“29 settembre”

“Seduto in quel caffè / io non pensavo a te”… “Giornale radio. Ieri, 29 settembre…..” “Guardavo il mondo che / girava intorno a me”. “in tal modo, nella ricorrenza del 29 settembre…” “Poi d’improvviso lei sorrise…”

Poche canzoni hanno un “incipit” così geniale. La voce del cantante, lo speaker radiofonico del Giornale Radio, il passaggio dal semplice accordo iniziale al balenare delle chitarre, la storia di una giornata di follia trasgressiva, il finale con il “ritorno all’ordine”, come se niente fosse accaduto.

Quando uscì, nel marzo 1967, io avevo tredici anni. La canzone era di Lucio Battisti e Mogol, ma a cantarla era l’Equipe 84, uno dei complessi musicali più acclamati di allora. Battisti stesso, per garantire il successo del brano, aveva rinunciato a interpretarlo, delegandolo al gruppo di Maurizio Vandelli. La registrazione della canzone avvenne negli studi Ricordi di Milano, con un registratore ultratecnologico per i tempi, a otto piste.

Proprio durante la registrazione nacque l’idea vincente di inserire nella canzone la voce fuori campo di uno speaker radiofonico (quella dell’annunciatore della Sede RAI di Milano Gino Capponi) che, mentre legge le notizie del giornale radio, scandisce la fatidica data; di questa splendida idea si sono presi il merito in tre: Maurizio Vandelli, Mogol e il direttore di produzione della Ricordi Paolo Ruggeri.

“29 settembre” fece scalpore sia per il testo molto innovativo sia per gli effetti sonori “psichedelici” impiegati dall’Equipe 84 (la canzone fu soprannominata «il Sergeant Pepper’s italiano» per l’influsso radicale che ebbe sul panorama musicale).

A distanza di tanti anni (quasi sessanta!) tantissimi di noi, tutti i 29 settembre, sono inevitabilmente portati a ricordare questa canzone. Anche oggi dunque, per dirla con lessico battistiano, ci “ritornano in mente” le note e il testo di questo brano, che ebbe uno straordinario successo, rimanendo al primo posto della Hit parade italiana per cinque settimane.

Il testo affrontava un tema scottante, quello dell’adulterio, argomento quasi tabù nel periodo pre-sessantottino; a quei tempi nella musica leggera prevalevano canzoni idilliache, che descrivevano amori fortemente idealizzati. C’era, sì, l’allusione a qualche tradimento, ma la conclusione inevitabile era la richiesta di perdono (“Perdono” di Caterina Caselli) o l’umiliazione del pentimento (“In ginocchio da te” e “Non son degno di te” di Gianni Morandi). Qui colpisce invece lo stato d’animo finale del protagonista, che – pur avendo passato l’intera giornata del 29 settembre con un’altra donna – l’indomani torna fra le braccia della sua ragazza come se niente fosse accaduto, rallegrandosi anzi del fatto che lei ignori tutto (“tu non sai perché”).

Si tratta in realtà, per tutta la prima parte, di un lungo flashback: la mattina del 30 settembre il protagonista (chiamiamolo Lucio) rivive la giornata precedente. Uno speaker alla radio ricorda per due volte inequivocabilmente la data: “Giornale radio. Ieri, 29 settembre… In tal modo, nella ricorrenza del 29 settembre…”.

Il giorno prima, il fatidico 29 settembre, Lucio sedeva in un caffè, assorto nei suoi pensieri; ma da questi pensieri era assente (momentaneamente?) la sua ragazza: “Seduto in quel caffè / io non pensavo a te”.

Lo sguardo del ragazzo era assente, distratto: “Guardavo il mondo che / girava intorno a me”.

Per me qui c’è un’allusione ironica subliminale a una canzone di Jimmy Fontana del 1965, “Il mondo” (il cui testo era di Gianni Meccia); anche lì il protagonista era distratto e svagato e dimenticava momentaneamente la sua amata (“No, / stanotte amore non ho più pensato a te, / ho aperto gli occhi per guardare intorno a me / e intorno a me / girava il mondo come sempre”); ma lì a distrarre Jimmy non era lo sguardo seduttivo di una bella sconosciuta, bensì il fascino leopardiano dell’universo, il pensiero agli “amori appena nati” e a quelli “già finiti”, alla “gioia” e al “dolore” della gente come lui; e per Jimmy era dolce naufragare in quel mare (“nel tuo silenzio io mi perdo / e sono niente accanto a te”).

In “29 settembre” invece non c’è nessun colle Tabor, nessuna contemplazione mistico-filosofica-esistenziale dell’universo. No, qui c’è una ragazza che si trova al bar nello stesso momento, che guarda Lucio e sorride: “Poi d’improvviso lei sorrise”.

Mi vengono in mente i versi di Alda Merini: “Il tuo sorriso sarà / luce per il tuo cammino / faro per naviganti sperduti”; a un sorriso così non si resiste (imparino da qui tutte quelle persone che non ridono mai, che non sanno illuminare il mondo e la vita con un sorriso).

