa cent’anni ‘n paci”.

Una volta c’era Biagio Conte, in questa città sventurata; ed ra, come hanno scritto Alessandra Turrisi e Roberto Puglisi in un bellissimo libro a lui dedicato, “un punto di riferimento per l’universo dei derelitti, un luogo di accoglienza per gli scartati della terra, un posto in cui la speranza non muore neppure per chi vive nella disperazione e nella solitudine, perché per tutti c’è una seconda possibilità, anche per coloro che vedono solo buio fitto all’orizzonte, che non si sentono amati da nessuno” (“Ti posso chiamare fratello?”, ed. San Paolo, Palermo 2023, p. 14).

Ma ora fratello Biagio è tornato, come papa Francesco, “alla casa del Padre”. E dopo di lui sicuramente ci sono i suoi successori, i suoi eredi, i suoi emuli; ma le difficoltà aumentano in modo esponenziale e “il calcolo dei dadi più non torna”, come dice il poeta. Così i “punti di riferimento” franano, mentre la speranza dei palermitani onesti continua a morire (si può riuscire a morire tante volte, innumerevoli volte?).

In questa città di orbi e ciechi, i nostri simili sono invisibili, tanto quanto in altre parti del mondo sono “intoccabili”.

E però basta che ci sta il sole, che c’è rimasto il mare…

Chi ha dato ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto avuto.

Ma c’è chi non ha avuto mai e continuerà a non avere, mentre c’è sempre chi non sa cosa significhi “dare”.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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