Il prevedibile flop dei referendum

Trascrivo dal sito di “Repubblica” (9 giugno 2025 ore 18): «Non è stato raggiunto il quorum ai referendum con l’affluenza che si è fermata poco sopra il 30%, molto lontana dal quorum del 50%+1. Si votava su cinque quesiti: quattro sul lavoro e uno sulla cittadinanza, dove i Sì sono stati molti meno rispetto agli altri. Il centrodestra esulta. “Il campo largo è morto, la campagna di odio ha schifato gli elettori”, tuona il presidente del Senato Ignazio La Russa. Il segretario della Cgil Maurizio Landini ammette la sconfitta ma nessun passo indietro: “Dimissioni? Non ci penso proprio”. Il Pd si divide e si interroga sul flop».

In Sicilia l’affluenza si è attestata intorno al 23,29% dei votanti; Palermo e la provincia hanno superato la media regionale, con un’affluenza alle 15 di oggi del 24,97%; meglio ha fatto soltanto Enna (25,48%). In pratica ha votato un elettore su 4.

Di tutto questo non c’è da meravigliarsi; anzi, è assurdo meravigliarsi.

Da anni il primo partito d’Italia è il PAI (Partito Astensionisti Italiani); ha più seguaci del PD e di Fratelli d’Italia, visto che alle politiche del 2022 aveva più del 36% (i votanti erano stati il 63,91% degli aventi diritto) e alle europee del 2024 era arrivato al 50% (votanti 49,69%).

Non basta: l’ultimo referendum in Italia in cui è stato raggiunto il quorum del 50%+1 degli aventi diritto al voto è stato il referendum costituzionale del 2020, sulla riduzione del numero dei parlamentari, con affluenza del 51,12 % (ma per quel tipo di referendum  l’esito sarebbe stato valido anche se non avesse partecipato la maggioranza degli aventi diritto); per il resto, dal 2000 a oggi in Italia la maggior parte dei referendum abrogativi non ha raggiunto il quorum necessario per essere validi. In particolare, dal 1997 ad oggi il quorum è stato superato solo una volta, nel 2011, quando si votò su temi molto sentiti come il nucleare e l’acqua pubblica.

Il fatto è che al referendum si ricorre quando non si ha la forza (elettorale e/o politica) di far approvare una legge ritenuta giusta; ed è pia illusione quella di delegare a un popolo sempre meno interessato alla politica le decisioni che i politici non riescono a prendere.

I commenti delle varie parti politiche che si susseguono in queste ore sono tutti scontati e prevedibili: toni trionfali da parte della maggioranza, con sarcasmo e dileggio nei confronti dell’opposizione; ammissione dell’insuccesso da parte della sinistra, che sta già dedicandosi al suo sport preferito, quello della lacerazione interna e delle faide reciproche (con Landini e Schein sul banco degli imputati).

Altrettanto prevedibili sono le reazioni scurrili, volgari, plateali sui cosiddetti “social” (che sono in realtà la massima espressione della disgregazione sociale): qui gli assenteisti sono definiti espressamente “ignoranti”, “analfabeti funzionali”, “capre decerebrate e ignoranti”; e meno male che simili leoni da tastiera dovrebbero appartenere al campo progressista, in cui il contatto con la gente, con il popolo, con le masse dovrebbe essere prioritario.

Il fatto è che flop politici del genere hanno la loro principale motivazione proprio nello scollamento fra chi detiene il potere (sia esso di maggioranza o di opposizione) e la gente comune, fra politici e elettori (o non-elettori), fra una potente élite di serie A e un’immensa serie B sempre più scettica, sempre più disillusa, sempre più priva di ogni motivazione ideologica.

Di tutto questo non ci si deve meravigliare: era prevedibile ed è avvenuto. Servano almeno, esperienze come questa, a chi desidera davvero il bene del Paese, perché capisca che senza un porta-a-porta con le persone reali, senza ascoltarne la voce semplice e chiara (alla faccia della nebulosità dei quesiti referendari), senza riconquistarne se non la stima almeno uno straccio di fiducia, non si andrà mai da nessuna parte.

Un’ultima considerazione.

Ieri io e la mia famigliola siamo andati a votare alle 9,30. Eravamo gli unici o quasi, in una sezione in pieno centro di Palermo.

Ebbene, mi ha commosso vedere un anziano elettore, che deambulava a fatica (costretto fra l’altro a salire diversi gradini, alla faccia delle leggi sulla disabilità) ma era andato a fare il suo dovere di elettore.

Sì, dovere: perché, come dice l’art. 48 della Costituzione, “il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”.

Peccato, soltanto, che pochissimi ormai sappiano che cosa è realmente un “dovere civico”.  Peccato che quelli che dovrebbero essere esempio di ossequio al dovere vengano meno troppo spesso ai loro doveri. Peccato che, a forza di ledere i diritti delle persone, a forza di farglieli dimenticare, si ottiene anche che in loro venga meno ogni senso del dovere.

Ma quell’anziano (forse poco più anziano di me) che, con evidente difficoltà, era andato a “fare il suo dovere” è forse un esempio migliore di tanti politicanti da strapazzo e delle loro coreografiche apparizioni nei seggi elettorali.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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