Inebriato da quel sorriso, senza rendersi conto di quello che sta succedendo (“ancora prima di capire”), Lucio si trova “sottobraccio a lei, / stretto come se non ci fosse che lei”.

Un turbine passionale travolge il protagonista, che ha occhi solo per la sua nuova occasionale compagna: “Vedevo solo lei / e non pensavo a te”. Il mondo è tutto loro: privi, evidentemente, di qualsiasi impegno lavorativo o familiare, dimentichi (lui sicuramente) degli altri legami affettivi, i due si tuffano nel vortice della città: “E tutta la città / correva incontro a noi”.

La giornata vola, scendono le tenebre e i due compagni occasionali sono sempre insieme (“Il buio ci trovò vicini”); la serata vola via fra un ristorante e una balera (le discoteche non esistevano ancora): “Un ristorante e poi / di corsa a ballar sottobraccio a lei”.

Su quello che avvenne dopo, Lucio glissa affidandosi a una sorta di euforica scoppiettante anafora: “Stretto verso casa, abbracciato a lei, / quasi come se non ci fosse che lei / quasi come se non ci fosse che lei / quasi come se non ci fosse che lei / come se non ci fosse che lei”.

Passata è la tempesta, è il 30 settembre, il flashback si è concluso, la radio annuncia le notizie del mattino.

Lucio si sveglia, un po’ intontito e confuso; come scrive Manzoni, al risveglio “la mente, appena risentita, ricorre all’idee abituali della vita tranquilla antecedente; ma il pensiero del nuovo stato di cose le si affaccia subito sgarbatamente; e il dispiacere ne è più vivo in quel paragone istantaneo”.

Infatti Lucio constata: “Mi son svegliato e… / e sto pensando a te. / Ricordo solo che… / che ieri non eri con me”. Le parole ripetute (“e”, “che”, cui ho aggiunto dei puntini) evidenziano la faticosa ricostruzione mentale dell’accaduto, fino al ricordo della solenne sbornia amorosa del giorno prima: “Il sole ha cancellato tutto”.

Allora il ragazzo si alza di scatto (“di colpo volo giù dal letto”) e per prima cosa telefona alla sua ragazza (“E corro lì al telefono”).

E parla a valanga con lei, che il giorno prima chissà dov’era, chissà che ha fatto (che si sia concessa anche lei qualche divagazione?), chissà che ha pensato. Il ragazzo la sommerge di coccole, ride e si compiace (o si rassicura) del fatto che lei non sappia il motivo di quella torrenziale telefonata: “Parlo, rido e tu, / tu non sai perché / T’amo, t’amo e tu, / tu non sai perché”, ripetuto come un tormentone liberatorio fino alla fine.

All’inizio del 1969 Lucio Battisti, che iniziava ad affermarsi anche come cantante, decise di riproporre la canzone dandone un’interpretazione più “classica”, meno sperimentale: eliminò la voce dell’annunciatore del giornale radio e volle una strumentazione più tradizionale, con una chitarra 12 corde suonata per gran parte in arpeggio, i violini e il flauto (e senza la batteria).

L’interpretazione di Battisti era molto sentita (in particolare negli ultimi due versi, nei quali il protagonista è al telefono, il canto sfocia in una sorta di riso forzato e rende evidente lo stato d’animo); nonostante ciò, a mio parere resta insuperabile la versione dell’Equipe 84, che su noi ragazzi di allora ebbe un impatto impressionante, per l’arrangiamento modernissimo, il ritmo vorticoso e il controcanto di sottofondo della “band”.

P.S.: Secondo alcuni la canzone allude a un sogno e non alla narrazione di un tradimento davvero accaduto; per far contenti gli psicanalisti, si potrebbe dire che, se quel sogno c’è stato, il nostro Lucio certe cose, almeno a livello di subconscio, le ha pensate… Comunque l’ipotesi onirica fu sconfessata da Mogol, che – forse per riportare la canzone su binari meno trasgressivi – dichiarò che l’intenzione era quella di mettere a confronto un “bene profondo di anni” e un “incidente di percorso”, poiché “uno è un lampo e l’altro è la luce”. 

Mogol aggiunse che il riferimento al 29 settembre era del tutto casuale; ma la data del 29 settembre, coincidente con il compleanno della sua prima moglie, Serenella, ha fatto malignare su una possibile natura autobiografica del testo, come una sorta di subliminale confessione.

MARIO PINTACUDA

29 settembre 2025

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

1 commento

  1. Interesse e del tutto nuova questa analisi testuale della bellissima canzone di Battisti , io ho sempre conosciuto ed amato la versione cantata da lui . Naturalmente , dal momento che le tue sono sempre pillole di storia e cultura in tutti i sensi , mi cercherò su Spotify la versione cantata da Equipe 84 . Sul fatto che Mogol si sia accreditato la genialata dello speaker fuoricampo , anch’io ho i miei dubbi . Ultimamente è diventato un po’ mitomane .

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