Riprendiamo la rassegna di espressioni del dialetto siciliano che vengono comprese e utilizzate anche nell’italiano regionale dell’isola e quindi nella conversazione quotidiana.
Eccone altre quattro.
1) “Rifardo” – Nel vocabolario di Antonino Traina “rifardu” è reso con “sciagurato, ribaldo, che frauda [sic!], ingannatore, cialtrone”; parallelamente, “rifardiari” significa “far cosa da ribaldo” e una “rifardarìa” è una “ribalderia”, una “frode”. Il termine ha forse origine araba (da “rafarda” = “rifiutare”).
Nella vita quotidiana siciliana si ha costantemente a che fare con i “rifardi”, con quelli che “se la rifardìano”: si tratta di coloro che hanno, come scrive Roberto Alajmo, “l’attitudine ricorrente a sbilanciarsi in avanti e poi, invece, fare un passo indietro”.
C’è dunque chi si “rifardìa”, si rimangia, un appuntamento; c’è chi viene meno a una promessa (e più solenne era stata, più spiacevole è il ripensamento); c’è chi, “fresco e pettinato” (come diciamo da queste parti), nega spudoratamente l’evidenza e casca sempre in piedi, replicando che semmai eri stato tu a non capire, mentre lui non ti aveva garantito niente.
Il massimo di “rifardarìa” è quella dei politici, specialmente di quelli che, dopo roboanti promesse di mari, monti ed Everest, arrivati al potere “se la rifardìano” e se ne strainfischiano di rispettare i patti con gli elettori.
2) “Mi fa smuovere i nervi” – Si può dire di una persona irritante, fastidiosa, antipatica; tuttavia si usa spesso per i bambini capricciosi, che “fanno smuovere i nervi” con le loro monellerie. Ma non è tutto, perché al giorno d’oggi sono innumerevoli le cose e le occasioni che “fanno smuovere i nervi” e mettono a dura prova la nostra sempre più esausta pazienza.

3) “Svariarsi” – Dopo una giornata no, costellata di impegni defatiganti o di estenuanti scocciature, dopo che (come si diceva prima) molte cose ci hanno fatto “smuovere i nervi”, è bello “svariarsi”, cioè “distrarsi”; infatti “svariari” significa, come scrive Traina, “divagarsi”, “non istar fermo in un proposito”. In dialetto diventa “sbariàrisi” (con la normale confusione b/v dei dialetti meridionali, condivisa dallo spagnolo e dal greco moderno), ma anche nell’italiano regionale si può sentir dire che qualcuno “si svarìa”, accantonando le preoccupazioni e rivolgendo la mente a pensieri più piacevoli: “Stasera avevo proprio bisogno di svariarmi!”.
4) “Che senti dire, ah?” – È espressione comunissima per chiedere all’interlocutore conto e ragione di una sua affermazione (“che intendi dire?”). Il tono con cui viene pronunciata questa battuta è in genere dispiaciuto, scocciato e tendenzialmente offeso (i siciliani si offendono sempre e per sempre, di tutto, per tutto e in tutto). Dunque, quando qualcuno dice una mezza parola di troppo (ah, quel vizio maledetto di parlare anziché stare zitti!), ecco che l’altro si inalbera e ribatte: “Che senti dire, ah?”.
P.S.: Un corollario finale, proprio a proposito di questo “ah” interrogativo. In italiano, quando si ripete una domanda o quando non si è capito bene qualcosa, si dice “eh?” (ad es. al Nord: “te che dici, eh?”). Invece noi in Sicilia diciamo “ah?” (“ma che fai, ah?!”). A volte ho pure sentito la buffa variante “ih?”: “Che senti dire, ih?”.
Quanto alle residue due esclamazioni “oh” e “uh”, sono globalizzate e, come in italiano, esprimono stupore, sorpresa, meraviglia, sgomento, ecc.; non meritano dunque la nostra attenzione e possiamo sorvolare; che ne dite, ah?